giovedì 29 novembre 2012

Dice che due anni so 'na cifra!

Ebbene sì. Due anni per un campione di incostanza sono decisamente un record. Ed è soprendente quante cose siano successe intorno a questo blog nell'ultimo anno. La più esaltante è stata certamente la pubblicazione del libro "Roma Fuoripista", con il quale vi ho martellato adeguatamente gli attributi nei mesi trascorsi (e futuri). E' stata una piccola grande soddisfazione e una divertentissima faticaccia per promuoverlo. Dopo un entusiasmante presentazione (dove ho avuto il piacere di conoscere alcuni di voi), pittoreschi mercatini sotto la pioggia, pellegrinaggi per librerie indipendenti e oKKupazioni di stand in fiera grazie alla disponibilità di amici editori (in tutto questo un editore lo avrei anch'io, ma ne ho perso le tracce), ci siamo infine lanciati sull'organizzazione delle passeggiate "Fuoripista": divertenti tour alternativi alla scoperta dei segreti del centro storico, rigorosamente coronati dall'alcol di un aperitivo e quattro chiacchiere. Qualcuno di voi si è fatto vivo passando per Roma e, tra un rapidissimo giro turistico in modalità Giapponese (Micaela), e una mangiata in trattoria (vero zio Nick?), ha piacevolmente contribuito a rendere questo spazio un pò più vero. Che altro? Mi sono lanciato in un corso di fotografia per rendere più dignitosa la parte "visiva" del blog e mi sono iscritto a un paio di associazioni speleo-archeologiche per avere accesso ai numerosissimi e misteriosi sotterranei romani, così da poterli raccontare anche a voi. Insomma facendo due conti è stato un percorso tutto in salita (o in profondità considerate le mie incursioni sotterranee) e anche questa volta rinnovo la promessa di continuare con lo stesso entusiasmo, con la speranza di essere ancora il vostro punto di riferimento per le migliori dritte ogni volta che sarete di passaggio nella città eterna!


L'anno scorso ho celebrato il primo anno con uno scatto del mio amico e coautore di "Roma Fuoripista" Bruno Lomasto (non questa sopra, questa è mia ;) ); quest'anno voglio farlo regalandovi la bellissima prefazione al libro scritta da un altro amico: Giampiero Venturi.

Roma è una pozzanghera: un pezzetto di fango dove infili i piedi e dici “ammazza...” e uno specchio
che in quel fango ci disegna un campanile. Roma è tutto quello che hai visto e tutto quello ti manca. La folla e il vuoto, l’anna’ pe uno e il rimanere. Roma è un gomitolo di gente senza senso e un bandolo di pensiero senza fine. Roma è vera; Roma è un gioco.
È due passi: il sacro col profano. Uno avanti e l’altro dietro; alternati e qualche volta insieme.
Pensare di guardare in faccia Roma e di’ “sì t’ho capita... adesso te descrivo...” è una mossa da
fregnoni, come er cantastorie stonato venuto pe’ sona’ e finito sonato.
Parafrasando il Marchese del Grillo nel “quando si scherza bisogna esse’ seri...”potremmo dire che “per essere seri, bisogna sapecce ride”.
Roma è a parte. Roma è il disincanto su tutto perché hai visto tutto; è un palcoscenico ardito e retrivo insieme e chi ci sale sopra deve sape’ disincanta’...
Roma va presa di taglio, per traverso, come un vicolo stretto e cencioso che il turista si dimentica di
fare. Roma va presa e indicata a pezzi, uno per volta, con la sfrontatezza che le si addice e l’umiltà di
chi ci si inchina.
Per parlare di Roma devi partire dal piccolo, perché è così grande che ce diventi matto... Per fotografarla devi pensare al particolare, perché altrimenti sei un’altra cartolina. Solo nel piccolo puoi fare una cosa grande: è il destino, l’onore e l’onere di chi con le cose grandi ci si deve confrontare.
È così come chi c’è nato e non ne conosce le strade. Come chi non l’ha mai vista, ma non passa giorno che nun l’ha sentita...
Una finestra su Roma deve essere particolare, laterale, per forza discreta. Per natura, per carattere,
per forza di cose: come il romano vero, per antonomasia allegro e compagnone, ma in realtà per indole, solitario e permaloso. Roma è una girata di spalle davanti al più grande degli eventi, un ma che ce frega che spiega tutto senza dire niente. Roma è il sole sopra che non si guarda mai dritto pe’ dritto.
Roma per natura chiama soggezione. E la soggezione la vinci con l’umore, con l’ironia, con l’inventiva.
Per questo Roma può essere solo un giro fuoripista. Una battuta al margine. Una camminata fuori dal convenzionale. Uno sguardo piccolo e scanzonato su tutto quello che è senza rivali.
Ed è così che ce la presentano Andrea e Bruno.


Infine che dire...siamo a un mese da Natale e se volete regalare un pezzo di questa mia amata città così come ve la racconto, "Roma Fuoripista" sarà sicuramente un regalo gradito che potrete ordinare on line sul sito www.romafuoripista.com (o trovarlo nelle librerie indicate sempre sulla stessa pagina alla sezione "dove trovarlo"). Una selezione dei migliori itinerari raccontati nel consueto stile "dice che a Roma" e accompagnati dalle bellissime foto di Bruno Lomasto.
Un grazie speciale a Zio Scriba, Nato Stanco, la Pestifera Micaela, lo zio Piero, Jajo e Claudia per essersi palesati oltre lo schermo.
Ai ragazzi della Tunuè (editori dell'immaginario) per la disponibilità.
Agli "stolti" Andrea e Simona per l'appoggio e la collaborazione.
A Bruno per la sua amicizia e il suo prezioso contributo al nostro lavoro.
A tutti quelli che hanno ordinato, letto e apprezzato il libro.
E a tutti voi che passate di qui, lasciate una traccia, commentate, correggete e siete il mio stimolo a continuare in questo modo ancora per molto, moltissimo tempo!
A prestissimo (daje che la prossima volta vi riporto sotto terra ;) ),

Andrea

giovedì 22 novembre 2012

Dice che 'sta fontana è vietata ai minori


Parlare della "Roma nascosta" non vuol dire necessariamente fare riferimento a luoghi normalmente poco accessibili o comunque distanti dai nostri itinerari quotidiani, e con un pizzico di conoscenza e uno sguardo più attento, persino una frequentatissima rotatoria in pieno centro potrebbe infine rivelarci delle sorprese inaspettate. A dimostrazione di ciò prenderemo il caso della fontana di piazza della Repubblica, così evidente e conosciuta alla vista di ogni automobilista romano, con la certezza che la prossima volta riuscirete davvero a guardarla sotto una luce completamente diversa (e se dicessi "luce rossa" non sarebbe comunque un azzardo). Ad ogni modo, trattandosi di una trafficata rotatoria, il consiglio che vi do è di approfondire solo una volta che avrete parcheggiato il mezzo, per evitare di trasformare la vostra curiosità in un fuoripista automobilistico sotto i portici di piazza della Repubblica.

La storia di questo ardimentoso monumento ha inizio nella seconda metà dell'Ottocento, in concomitanza con le vicende che sancirono la tanto agognata fine del potere temporale dei Papi sulla città eterna. A quel tempo Papa Pio IX, evidentemente poco preoccupato per la piega che stavano prendendo gli eventi, pensò bene di distrarsi ulteriormente occupandosi dell'imponente ristrutturazione dell'antico acquedotto "Marcio". A conclusione dei lavori l'acqua venne molto modestamente ribattezzata "Pia" e la relativa mostra, in realtà piuttosto sobria e semplicistica, venne infine collocata presso l'attuale piazza dei Cinquecento di fronte alla stazione Termini (per chi ancora non lo sapesse, quando parliamo di "mostra dell'acqua" non facciamo riferimento a una cessa incontrata in piscina o alla compagna di un mostro marino, ma bensì a quel genere di fontana monumentale progettata come "esposizione celebrativa" dell'acqua trasportata a Roma attraverso gli antichi acquedotti). Il sarcastico popolo di Roma, consapevole della fine che avrebbe fatto il Papa di lì a poco, si espresse a tal proposito coniando lo slogan da stadio "acqua Pia, oggi tua domani mia", e infatti appena dieci giorni dopo l'inaugurazione, con la presa di Roma attraverso la celebre breccia di porta Pia, si pose trionfalmente la parola fine alla lunghissima monarchia papale con la definitiva annessione di Roma al regno d'Italia. Nel pieno fermento da rinnovamento edilizio che seguì alla proclamazione della città come capitale di Italia, si decise infine di ricollocare la mostra nella rinnovata Piazza Esedra, dove venne dunque costruita l'attuale nuova fontana. Anche in questo caso l'opera risultò piuttosto spoglia e così, in occasione della visita dell'imperatore di Germania a Roma, si decise di sistemare in via temporanea quattro leoni di gesso agli angoli della vasca a puro scopo decorativo. Un pò come tirare fuori il servizio buono quando viene l'ospite importante.


La svolta finale si ebbe nel 1887 con l'approvazione del progetto di un tale Mario Rutelli, il quale decise di rivoluzionare l'aspetto della fontana con l'allestimento di quattro colossali gruppi bronzei. Se il nome dello scultore vi fa pensare a un tale Francesco, alle sue ossessioni per passi e sottopassetti e a un'insopportabile moglie tuttologa da salotto televisivo di serie B, ebbene sì, Mario Rutelli era proprio il bisnonno del nostro "beneamato" ex sindaco di Roma (del quale preferisco senza dubbio la versione di Guzzanti). I quattro gruppi progettati dal Rutelli architetto che possiamo ammirare oggi sui quattro lati della fontana stanno a rappresentare le quattro ninfe dell'acqua, ognuna caratterizzata dall'audace accostamento alla bestia marina di riferimento. La ninfa degli Oceani che doma un cavallo (sarà per i cavalloni?), la ninfa dei laghi alle prese con un cigno e le ninfe delle acque sotterranee e dei fiumi rispettivamente e voluttuosamente sdraiate su una specie di lucertolone e un serpente marino. Da lì il nome di "Fontana delle Naiadi". Immediatamente scoppiò lo scandalo: i loro corpi nudi e bagnati, le pose lascive, gli sguardi sfrontati, fecero all'epoca enorme scalpore, e per lungo tempo la fontana rimase coperta da uno steccato in attesa di delibera. Ovviamente ciò non fece altro che aumentare la curiosità degli abitanti dei rioni il cui continuo via vai contribuì ad accendere ulteriormente lo scandalo. Il modo migliore per descrivere il clima dell'epoca è riportare lo snobissimo commento di un consigliere comunale dell'ala più conservatrice di influenza papalina, che con l'appoggio dei quotidiani vaticani così tuonava in riferimento alle Naiadi: “….non ninfe inebriate dall'acqua, ma ciociare ubriache di cattivo vino nelle pose più dimostrative”. Un genio.


A rompere gli indugi ci pensarono infine gli studenti con un'inaugurazione coatta (nel senso di forzata, ma forse pure un pò coatta) nel primo giorno di carnevale del 1911, il tutto con il beneplacito di un comune allora felicemente progressista e non ancora soggetto alle influenze clericali. Un gesto che rappresentò la vittoria della libera espressione artistica, del moderno laicismo, ma soprattutto della cessazione di una sterile polemica del cazzo, arte in cui da sempre in Italia siamo impareggiabili maestri. Ma l'opera non era ancora completa e solamente al trascorrere di undici lunghi anni venne proposta dallo stesso Rutelli un'integrazione con un ultimo armonizzante elemento centrale: tre tritoni in lotta con un delfino e un polipo. Tale delirio da rissa sottomarina non mancò ancora una volta di stimolare la fantasia dei romani che decisero di battezzarlo "il fritto misto". La copia temporanea realizzata in malta venne così relegata nei giardini di Piazza Vittorio e ancora una volta le Naiadi furono lasciate da sole. A quel punto il Rutelli, forse esasperato dopo le tante polemiche, o più probabilmente con un atto di consapevole ironia che rasentava il colpo di genio, optò per una soluzione di impatto che avrebbe messo tutti d'accordo, ninfe soprattutto. Ecco quindi ergersi sul gruppo il poderoso Glauco mentre stringe un guizzante delfino, simbolo della dominazione dell'uomo sulla natura. In poche parole un possente uomo nudo con un grosso pesce in mano, da cui si eleva lo schizzo principale dell'intera coreografia acquatica. Potremmo speculare per ore sui doppi sensi dell'opera e sugli effetti ambigui che ci regalano i diversi punti di osservazione, ma a toglierci di impaccio ci pensa questa volta il Sor Capanna, celebre cantastorie romanesco che con la sua lirica appassionata applicata allo stornello, così ci serve la sua giusta conclusione:

C'è a Piazza delle Terme un funtanone
che uno scultore celebre ha guarnito
cò quattro donne ignude a pecorone
e un omo in mezzo che fa da marito.
Quanto è bello quer gigante
lì tra in mezzo a tutte quante:
cor pesce in mano
annaffia a tutt'e quattro er deretano.

E con questo momento di altissima poesia vi lascio sperando che al prossimo giro di rotatoria a piazza della Repubblica riuscirete infine  a "vedere" quel qualcosa di più di questa bellissima fontana.



giovedì 1 novembre 2012

Dice che a Roma ce stanno le palme sotto terra


Nell'immaginario collettivo le catacombe sono sempre state erroneamente considerate il nascondiglio segreto dei Cristiani ai tempi delle persecuzioni. Dico erroneamente perché in effetti risulta difficile credere che i Romani, conquistatori di un impero immenso per estensione e complessità, e i cui confini si estendevano dal Medio Oriente alla Britannia, fossero così imbecilli da non accorgersi di quello che avveniva nel frattempo in casa propria, sotto i loro stessi piedi "calzarati". Se dunque non volessimo sottovalutare l'intelligenza dei nostri antenati, dovremmo rassegnarci al fatto che le catacombe altro non fossero che semplici cimiteri sotterranei, che solo in rare occasioni venivano utilizzati per officiare "in segreto" la liturgia Cristiana (attività che normalmente si svolgeva privatamente nelle domus dei patrizi convertiti alla nuova religione, in un contesto decisamente meno umido). Ad ogni modo questo genere di sepoltura sotterranea non va certo considerata come esclusiva dei Cristiani, in quanto la ritroviamo molto in voga sia tra i concorrenti  "pagani", sia tra le prime comunità ebraiche presenti a Roma. E proprio di queste ultime ci occuperemo in questo post.


Le catacombe di Vigna Randanini risultano le più conservate tra le 6 catacombe ebraiche attualmente conosciute nel nostro territorio, e sono situate all'interno della proprietà privata della nobile famiglia dei Gallo di Roccagiovine. Riuscire ad approfittare delle rare aperture speciali del sito è un'ottima occasione per godersi un'avventura casareccia da affrontare all'interno dei confini del raccordo, in particolare quando muniti di lampada e caschetto, ci trasformeremo in breve nell'alter ego provinciale e un pò coatto del sempre mitico Indiana Jones. La prima caratteristica che decreterà la vittoria di catacombe ebraiche contro catacombe cristiane 1-0, in particolar modo per il pubblico dei claustrofobici, è l'apprezzabile larghezza dei corridoi rispetto ai rispettivi delle anguste colleghe cristiane. Ai lati di questi spaziosi viali sotterranei si alternano i classici loculi con le relative targhe, che oltre a fornirci lo spunto per intrattenerci con l'interpretazione delle epigrafi, ci presentano una carrellata dei simboli tipici delle sepolture ebraiche, tra cui ricorrono in particolare il frutto del cedro, la pergamena (nel caso di sepoltura di un "grammatico"), e il mazzetto di erbe aromatiche.


In ogni angolo troneggia sempre e comunque la Menorah, il famoso candelabro a sette bracci simbolo della religione ebraica, trafugato dal tempio di Gerusalemme dall'imperatore Tito come trofeo di guerra per sancire la propria schiacciante vittoria in Giudea. L'episodio venne celebrato con un bassorilievo sull'arco di Tito, celebre monumento dei nostri Fori Romani, rispetto al quale divenne obbligo morale e consuetudine per ogni ebreo romano il categorico rifiuto di passarvi sotto. La millenaria tradizione si è interrotta solo nel recente 1997, con la clamorosa decisione del rabbino capo Toaff di celebrare la Chanukkà con l'accensione della prima fiammella esattamente sotto quell'arco, odiato simbolo della prima grande disfatta del popolo Ebraico. La misteriosa sparizione della Menorah, secondo alcuni andata distrutta, secondo altri nascosta in qualche luogo segreto, rimane avvolta dalla leggenda. Ma noi, da bravi romani quali siamo, vogliamo fidarci di quanto racconta il Belli in un sonetto:

"Mò nun c’è più sto Cannelabbro ar monno.
Per èsse, c’è; ma nu lo gode un cane,
perché sta giù ner fiume a fonno a fonno.
Lo vòi sapé lo vòi dov’arimane?
Vicino a Ponte rotto; e si lo vonno,
se tira su per un tozzo de pane."

Proseguendo il nostro percorso lungo le gallerie, avremo modo di apprezzare, con un tocco di esotismo mortuario, un genere di sepoltura di origine orientale detta Kokh, scavata perpendicolarmente verso il basso rispetto al più classico loculo. Sembrerebbe che in realtà i Kokhim servissero solo come camera di decomposizione, prima che le ossa rimaste fossero successivamente riposte in un più consono ossuario.
Come incidente di percorso ci si presenta improvvisamente il più classico tra gli ostacoli o trappole generalmente presenti in ogni film di Indiana Jones che si rispetti. All'altezza di un pozzo-lucernario ci attende infatti la temibile tribù dei ragni grillo, un incrocio nefasto che unisce alla naturale repulsione per ogni forma di vita aracnide, l'elemento ansiogeno del salto a tradimento. La guida ha la delicatezza di comunicarcelo in un misto tra indifferenza e perverso piacere con un monocorde "qui fate attenzione ai ragni-grillo, che potrebbero saltarvi addosso" (mentre nella mia testa un accorato "MORIREMO TUTTI!" sarebbe stato più consono alla situazione).


A riprenderci dallo sgomento si apre ai nostri occhi la vista della prima delle due camere sepolcrali affrescate. La decorazione, in questo caso piuttosto danneggiata, ci riporta alle origini del popolo ebraico, con una curiosa rappresentazione di palme da dattero disposte sui quattro lati del cubicolo. Ed è proprio in presenza di questi piccoli dettagli che si rimane catturati dal fascino della continua scoperta e della complessità di una storia millenaria, che solo Roma riesce a regalarci senza mai smettere di stupire: ci troviamo probabilmente sotto il giardino di una delle meravigliose ed inavvicinabili ville dell'Appia antica, o all'altezza di un incrocio della trafficata via Ardeatina, e proprio qui, nel silenzio del sottosuolo, ci ritroviamo ad ammirare quattro palme da dattero dipinte più o meno duemila anni prima, e che ancora riescono a trasmettere tutta la nostalgia di un popolo per gli elementi naturali della propria terra d'origine. Purtroppo il resto dell'ambiente risulta danneggiato da interventi successivi di allargamento, e dopo una rapida occhiata a quello che rimane delle altre decorazioni, riprendiamo il nostro percorso.

L'itinerario prosegue, ed è forte la tentazione di defilarsi per esplorare una delle tante diramazioni, immaginando di poter testimoniare chissà quali scoperte. Il punto di arrivo e il culmine della visita è rappresentato dall'ultima camera sepolcrale, divisa in due ambienti distinti. La ricchissima decorazione sembra convergere verso gli elementi centrali delle volte, rappresentati nel primo ambiente da una vittoria alata nell'atto di incoronare un giovane nudo, e nel secondo da Fortuna con una cornucopia in mano (preferivate la foto del primo?). Tutto intorno si dispiega un'alternanza di figure animali e floreali che si concentrano sul tema dei volatili nella prima camera e dei pesci nella seconda. Questo insolito impianto decorativo, composto da simbologie piuttosto classiche e in parte legate a ritualità politeiste, ha fatto pensare ad un preesistente utilizzo pagano di questa sezione della catacomba, ma in realtà è lecito ritenere che si tratti semplicemente di una moda dell'epoca, ripresa dagli ebrei a puro scopo decorativo (un pò come quando arrediamo casa appendendo maschere africane, senza che questo implichi necessariamente il nostro coinvolgimento in riti animisti e danze tribali nel soggiorno di casa). L'intera superficie delle pareti è coperta da graffiti di visitatori risalenti agli anni '30 del secolo scorso, con le classiche diciture di nome, data e attestazione di presenza sul genere "anche noi siamo stati qui". Dopo l'iniziale sconcerto per un tale scempio, che farebbe apparire al confronto un qualsiasi writer metropolitano come l'incarnazione della civiltà e del rispetto del decoro urbano, cominciamo infine a guardare con interesse anche a questa ulteriore testimonianza storica di un periodo recente, in cui il concetto di preservazione dei beni culturali non era stato evidentemente ancora assorbito.
Alla fine, non paghi dell'attacco dei ragni grillo, abbiamo deciso di non farci mancare nemmeno i fantasmi. E per concludere in pieno stile "puntata di Mistero" ( probabilmente con la medesima "autorevolezza" di Raz Degan e Daniele Bossari ), sottopongo anche a voi lettori l'inquietante fotografia scattata nei sotterranei, dove alla destra del ragazzo col giubbotto nero (ultimo della fila), si riconosce la minacciosa presenza di tre figure umane. Fantasmi, effetto ottico o bastardissima applicazione dell' I-phone? Probabilmente non lo sapremo mai.


L'ingresso alle Catacombe ebraiche di Vigna Randanini si trova su via Appia Pignatelli 4. Per visitarle è necessario fare affidamento ad una delle tante associazioni culturali romane che periodicamente organizzano visite guidate (tra le altre vi consiglio www.sotterraneidiroma.it).