tag:blogger.com,1999:blog-40384264673208708642024-03-13T13:35:30.735-07:00Dice che a Roma...itinerari fuoripista alla scoperta della Roma alternativaAndreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.comBlogger72125tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-26629449512798470952014-04-24T07:16:00.000-07:002014-04-25T11:51:15.920-07:00Dice che il gelato di Fassi piaceva proprio a tutti..<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJbOdyuzuhzSMHPvNNZNtn3zSJxthWcmXr_P-aaKc4ILZHXGa5i1kQuectm6XptBnG4bPv_blpnQH6I9mICxtDIfNIjUaADFMtx9KAk-JAlAKlk3m6O2-6EhErmq_4A9bgGJsmA2qO7Oeq/s1600/048.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJbOdyuzuhzSMHPvNNZNtn3zSJxthWcmXr_P-aaKc4ILZHXGa5i1kQuectm6XptBnG4bPv_blpnQH6I9mICxtDIfNIjUaADFMtx9KAk-JAlAKlk3m6O2-6EhErmq_4A9bgGJsmA2qO7Oeq/s1600/048.JPG" height="266" width="400" /></a></div>
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Come tutti gli anni all'arrivo della bella stagione inizia l'acceso dibattito con tanto di risse sulla proclamazione del gelato più<em> bono</em> di Roma. E mentre persino le maledizioni del "bio", del "chilometro zero" e del "vegan" si abbattono sul caro vecchio cono, glorificato dalla pretenziosa origine delle materie prime, (perchè se il pistacchio non è di Bronte e la nocciola non è del Piemonte allora<em> so' cazzi amari)</em> fortunatamente esiste ancora una tradizione che sopravvive ferma e imperturbabile all'interno dell'austero "palazzo del freddo" di via Principe Eugenio. L'antica gelateria Fassi: un'isola temporale dove la qualità e il rincorrersi delle mode e delle patologie moderne che mettono alla gogna glutine e lattosio, passa in secondo piano rispetto all'esperienza di gustare un gelato che rappresenta un pezzo di storia della nostra città.<br />
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Il capostipite Giacomo e la moglie Giuseppina arrivano dal Piemonte all'indomani dell'unità di Italia. Perché prima ancora dei cinesi, l'Esquilino l'hanno colonizzato i piemontesi, quando Roma, proclamata nel 1870 capitale del regno, si è preparata ad accogliere quell'esercito borghese di burocrati e ministeriali che dalla precedente capitale Torino (passando per Firenze) si sono riversati in massa verso la nuova sede di un governo finalmente laico, in questa "metropoli" di fine Ottocento pronta al salto verso la modernità dopo secoli di immobilismo clericale. Ed è così che l'intero quartiere viene riprogettato su misura, con quell'enorme piazza dedicata a Vittorio Emanuele circondata da portici per far sentire i piemontesi un po' più a casa. I Fassi danno il via alla loro epopea con una rivendita di ghiaccio e birra in via delle Quattro Fontane e, se la scelta di commercializzare la bevanda luppolata rappresenta decisamente un primo punto a loro favore, la definitiva consacrazione del mito avviene con la ferma decisione del figlio Giovanni, pasticcere ufficiale della casa reale, di abbandonare la privilegiata posizione lavorativa a causa del suo categorico rifiuto di tagliarsi i baffi, così come previsto dal codice interno a seguito di un'ordinanza speciale del re (ma questa dell'orgoglio baffuto è una valutazione personale molto di parte).<br />
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La scelta di mettersi in proprio non tarda a produrre i suoi frutti, e dopo alcuni anni la famiglia è in grado di acquistare un nuovo palazzo proprio nel cuore borghese della capitale, dove in 700 metri quadrati tra laboratorio e saloni liberty inizia a prendere piede il mito del gelato artigianale in grande scala. E in virtù di una cinica legge del commercio che non guarda in faccia a nessuno, tra gli estimatori dei gelati Fassi nel corso del tristemente celebre ventennio, ritroviamo anche Mussolini, Italo Balbo e lo stesso Adolf Hitler in visita a Roma, da cui vennero commissionate delle torte gelato con tanto di svastica la cui vista potrebbe addirittura farmi rivalutare le stucchevoli evoluzioni dell'odierno ed irritante cake design. Per permettere a Balbo di portare le sue scorte fino in Libia venne persino brevettato il sistema del telegelato Giuseppina (in onore della moglie del capostipite), con l'impiego sperimentale di ghiaccio secco per la spedizione e la conservazione dell'ambito prodotto oltre i confini del regno. </div>
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La grande storia del Novecento e delle grandi guerre, oltre che sui campi di battaglia, segue il suo corso parallelamente anche nella celebre gelateria, come quando nel 1945 la Croce Rossa americana decise di requisire il locale per produrre il gelato per le truppe Statunitensi di stanza a Roma. Tra l'altro fu proprio in questa occasione che un tale Alfred Wisner, l'ingegnere della Croce Rossa che aveva coordinato le operazioni di occupazione dello stabile, propose a Giovanni Fassi di creare un'azienda a vocazione industriale, utilizzando la tecnologia di un nuovo impastatore che avrebbe permesso la produzione di gelato in grandissime quantità. Giovanni rifiutò di abbandonare i suoi ideali di artigianalità, e il sig. Wisner seguì da solo il suo progetto fondando nientedimeno che la Algida. Oggi i macchinari originali di inizio secolo scorso sono esposti nelle vetrine e all'interno del salone, dove ancora si respira un'aria retrò solo in parte intaccata dalle folle di turisti e romani che si affollano al bancone. E tra vecchie locandine, tavolini in marmo e una nostalgica fontanella interna (perché il bicchiere d'acqua è un complemento d'obbligo al gelato, così come dovrebbe esserlo al caffè in ogni bar che si rispetti), alzando lo sguardo verso gli alti soffitti potremmo quasi percepire l'atmosfera di una sala da ballo di inizio Novecento. </div>
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La vera chicca è il cortile liberty che si apre sul lato opposto dell'ingresso, un angolo silenzioso dove il tempo sembra essersi fermato e dove avviene il mio <em>felliniano</em> incontro con quattro simpatiche suore sedute sulle panchine di legno all'ombra delle piante. L'ulteriore prova che stiamo parlando di un gelato d'autore, perché se un tempo si riteneva che i posti <em>dò</em> <em>se magna bene</em> si riconoscono dal numero di camion parcheggiati fuori, oggi la garanzia del godereccio ci viene confermata dalla presenza di preti e suore che, tra un sacrificio e l'altro, nel momento in cui decidono di peccare di gola, scelgono sempre di farlo al <em>top</em>. Leggendo i vari articoli esposti all'interno scopro che la famiglia, oggi come allora, ha sempre vissuto nel palazzo, il che rende ancora più affascinante l'idea di questa roccaforte del gelato con i Fassi che, al pari dei Lannister o degli Stark, continuano a presidiare il proprio castello proteggendolo dall'invasione della potenza economica Cinese.<br />
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Dopo essermi perso tra articoli, fotografie e vecchi cartelloni pubblicitari degli anni trenta e quaranta, esco dal palazzo con una confessione da fare: "alla fine nun me so magnato manco un gelato"! Forse avrei dovuto provare almeno il "sanpietrino": un quadrato di semifreddo ricoperto di glassa al cioccolato ispirato alla forma di quei famosi <em>serci</em> romani che lastricano le nostre strade attentando alla vita dei centauri motorizzati e delle impavide camminatrici su tacco dodici. E quindi lascio a voi il compito di andare e riferirmi, perché alla fine anche io, da bravo romanaccio campanilista di quartiere, valore storico a parte, rimango fedele alla gelateria dietro casa: nel mio caso la mitica "Gelatomania" della Portuense, a cui posso comunque affettuosamente rimproverare che sì, magari non avranno prodotto torte gelato con la svastica, ma sull'orrido gusto "puffo" anni Ottanta dalla tonalità bluastra ce so cascati pure loro! (e i puffi non erano comunisti poi?)<br />
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<br />Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com69tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-80657839135478892392014-03-10T14:53:00.001-07:002014-03-11T05:50:32.695-07:00Dice che se non è stata la Madonna allora so' stati gli ufo (il miracolo della neve d'agosto)Tra le varie leggende romane legate alla fondazione di chiese o basiliche, "il miracolo della neve d'agosto" è senza dubbio la più originale. La storia ci viene raccontata nel meraviglioso ciclo musivo realizzato da Filippo Rusuti nel tredicesimo secolo sulla facciata della basilica di S.Maria Maggiore. Gli splendidi mosaici del Rusuti costituiscono una delle pochissime tracce superstiti della produzione artistica medievale romana, fortunatamente sopravvissuti all'intervento Settecentesco dell'architetto Ferdinando Fuga che, in un inconsapevole slancio conservativo, e in palese controtendenza rispetto alle smanie demolitive dei papi dal Rinascimento in poi, li risparmiò dalla distruzione durante i lavori di rifacimento della facciata della basilica. La soluzione del Fuga prevedeva infatti la sovrapposizione della nuova facciata alla precedente, con l'apertura di una loggia che lasciasse parzialmente visibile l'opera musiva trecentesca. La loggia è oggi accessibile con un ingresso extra a pagamento nell'ambito di una visita alla basilica.<br />
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La leggenda racconta di una coppia di ricchi patrizi romani che, essendo un pò avanti negli anni e senza figli a cui lasciare i propri beni, decisero di beneficiare la chiesa del loro patrimonio al fine di garantirsi una piacevole permanenza nella vita ultraterrena. Con un perfetto tempismo e invidiabile spirito imprenditoriale la madonna apparve dunque in sogno al ricco patrizio, suggerendo lo stanziamento di tali fondi per la costruzione di una basilica a lei dedicata, nel luogo dove l'indomani si sarebbe verificato un evento miracoloso. Secondo la versione tramandataci dai mosaici del Rusuti, il patrizio si recò da papa Liberio per raccontare il suo sogno, il quale gli confermò di aver avuto esattamente la stessa visione nel corso della notte precedente ("vuoi finanziare la costruzione di una nuova basilica perchè te l'ha suggerito in sogno la vergine Maria? Considera che è passata anche da me per ribadire la cosa, quindi direi ormai te tocca pe forza"). Ma quale sarebbe stato il segno che avrebbe indicato il luogo esatto? Ebbene proprio quella mattina del 5 Agosto 352 d.c., nonostante fosse piena estate, la cima dell'Esquilino si imbiancò di neve. Quando il papa e il patrizio Giovanni si recarono sul posto richiamati dall'insolito evento non ebbero più dubbi, e fu così che lo stesso papa Liberio tracciò con un bastone sul manto di neve il perimetro di quella che sarebbe stata la nuova Basilica di S.Maria Maggiore.<br />
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I mosaici di Filippo Rusuti (sulla cui paternità non abbiamo dubbi, almeno per quanto riguarda la sezione superiore, nella quale ci lascia un'inequivocabile firma), costituiscono un'importante testimonianza di quel prezioso patrimonio artistico di epoca medievale, sistematicamente cancellato dalla storia della nostra città, la cui riscoperta ci costringe a rivedere il nostro classico pregiudizio su un Medioevo privo di guizzi artistici di alto livello. Mentre la parte superiore riprende i temi della classica iconografia bizantina, con il Cristo comodamente seduto sul trono gemmato, circondato da tutta la sua corte di angeli, madonne e apostoli, la sezione inferiore, le cui differenze di stile fanno sorgere qualche dubbio sull'attribuzione dell'opera, ci racconta attraverso una curiosa tecnica pre-fumettistica la storia del miracolo della neve. In particolare nella rappresentazione del sogno del patrizio Giovanni, fa sorridere ritrovare il prototipo della classica nuvoletta dei fumetti, realizzata attraverso la raffigurazione di un tubo (o di un raggio) che, dipartendosi dalla testa dell'uomo dormiente, si ricollega ad un clipeo contenente la protagonista del sogno nella sua veste di consulente immobiliare.<br />
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Ma quale potrebbe essere la vera origine di questa leggenda che ha avuto una così grande risonanza nel corso dei secoli? Una grandinata estiva? Un'allucinazione collettiva? Una delle ipotesi più affascinanti ci viene suggerita da una rappresentazione tardiva dello stesso episodio rappresentata nell'opera intitolata "il miracolo della neve" (1428) del grande Masolino da Panicale, oggi conservata nella galleria di Capodimonte a Napoli.<br />
Questo dipinto è stato oggetto di interesse per tutti gli appassionati di ufologia a partire dagli anni Settanta, in quanto considerato prova di un avvistamento di oggetti volanti non identificati avvenuto e (conseguentemente interpretato in chiave religiosa) in un passato non proprio recente. La definizione dei contorni delle nuvole e il loro modo di procedere da dietro le montagne in un ordinatissimo schema di coppia, sulla scorta di una grande nave madre in stile "Visitors", sembrerebbe in effetti suggerire qualcosa di più di un banale episodio meteorologico. Per il resto non mancano la neve e papa Liberio che, in un impeccabile stile da provetto giocatore di golf, realizza il tracciato della basilica.<br />
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Per capire questo legame tra la neve e un possibile "incontro ravvicinato" ci viene subito in mente un altro storico episodio, avvenuto in questo caso a Firenze nel ben più recente 1954. La data è ricordata come quella del più importante avvistamento ufologico della storia nazionale, avvenimento che venne riportato in prima pagina da tutte le cronache dell'epoca e al quale assistettero migliaia di testimoni, tra cui diversi giornalisti e lo stesso capocronista della Nazione. E se perfino una partita di calcio (Fiorentina-Pistoiese) venne interrotta per venti minuti, quando anche i giocatori furono distratti dalle evoluzioni di alcuni oggetti volanti luminosi sopra lo stadio, allora abbiamo la conferma del fatto che si trattò effettivamente di un evento epocale.<br />
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La cosa interessante è che, in concomitanza con gli avvistamenti, Firenze venne interessata dal misterioso fenomeno di una "nevicata" di materiale vetroso simile alla bambagia, che imbiancò alcuni punti della città per poi dissolversi velocemente al contatto con il terreno. Tale materiale venne ribattezzato "bambagia silicea", in quanto, una volta analizzati alcuni campioni, risultò essere costituito perlopiù da boro e silicio. Residui industriali di una qualche azienda tessile portati dal vento? Scarti produttivi di una vetreria della zona? O addirittura, come si ipotizzò con una certa convinzione, un fenomeno scientifico connesso alla migrazione di una specie di ragni, che producono in natura questo materiale simile alle ragnatele, per poi attaccarvisi e lasciarsi trasportare dal vento nel loro percorso migratorio? Ancora oggi le diverse ipotesi rimangono aperte. Ma è possibile che qualcosa di simile potesse essere avvenuto anche a Roma in quella mattina d'agosto del 352? E' ovvio che in un'epoca totalmente intrisa di cultura religiosa non ci sarebbe stato spazio per alcuna ipotesi di migrazione aracnide, e l'unica spiegazione possibile avrebbe coinciso con la manifestazione di un segno divino. Se dunque si fosse trattato di neve, grandine o bambagia silicia possiamo solo immaginarlo. Quel che è certo è che ancora oggi, nella celebrazione della rievocazione del miracolo durante la messa del 5 di Agosto, possiamo ancora assistere all'interno di S.Maria Maggiore ad una "vera" nevicata di petali di rosa che, lasciati cadere dal meraviglioso soffitto a cassettoni della basilica, realizzato con il primo oro giunto dalle Americhe alla fine del Cinquecento, riesce ancora a lasciarci a bocca aperta. L'evento viene ripetuto anche all'esterno con il supporto di effetti speciali, ma forse in questo caso tanta tecnologia non è sempre del tutto gradita alla Madonna, se pensiamo che nel 2012 uno dei camion con l'attrezzatura venne rubato costringendo l'organizzazione alla cancellazione dell'evento. Ma almeno in questo caso possiamo dire di avere una certezza: gli alieni questa volta non c'entravano un cazzo!<br />
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I mosaici della loggia sono visitabili tutti i giorni della settimana dalle 9:00 alle 18:30 al costo di 5 euro a persona.<br />
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<br />Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-31369394111029374352013-12-26T08:35:00.000-08:002014-01-05T06:04:27.255-08:00Dice che a Natale bisogna ricordasse pure de MitraRoma è una città che va letta strato dopo strato come un'unica storia senza interruzioni, dove ogni cosa è stata qualcos'altro, in un continuo processo di cambi di identità che neanche le spie della guerra fredda. Scavare nel proprio passato per trovare il prima, l'altro, la causa, non è psicologia d'accatto, ma è leggere Roma, ed è quello che rende questa città unica al mondo. A Roma si guarda indietro e poco avanti, sotto ma non sopra, fino al paradosso di ritrovarci con pochissime stazioni metro e un sacco di Mitrei. E il prossimo che prova a dire che a Londra e Berlino "ce stanno molte più linee della metropolitana" lo spedisco a calci in culo a Londra e Berlino, perchè alla fine tutto questo passato sotto i piedi bisogna anche un pò meritarselo.<br />
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Nel sottosuolo di Roma esistono diversi Mitrei, templi sotterranei dedicati al culto della divinità orientale Mitra, il giovane dio dal berretto frigio. Si può dire che il Mitraismo abbia preceduto e posto le basi per la diffusione del nostro attuale Cristianesimo, anche e soprattutto da un punto di vista architettonico: i Mitrei romani si trovano infatti spesso al di sotto delle chiese cristiane, soppiantati fisicamente in quell'inevitabile processo di distruzione, riappropriazione e assorbimento del paganesimo. La nostra possibile alternativa in uno "sliding doors" delle religioni, se l'imperatore Costantino o chi per lui non avesse deciso diversamente. Il mitreo di Santa Prisca è quello che meglio ci racconta questo culto attraverso gli stucchi e le tracce dei suoi affreschi, illuminando in parte una tradizione misterica che non ha lasciato nulla di scritto, e dove solo gli adepti avevano la facoltà di tramandare oralmente le complesse regole e i rituali. Il culto venne importato a Roma dall'oriente dai legionari che facevano ritorno dalle campagne nelle provincie dell'est. Si basava sul concetto di fedeltà, di patto (mitra) ed era caratterizzato da dure prove di iniziazione, per un rituale che vedeva il suo culmine in un grandioso banchetto di gruppo. L'ideale per un soldato fomentato che tra cameratismo, prove di forza per "scoattare" e una sbronza collettiva, sembrava aver trovato la strada più consona per avvicinarsi alla spiritualità. Decisamente un affare per soli uomini che, nel suo percorso iniziatico e nell'elemento di esclusività maschile, ricorda molto una sorta di massoneria ante-litteram. Il culto originale venne infine modificato e alleggerito, lasciando al centro il simbolismo di Mitra, inviato dal dio sole per creare e fecondare la terra.<br />
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Come tutti gli altri, anche il mitreo di Santa Prisca si presenta con le caratteristiche di una grotta, a rappresentare il luogo della nascita del dio (vi ricorda qualcosa? provate a dare un'occhiata al presepe in soggiorno), dove al centro dell'ambiente campeggia la scena madre, cuore dell'intera religione: la cosiddetta "tauroctonia", l'uccisione del toro con un pugnale da parte di Mitra, l'atto con il quale tutto ha inizio. A differenza degli altri mitrei in questo caso la scena è rappresentata come un bassorilievo a stucco e si caratterizza per la curiosa presenza del dio Saturno sdraiato, realizzato principalmente attraverso il riciclo di "cocci" di anfore, probabilmente da qualche scultore alternativo, antesignano moderno degli artisti radical-chic-eco-riciclatori di materiali per opere d'arte.<br />
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Mitra ci appare col suo svolazzante mantello rosso e una divertente espressione da "bambacione" (in questo caso senza il berretto frigio, che effettivamente sarebbe stato troppo). Colui che si presenta come un moderno Superman sovrappeso de Torpigna è in realtà il dio che salva il mondo, lontano anni luce dal sexy hipster suo "concorrente" che ci hanno abituato a vedere nelle fiction nostrane sotto Natale. Mitra nasce secondo la tradizione dalla nuda roccia in una grotta (ma non al freddo e al gelo come verrebbe voglia di cantare in questo periodo) nel giorno del <i>sol invictus</i>: quel 25 dicembre riciclato in ogni culto pagano, e successivamente cristiano, come giorno della nascita della luce, e quindi della salvezza. Egli salverà il mondo con un atto di forza: la tauroctonia, l'uccisione del toro dal cui sangue e sperma si feconderà la terra e nascerà la vita. Un orgia di sangue e animali con un preciso simbolismo, con il cane e il serpente che lambiscono il sangue e uno stronzissimo scorpione che attenta alle palle del toro per evitare che il suo seme fecondi la terra per portare la rinascita. Questa affascinante visione ritualistica dal sapore agrario, acquista in realtà una simbologia ancora più universale. Da quest'atto si crea infatti l'universo a partire dalla barbarie primordiale e scaturisce il movimento dei pianeti che danno vita al tempo, altro elemento fondamentale del culto mitraico, che eviterò di sciorinarvi, un pò per la sua complessità e un pò perchè in fondo, mancando precisi riferimenti scritti, si tratterebbe solo di ipotesi e dissertazioni prive di un'assoluta veridicità (e con questa me la so' sfangata). L'ingresso alla grotta del mitreo di santa Prisca riporta simbolicamente al concetto di tempo grazie alla presenza, a mò di guardiani, di ciò che rimane delle statue dei due giovani dadofori (portatori di fiaccole), uno con la fiaccola abbassata e l'altro con la fiaccola alzata: l'inizio del tempo e la sua fine, con il dio Mitra che ne assurge allo zenith. Una sorta di trinità temporale che si esaurisce in un ciclo, come una rappresentazione teatrale del mondo dove Cautes e Cautopates (questi i loro nomi) sono le maschere che accompagnano e congedano il pubblico per la visione del più grande spettacolo (dopo il big bang, direbbe Jovanotti).<br />
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Altra caratteristica importante del mitreo di santa Prisca è l'affresco, ormai consumatissimo, in cui viene rappresentata una curiosa processione che finalmente ci illumina su quelli che ragionevolmente potevano essere i sette gradi di iniziazione al culto mitraico. Un percorso fatto di sette livelli, ciascuno tutelato da un pianeta. Si parte dal "Corvo", il messaggero del Sole che stipula il patto con Mitra conducendolo alla tauroctonia. Seguono il "Ninfo" (stato di elevazione spirituale, tutelato da Venere), il Miles (il soldato, tutelato da Marte e al cui status corrispondeva il superamento di dure prove in stile confraternita universitaria, tipo l'immersione in una pozza d'acqua gelida), il "Leone" (protetto da Giove, incaricato di occuparsi della celebrazione del banchetto, in poche parole quello che porta le birre e passa tutto il tempo davanti alla brace durante i barbecue) e infine il "Persiano" (chiaro riferimento all'origine orientale del culto, protetto dalla Luna) e l'"Eliodromo", il grado più alto e più vicino alla divinità, secondo solo all'ultimo, sommo livello: quello del Pater, l'identificazione stessa del dio in terra. Per tornare al simpatico Leone, l'affresco sulla parete sinistra rappresentava la processione dei Leoni nell'atto di portare le libagioni (con tori, galli e maiali), mentre alla fine scorgiamo il Sole e Mitra che banchettano insieme (notate nella foto uno splendido sole dotato del familiarissimo simbolo dell'aureola). Un ultima curiosità sul mitreo di S. Prisca è la presenza di un ulteriore ambiente sulla sinistra, ritenuto essere una sorta di spogliatoio per la preparazione della celebrazione, dove evidentemente anche l'estetica dei costumi era necessaria per fare la propria porca figura.<br />
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Esistono numerosissimi punti di contatto tra Mitraismo e Cristianesimo (la nascita del dio in una grotta il 25 dicembre, la presenza dei pastori, il concetto di trinità, l'elevazione spirituale verso un regno dei cieli in una concezione salvifica e catartica), per quanto l'estetica della ritualità si discosti notevolmente, e il banchetto pane e vino della liturgia cristiana risulti infinitamente più sobrio. Sta di fatto che fu proprio il Cristianesimo a soppiantare questo culto, enormemente diffuso fino al terzo secolo dopo Cristo, forse a causa dei suoi limiti riscontrabili in una partecipazione di base troppo elitaria e misterica, che escludeva le donne, o forse semplicemente per una scelta politica, quando Costantino decise di convogliare tutte le esigenze di spiritualità del popolo romano verso un'unica religione, che possibilmente presentasse tutti i vantaggi di un controllo politico: monoteista, universale e soprattutto controllabile, ovvero, per tornare a Mitra, "alla luce del sole". Quello stesso sole che vi invito riscoprire nei nostri sotterranei, in quelle grotte artificiali dove ancora oggi è possibile respirare il fascino del mistero e tutta la suggestione di un culto arcano e ancora sconosciuto. E se a Berlino c'hanno la metro, bhe...noi c'avemo Mitra. E scusate se è poco.<br />
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Il mitreo di S.Prisca si trova in via di S.Prisca all'Aventino (nei sotterranei dell'omonima chiesa) ed è visitabile solo su prenotazione chiamando al numero 06 399 67 700.<br />
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<br />Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com14tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-75246192889187636792013-10-14T02:41:00.001-07:002013-10-15T06:38:18.088-07:00Dice che da vicino nessuno è normale<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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"Visto da vicino nessuno è normale". Lo scopriremo durante questa difficile visita al complesso di S.Maria della Pietà, l'ex manicomio di Roma definitivamente chiuso nel troppo recente 1999 in seguito alla definitiva applicazione della legge Basaglia del 1978. Tra i viali alberati del parco, riconvertito in area verde oggi frequentata da joggers e famigliole, si impone la presenza di quei 34 decadenti padiglioni, e sembra impossibile non percepire il dolore di chi ha vissuto questi luoghi sulla propria pelle. Riportare la normalità lì dove la normalità non c'è mai stata, una contraddizione che stride e affascina allo stesso tempo. E' ora di abbandonare il maledettissimo politically correct e parlare di pazzi e di follia, perchè chi pazzo non ci è entrato, lo è certamente diventato una volta varcata questa soglia. E questo a causa di una legge sopravvissuta troppo a lungo ( legge Giolitti del 1904) che obbligava all'internamento persone ritenute "socialmente pericolose o di pubblico scandalo" (e quindi anche orfani, omosessuali o ragazze madri), un'aberrazione che poneva l'accento sul "comportamento" e la conseguente separazione dal corpo sociale, ma non sulla cura del disagio. Una legge volta a segregare, eliminare, annullare l'essere umano, portarlo al di fuori della società affinché venisse definitivamente rimosso (come quei bambini di strada rastrellati e rinchiusi in occasione delle pulizie generali per il santo giubileo del 1950).<br />
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Mi è stato fatto notare tra amici che sarebbe più corretto da parte mia parlare di "persone con disagi psichici", ma in certi casi di terminologicamente corretto non c'è assolutamente un cazzo, e solo il termine pazzia può definire a 360 gradi chi ha subito questo inferno, chi ha concepito certi meccanismi, chi è riuscito a mantenere la lucidità e un sentimentio umano nonostante tutto (penso al grande Adriano Pallotta, ex infermiere del S.Maria della Pietà e memoria storica di questi luoghi). Pazzia come violenza, a volte come genialità di un'espressione artistica, e fortunatamente pazzia di chi in tempi insospettabili ha avuto il coraggio di mettere ogni cosa in discussione contro tutto e tutti. A partire dallo psichiatra Franco Basaglia, che con le sue idee rivoluzionarie e incentrate sulla storia e l'individualità del singolo, ha portato a quello sconvolgimento finalmente confluito in una legge che porta il suo nome, per la chiusura dei manicomi e per un approccio volto al reinserimento e non all'esclusione sociale. Ma oltre e insieme a lui c'era anche chi portando avanti le stesse idee aveva molto più da perdere e da rischiare. Come l'infermiere Adriano Pallotta, fautore del cosiddetto blitz al padiglione 16, quando, in anticipo sulla legge e con un vero e proprio atto rivoluzionario scaturito da riunioni segrete e violente discussioni interne, vennero ufficialmente richieste e fatte approvare poche fondamentali regole per cominciare a rendere più umani e sopportabili quei luoghi senza vita: dalla conquista di una maniglia per aprire la porta, al sollievo di un attività ricreativa, per uomini ormai ridotti a zombi come semplici occupanti di uno spazio chiuso. Verso di lui c'è l'ammirazione per il coraggio, ma soprattutto per l'intelligenza e la lucidità di un uomo che, parte integrante di quel mondo chiuso all'esterno, è riuscito nonostante tutto a concepire che le cose sarebbero potute essere anche diverse da quello che erano.<br />
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Tutto questo ci viene raccontato all'interno del padiglione 6 nel nuovo "museo laboratorio della mente". Il museo è un piccolo gioiello per innovazione e metodologia, grazie anche alle sorprendenti installazioni realizzate dallo studio Azzurro. Devo ammettere che solitamente divento allergico al solo sentire parlare di "installazioni", termine che mi riporta alla mente sedicenti artisti fancazzisti e figli di papà che il più delle volte concettualizzano il nulla assoluto mettendo insieme rifiuti urbani, tracce audiovisive distorte e oggetti esposti nella solitudine di uno spazio che potrebbe essere occupato molto più funzionalmente da qualche cassa di birra. E mentre il pubblico si atteggia ad esperto, i veri grandi artisti del passato si rigirano nella tomba. Ebbene al museo della mente ho deciso di ricredermi completamente abbandonando ogni mio pregiudizio con tanto di mea culpa, di fronte alla rara eccezione di "installazioni" (mi costa dirlo) non solo dotate di un significato profondo e perfettamente condivisibile, ma dove la funzionalità della sperimentazione si accompagna ad una cura estetica di grande impatto.<br />
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Ed è attraverso di esse che si svolge la prima parte del percorso, dove prima ancora di "assistere" come spettatori morbosi e commossi alle storie tragiche di chi ha vissuto in questi padiglioni, saremo costretti a concentrarci su noi stessi e sui meccanismi della nostra mente, in un costante parallelismo fra le nostre percezioni e quelle di chi ha davvero varcato questa soglia, fisica e mentale. Si parte con la cosiddetta "camera di Ames" e le sue alterazioni percettive, per stabilire quel principio che dovrà accompagnarci durante tutta la nostra esperienza: la mente lavora in modo assolutamente pregiudiziale. Assistendo ad un effetto ottico di tipo spaziale, capiremo che è più semplice distorcere la realtà piuttosto che mettere in discussione i modelli così come abbiamo imparato a percepirli sin dall'infanzia. Lo stereotipo e il pregiudizio come pericolosa autodifesa. E così si procede in una reintepretazione delle patologie psichiche (l'illogico assedio di voci e parole, lo sdoppiamento della propria immagine riflessa, il dissociamento espressivo di chi parla senza riuscire ad ascoltare e viceversa) con pezzi di noi che ritornano nelle stanze successive, sotto forma di parole o immagini precedentemente registrate.<br />
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A questo punto saremo sufficientemente pronti ( e scossi psichicamente) per varcare la soglia della follia, una follia più subdola di quella sfoggiata in macchina o al telefono poco prima di entrare. Ci prestiamo quindi alla foto segnaletica per un ingresso simbolico tra le figure di questo passato, per poi successivamente ritrovare il nostro volto confuso tra quelli degli ex pazienti su uno schermo che controlleremo da seduti dondolandoci avanti e indietro, affinchè persino la fisicità gestuale della follia entri a far parte di noi. E se vorrete sperimentare le famose "voci nella testa", basterà accomodarsi con i gomiti appoggiati su un tavolo (ben posizionati sul punto di emissione) e le mani a coprire le orecchie, per lasciarvi deliziare da un'inquietante sequela di "nonsense" sparata direttamente nel vostro canale uditivo, dalla lista delle spesa alla quintessenza dei deliri paranoici. L'effetto acquista un senso anche visto dall'esterno: gli osservatori potranno sperimentare la vostra figura con la testa stretta fra la mani come quella di un paziente che voglia fermare questa oppressione interna, con voi stessi che diventerete parte attiva dell'installazione mentre interpretate la (vostra?) pazzia.<br />
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La seconda parte della visita riproporrà la ricostruzione (e la conservazione) di alcuni ambienti originari, dallo studio medico, luogo di speranza e umiliazione, alla farmacia, alla cosiddetta camera di contenzione, la stanza dove il paziente veniva legato al letto con delle fasce per un tempo variabile tra poche ore a qualche anno (sì, addirittura anni), il tutto per comportamenti arbitrariamente non graditi. E se la vista della camera di contenzione non fosse di per sé abbastanza forte, il fatto di spiarla in solitudine attraverso un foro sulla porta vi regalerà l'effetto speciale aggiuntivo di farvi sentire degli stronzi morbosi. Infine il refettorio, luogo di comunione e di consumo dei pasti, rivive in una raffinata trovata multimediale come archivio documentaristico. Ed è così che toccando alcuni documenti apparentemente dimenticati su un tavolaccio di legno, si apriranno le storie, le interviste e le testimonianze di chi questo mondo, da vittima o carnefice senza alcuna distinzione di ruoli, l'ha vissuto durante tutti questi anni. Si ricostruisce così il mosaico di una vera a propria città autosufficiente dove gli attori si muovono in gruppi: i medici intoccabili e distanti, gli infermieri divisi tra umani e aguzzini, i pazienti scrupolosamente classificati per genere e caratteristiche comportamentali, e infine le suore gendarmi. Grazie a queste testimonianze si cerca di restituire l'unicità e l'individualità ad ogni singola persona. Si restituisce all'uomo la sua storia, quello che veramente conta nell'approcciarsi con il diverso da noi, a tutti i livelli. Fa quasi sorridere che proprio durante una visita che vuole sconfiggere ogni stereotipo, ritorna nelle frasi, nei racconti, nelle testimonianze, forte e tragicomico, lo stereotipo delle suore implacabili e crudeli, quelle che ordinavano l'elettroshock, che punivano i pazienti, che vessavano gli infermieri. L'unico gruppo dei quattro tra i quali sembra non emergere nessuna individualità positiva, uno stereotipo che nemmeno il mito di miss Pony in Candy Candy è riuscito a scalfire dai lontani giorni dell'asilo, e che in questo caso sembra trovare la sua rassicurante conferma. </div>
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Le installazioni, i documenti, i filmati, gli oggetti personali accatastati nella ricostruzione di quella che veniva definita "la fagotteria", ovvero il luogo dove i pazienti venivano spogliati di ogni effetto personale (che banalità sarebbe dire "e anche della loro dignità") per mettersi nella mani di un folle esperimento collettivo, tutto contribuisce a sorprenderci, emozionarci, farci sorridere (perchè no?) e prenderci a pugni. Ma forse l'effetto non sarebbe stato la stesso senza la preziosa presenza di Adriano Pallotta, il rivoluzionario infermiere di cui vi ho parlato. Lo rivediamo alternativamente tra i filmati e poi in carne ossa davanti a noi, a raccontarci le stesse storie e a trasmetterci la stessa emozione. Sembra quasi che sia un effetto voluto, in continuità con quel gioco di voci, immagini e parole che ritornano e rimbalzano da una stanza all'altra con risultati percettivi differenti. Adriano è sullo schermo, nella stanza, nel filmato multimediale, e di nuovo fuori a fumarsi una sigaretta e a scherzare con noi. Sto impazzendo davvero? Mi sono venuti gli occhi lucidi e questo in un museo non succede.<br />
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E' difficile rimanere lucidi e corretti parlando di una visita così emozionante. Chi si aspettava (chi mi ha chiesto) che aiutassi a far conoscere questo luogo straordinario raccontandolo con distacco e la giusta dose di politically correct rimarrà deluso. Sono certo che tornerò nuovamente, ancora e ancora, morbosamente attratto dal mistero della psiche, dalla percezione forte di un dolore vissuto (perchè siamo così?) e più semplicemente dalla normale attrattiva di un museo così ben organizzato e all'avanguardia, incredibilmente ancora troppo nascosto e sconosciuto. Come disse Basaglia ispirato dalle parole di un uomo che dopo anni di segregazione dal mondo era terrorizzato all'idea di "entrare fuori", è ora di far cadere le barriere mentali e fisiche per poter infine "entrare fuori e uscire dentro".</div>
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Se vi perdete questa visita siete dei pazzi, e affanculo il politically correct.<br />
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Il museo laboratorio della mente è situato nel padiglione 6 del comprensorio di S.Maria della Pietà, in Piazza S.Maria della Pietà 5, ed è visitabile dal lunedì al venerdì tra le 9:00 e le 17:00 e il sabato tra le 9:00 e le 13:00. Ingresso 5 euro, tel.0668352927. </div>
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Ringrazio Antonella per avermi fatto conoscere questo posto, Alessandro Rubinetti per avermici portato fisicamente in una delle sue passeggiate teatrali e Adriano Pallotta (chiedete di lui) per i suoi racconti e la sua grande umanità.</div>
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Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com22tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-8392972692343740212013-09-21T10:08:00.000-07:002013-11-07T03:10:01.796-08:00Dice che Poussin si è portato il segreto nella tomba. Letteralmente.<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg_hclE5AE39zADAHqFh0aYEThcKZuFwLlpr4XlE29ah0FRXbI-XrvGLBMLy0IprYhyphenhyphen9k_TjvFm-MSAzPax9AeByn5jixO4lH8HY1_xDFMXMYXpT8E72xs62huM9ONubcX5nUQbhdqUML2v/s1600/031.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg_hclE5AE39zADAHqFh0aYEThcKZuFwLlpr4XlE29ah0FRXbI-XrvGLBMLy0IprYhyphenhyphen9k_TjvFm-MSAzPax9AeByn5jixO4lH8HY1_xDFMXMYXpT8E72xs62huM9ONubcX5nUQbhdqUML2v/s400/031.JPG" width="400" /></a></div>
In una Roma che può essere a ragione considerata anche capitale dei misteri, persino un semplice monumento funerario custodito all'interno di una chiesa, così come ce ne sono a centinaia, può trasformarsi in una meta affascinante alla fine di un percorso lungo secoli. Percorso intriso al tempo stesso di arte, umanesimo e improbabili congetture fantastoriche. La nostra tappa sarà la chiesa di San Lorenzo in Lucina, dove in questo caso saremo costretti a distogliere lo sguardo da tutte le sue bellezze artistiche, per concentrarci sul misteriosissimo sepolcro posto sulla destra della navata principale. Trattasi della tomba del grande artista Francese Nicolas Poussin, la cui visione potrebbe procurare un improvviso deja-vu agli appassionati di arte del Seicento, o molto più realisticamente e terra terra a tutti quegli indomiti e impenitenti spettatori del programma televisivo "Voyager". Di fronte a noi un sepolcro, un'iscrizione e un bassorilievo a rappresentare l'opera piu' celebre del nostro pittore: ET IN ARCADIA EGO! Ma da dove parte questa storia?<br />
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Nel 1625 giunge a Roma la regina Cristina di Svezia, in seguito alla sua decisione <span class="Apple-style-span" style="-webkit-composition-fill-color: rgba(175, 192, 227, 0.230469); -webkit-composition-frame-color: rgba(77, 128, 180, 0.230469); -webkit-tap-highlight-color: rgba(26, 26, 26, 0.296875);">di abdicare al trono come conseguenza della sua conversione al cristianesimo. Nonostante il suo apparente fervore religioso racchiuso in questa scelta, Cristina di Svezia si rivela in breve un personaggio ambiguo e allo stesso tempo "illuminato", e ben presto il suo salotto della residenza romana di palazzo Riario inizia ad essere frequentato dal fior fiore della cultura del tempo, cultura intrisa di esoterismo ed interessi alchemici, dove l'arte e la letteratura si mescolano a dissertazioni che in tempi neanche troppo lontani erano già stati causa della combustione di più di qualcuno (vedi Giordano Bruno). Ed è proprio all'interno di questo circolo culturale che successivamente, nel 1690, viene formandosi l'idea di costituire una vera e propria accademia artistico-letteraria in onore della defunta regina: l'Accademia dell'Arcadia. Il nome Arcadia è un tributo alla regione agreste del Peloponneso in Grecia che, ispirandosi al poeta Teocrito e alle bucoliche di Virgilio, diventa scenario ideale per una poesia classicheggiante, con per protagonisti pastori lamentosi che declamano idilli d'amore sprofondati nell'incanto di un'amena campagna. Una replica a sfregio al gusto barocco dell'epoca, considerato volgare e chiassoso, ma anche un ritorno alle origini di un paganesimo imbevuto di ermetismo e filosofie esoteriche. Ed ecco allora che tra pecore e sbadigli comincia a farsi strada un elemento sotterraneo, elemento legato all'Arcadia che fa la sua prima comparsa nel celebre quadro di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino, in largo anticipo sulla costituzione dell'accademia (potete ammirarlo a Roma nella galleria Barberini).</span><br />
<span class="Apple-style-span" style="-webkit-composition-fill-color: rgba(175, 192, 227, 0.230469); -webkit-composition-frame-color: rgba(77, 128, 180, 0.230469); -webkit-tap-highlight-color: rgba(26, 26, 26, 0.296875);"><br /></span>
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Il soggetto rappresenta due pastori che, apparentemente smarriti in una selva oscura (beccateve la citazione), si imbattono in un sepolcro dove campeggia la scritta "Et in Arcadia ego". Un teschio in primo piano e varie bestie notturne fanno da corollario al concetto mortuario che, con la violenza di uno schiaffo, si inserisce a tradimento nell'atmosfera bucolica della campagna. A lungo i "complottisti" si sono interrogati sul significato simbolico del dipinto e di questa scritta, e taluni hanno maldestramente tentato la strada di un riferimento al misterioso sepolcro della Maddalena, secondo alcune mirabolanti teorie approdata in Europa e divenuta capostipite della stirpe dei re Merovingi in Francia (per chi avesse letto il codice Da Vinci sa di cosa parlo). A convalidare la delirante teoria il presunto foro sul teschio, praticato secondo la ritualità dei Merovingi come uscita di sicurezza dell'anima in punto di morte. Ebbene il foro si rivela ad un analisi neanche troppo accurata essere niente altro che una maledettissima mosca, tra l'altro magistralmente dipinta. Una versione più accreditata traduce la scritta con "E anche io (sono) in Arcadia" o meglio, "anche io, (la morte), sono in Arcadia", ovvero "anche in questo bel posticino prima o poi stirerete le zampe", quindi godetevela o comunque non illudetevi. Insomma il classico <i>memento mori</i> che rovina la festa. A questo punto vi starete chiedendo cosa c'entra Poussin e il suo sepolcro. Ebbene anche Nicolas Poussin, artista francese giunto a Roma, annovera nel suo curriculum artistico ben due versioni di "et in arcadia ego", sulla stessa linea del Guercino.<br />
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Anche sul presunto significato simbolico di queste opere si e' scatenato un vero e proprio marasma di congetture che rimandano nuovamente al tema dell'esistenza di una presunta tomba di Cristo e della Maddalena in quel di Provenza, in particolare nel piccolo e inquietante villaggio di Rennes Le Château (la Twin Peaks dei Pirenei), il cui paesaggio in molti hanno voluto riconoscere sullo sfondo della seconda versione del quadro. Secondo queste ipotesi "et in Arcadia ego" sarebbe un'anagramma di " I! Tego arcana dei!", ovvero "Te ne devi annà (vabbè concedetemi una nota romanesca)! Io celo i misteri di dio". Aldila' di tutto questo circo, dal quale Dan Brown ha attinto a piene mani per il suo "codice Da Vinci", e' comunque indiscutibile la presenza di una simbologia appartenente alla tradizione esoterica. Mettendo a confronto le due versioni, noterete come nella seconda i pastori appaiano meno sgomenti, la donna, ora in abiti classicheggianti, sembra quasi rassicurare i suoi compagni, ma soprattutto la fonte di Alfeo (il personaggio di spalle in basso a destra nella prima versione, che rovescia acqua da un vaso), fonte che secondo la tradizione esoterica molto in voga nel Seicento sta a rappresentare il fiume della conoscenza segreta, risulta essere ormai esaurita! (si nota comunque la frattura del terreno dove precedentemente si nascondeva). Significa forse che il segreto e' stato ormai rivelato? E chi era il custode di questo segreto? Il fatto piu' strano e recente intorno a tutta questa storia riguarda un certo Bérenger Saunière, abate del borgo di Rennes Le Château dal 1885 e secondo una certa letteratura fantastorica presunto scopritore del mistero del Graal. Questo ambiguo personaggio manifestò un interesse ossessivo per questo dipinto, tanto da volersene procurare ad ogni costo una copia in una specie di "caccia al tesoro" che gli fruttò una ricchezza improvvisa e mai spiegata. Ad oggi possiamo ancora notare gli sconvolgenti ed inquietanti cambiamenti effettuati proprio nel suo piccolo villaggio in seguito alla presunta scoperta di tale rivelazione.<br />
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Tornando al periodo di Poussin, ecco che ad infittire il mistero entra in scena un nuovo personaggio, Nicolas Fouquet, intendente alle finanze alla corte del Re Sole in Francia. Grazie alla presenza di un suo fratello abate a Roma, tale Louis Fouquet, Nicolas si occupava tra l'altro di reperire in Italia opere d'arte destinate alla corte di Francia. Ecco il testo di una misteriosa lettera che l'abate Louis gli inviò da Roma:<br />
Roma, 17 aprile 1656<br />
"<i>Ho reso al signor Poussin la lettera che voi gli avete fatto l’onore di scrivergli… lui ed io abbiamo progettato certe cose delle quali potremmo intrattenervi a fondo tra poco e che vi doneranno, tramite il signor Poussin, dei vantaggi (se voi non vorrete disprezzarli) che i re durerebbero grande fatica ad ottenere da lui e che, dopo di lui, nessuno al mondo scoprirà nei secoli futuri; e quello che più conta, ciò sarebbe senza molte spese e potrebbe perfino tornare a profitto, e si tratta di cose da ricercare così fortemente che nulla di quanto esiste sulla terra potrà avere migliore fortuna od esservi uguale</i>".<br />
Lo sventurato Nicolas fece in seguito una brutta fine, incarcerato a vita dallo stesso re Luigi XIV per presunti scandali finanziari (che coincidenza, vero?), mentre il re riusci' comunque ad entrare in possesso del quadro di Poussin, che venne conservato negli appartamenti privati di Versailles fino alla fatidica rivoluzione francese (oggi e' esposto al Louvre).<br />
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Quale segreto a conoscenza di Poussin avrebbe potuto procurare questi enormi vantaggi? E soprattutto, si faceva riferimento a vantaggi materiali, o all'acquisizione di conoscenze? (non dimentichiamoci il clima culturale dell'epoca, gli interessi esoterici e soprattutto alchemici). Di sicuro Poussin era consapevole di essere il custode di una qualche conoscenza, e ce lo dichiara apertamente in un suo celebre autoritratto, dove compare sullo sfondo l'immagine di una donna che indossa un copricapo sul quale campeggia il famigerato terzo occhio, simbolo della "conoscenza esoterica". Un sapere di tipo alchemico, o un segreto ancora piu rivoluzionario, che secondo le teorie che ruotano intorno al mistero di Rennes Le Château, avrebbe potuto scardinare gli equilibri della religione occidentale?<br />
Ebbene proprio in questa chiesa, lungo quella stessa linea d'ombra attraverso la quale l'antica meridiana dell'imperatore Augusto indicava l'ora nona, a distanza di un secolo dalla sua morte e' stato eretto il monumento funebre in onore di Poussin. Il committente fu l'allora ambasciatore di Francia a Roma, Francois Rene' de Chateaubriand, Cavaliere dell'ordine del Santo Sepolcro (e te pareva che non uscivano fuori i Templari). La traduzione dell'epitaffio latino, attribuito a Pietro Bellori, bibliotecario di Cristina di Svezia, non potrebbe essere piu' eloquente: "Trattieni il pianto sincero, in questa tomba vive Poussin, che aveva dato la vita ignorando egli stesso di morire. Qui egli tace eppure, se vuoi sentirlo parlare, è sorprendente (come) VIVE E PARLA NEI (suoi) QUADRI".<br />
Ed ecco ancora una volta "et in Arcadia ego" e i suoi pastori, stavolta in versione di bassorilievo, a trasformare il sepolcro di Poussin in quello stesso sepolcro scovato nei boschi dell'Arcadia, probabilmente custode di quegli stessi segreti. Il mistero è ancora aperto!<br />
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Per ripercorrere i passi di questa storia potete visitare:<br />
Palazzo Riario, con gli appartamenti della regina Cristina di Svezia<br />
La galleria nazionale di arte antica a Palazzo Barberini, con la tela del Guercino "et in Arcadia ego"<br />
e chiaramente la chiesa di S.Lorenzo in Lucina con il sepolcro di Poussin.<br />
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Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com30tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-30809941928373215652013-07-09T08:56:00.000-07:002013-07-12T02:31:12.428-07:00Dice che a S.Pietro assisteremo a un parto"Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini" ovvero "quello che non fecero i Barbari, lo fecero i Barberini", e che si parli di devastazione risulta abbastanza evidente dalla natura del primo soggetto.<br />
Con questa celebre "Pasquinata" si andava a colpire lo scellerato <i>modus operandi</i> della famiglia Barberini, consistente nello spoliare i più celebri monumenti dell'antichità, riutilizzandone i materiali per la costruzione di chiese e palazzi cardinalizi. In poche parole una trasformazione in sacro dell'elemento pagano, il tutto con una semplice operazione di riciclo palazzinaro (a loro discolpa si può dire che non furono i primi né gli ultimi).<br />
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L'attacco si rivolgeva in particolare a papa Urbano VIII, per gli amici Maffeo Barberini, il quale commissionò al suo artista di fiducia Gianlorenzo Bernini la fusione degli antichi bronzi che rivestivano la struttura del pronao del Pantheon, per farne un monumentale baldacchino da schiaffare nel cuore della nuova basilica Vaticana, proprio all'altezza del sepolcro dell'apostolo Pietro. Potremmo a questo punto giurare che il materiale bronzeo rappresenti l'unica componente di origine pagana dell'insigne opera d'arte? Per scoprirlo vi invito a (ri)visitare uno dei luoghi più conosciuti al mondo (confessate che non mettevate piede a S.Pietro più o meno dalla quinta elementare), questa volta con il proposito di provare a "Guardare" veramente, per riuscire infine a scovare il lato "insolito" di un celebre monumento, celato nel pieno di un flusso turistico ai limiti del sopportabile. E se ritenete che la scena di un parto rappresentata nel cuore della basilica della cristianità universale sia una cosa sufficientemente insolita, allora avrete fatto bene a fidarvi.<br />
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Allontanando lo sguardo dall'architettura centrale del baldacchino e scorrendo la decorazione dei quattro piedistalli alla base delle colonne, ci accorgeremo infatti di come gli scudi con lo stemma del pontefice, esattamente come in una sequenza cinematografica, rivelino la sorprendente cronaca per immagini di un vero e proprio parto nelle sue diverse fasi. La lettura ha inizio dalla colonna frontale di sinistra e, seguendo il senso orario, si conclude sulla colonna frontale di destra. Un volto di donna, nascosto tra lo stemma e le chiavi di San Pietro, racconta di scena in scena il proprio travaglio attraverso le sue realistiche espressioni: dal volto contratto, alla sofferenza, al grido di dolore (con le probabili <i>smadonne</i> che le lettrici in particolare non faranno fatica ad immaginare), fino al sollievo post faticata con tanto di capelli appiccicati sulla fronte, mentre sull'ultimo bassorilievo troveremo al suo posto il volto paffuto di un cherubino, il bambino appena nato. Lo stesso scudo, stemma del pontefice Barberini guarnito con le sue immancabili api, diventa metafora di un ventre femminile, che coerentemente con l'espulsione sembra "sgonfiarsi" nel corso della sequenza (guardate l'ultimo e il primo in prospettiva tra loro). E non finisce qui! Un grottesco mascherone alla base nasconde la rappresentazione anatomicamente accurata degli stessi organi di riproduzione femminili.<br />
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Per secoli l'intera sequenza è stata snobbata, tanto che le prime osservazioni su questa presenza anomala si riscontrano solo a partire dal diciannovesimo secolo. Ma quale potrebbe essere il significato di questo racconto all'apparenza molto poco consono con il luogo? In soccorso arriva immancabilmente una certa aneddotica di stampo popolare, secondo cui il Bernini avrebbe messo incinta una nipote del Papa (nipote a quei tempi uguale figlia illegittima), il quale a sua volta si rifiutò di benedire l'unione provocando nello scultore il desiderio di questa piccola vendetta a sfregio. Alla versione "radio serva" si affianca l'ipotesi lacrimevole di un poco credibile Urbano VIII, che volle celebrare la felice riuscita del parto, considerato a rischio, di una sua stretta parente. C'è infine la versione più tecnica, che fa riferimento a un parallelismo con i nove mesi di tempo occorsi al Bernini per realizzare lo splendido monumento. Ma era necessario tutto questo sfoggio di arte solo per dire" 'sto baldacchino è stato un parto"? In conclusione le storielle appaiono molto poco convincenti, mentre piuttosto risulterebbe sensato riportare il tutto ad una lettura più profonda.</div>
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In particolare faccio riferimento ad una precisa simbologia di stampo medievale, parte integrante del complesso rituale di insediamento del neoeletto pontefice in vigore fino agli inizi del Secolo XVI, in funzione della quale venivano utilizzati tre distinti sedili di epoca imperiale. Tra questi una sedia da parto (quindi forata al centro), sulla quale si dice che il papa dovesse accomodarsi assumendo la posizione da partoriente, al fine di simboleggiare il concetto di <i>Mater Ecclesia </i>(Madre Chiesa). Tutta questa pantomima, che ci appare indubbiamente grottesca e ridicola, va ricollegata in realtà a quell'universo simbolico tipicamente Medievale che oggi potremmo tranquillamente definire "terra terra". Le "raffinate" tecniche di comunicazione di massa utilizzate oggi (l'uso del "raffinato" è volutamente ironico), in assenza dei più efficaci mass media, avevano infatti al tempo la necessità di essere sostituite da ridondanti cerimoniali di grande gestualità, che potessero essere decodificati con estrema facilità dal popolo. Successivamente tale consuetudine iniziò ad essere ridicolizzata, in particolare negli ambienti più critici di provenienza Luterana, tanto che i suddetti sedili di epoca imperiale finirono per essere tramandati come "sedie col buco" atte a verificare la presenza degli "attributi" papali. Il tutto in conseguenza dell'episodio della celebre papessa Giovanna: il primo papa travestito (al contrario) che ebbe la sfortuna di farsi beccare, partorendo un bambino durante un corteo. Una leggenda che ebbe enorme risonanza nel corso di tutto il medioevo, e che nasconde un chiaro intento di propaganda anticlericale. Ad ogni modo, secondo questa degenerazione della leggenda, si asseriva che le sedie da parto avrebbero avuto la funzione di permettere a un giovane diacono di infilare la mano attraverso il buco fin sotto i paramenti del papa, ivi accomodato al momento dell'elezione, per verificare che fosse effettivamente un papa con le palle e non un'ennesima Giovanna (vi avevo avvertito che il Medioevo è terra terra).<br />
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Ritornando al nostro baldacchino è dunque possibile che, decaduta questa tradizione dell'uso simbolico del sedile, il Bernini, ma più probabilmente lo stesso papa Urbano VIII, uomo colto e amante della simbologia e dell'estetica, abbia voluto celebrare in maniera un tantino più raffinata rispetto allo svaccamento sulla sedia da parto il concetto di Mater Ecclesia. Ma non essendoci nessuna certezza tra le ipotesi, possiamo a questo punto permetterci di formularne qualcuna più personale. E' possibile che il Bernini abbia voluto fare riferimento a un concetto ben più potente e rischioso? Un elemento pagano di antichissima origine: il culto primordiale che ricorre nel passato comune di tutte le religioni conosciute. Sto parlando del culto della Madre Terra, il femminino sacro che ci riconduce alla Dea Madre. Un elemento femminile che proprio lì, nel cuore della cristianità universale, nel tempio di una religione dalla struttura profondamente maschilista, sarebbe apparso e ci appare tuttora come un azzardo, soprattutto in questa rappresentazione dai tratti così realistici. Ma in fondo siamo nel Seicento, secolo in cui si riscopre la centralità dell'uomo e i culti esoterici del passato, mentre l'arte e la letteratura si arricchiscono di antiche simbologie e codici nascosti. E il Bernini non era certamente estraneo a questo mondo. E se tutto questo è possibile, allora non dovrete certo stupirvi del fatto che, anche tra migliaia di turisti in sandali e bermuda, si possa ancora svelare un pezzo di quella Roma nascosta e misteriosa che così tanto ci affascina.<br />
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p.s<br />
La ricerca di questo dettaglio è stata l'oggetto di una divertente caccia al tesoro per indizi alla quale avete partecipato in molti. La vincitrice Rosangela (sua è l'ultima foto), si è aggiudicata una copia di "Roma Fuoripista" (gli altri lo possono acquistare su <a href="http://www.romafuoripista.com/">www.romafuoripista.com</a> o nelle librerie indicate sul sito). Per le prossime cacce al tesoro continuate a seguirmi sulla pagina facebook di Dice che a Roma.Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com21tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-55972838510493433142013-06-04T13:17:00.002-07:002013-07-10T06:20:15.859-07:00Dice che il grande Borromini era un Proto-Massone...(proto che?)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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Quanti segreti si nascondono nei palazzi romani! E con questo non mi riferisco alle migliaia di strutture abusive assolutamente mai sfiorate da condono edilizio, ma ai ben più rari tesori artistici e architettonici, gelosamente custoditi dietro gli imponenti portoni delle più belle residenze storiche del centro.<br />
Tra questi il non sempre accessibile Palazzo Falconieri, sede della prestigiosa accademia d'Ungheria, dove mistero e bellezza si fondono in un architettura in cui ogni cosa sembra tendere verso l'alto. A partire dai due falconi in topless, volatile omaggio femminile alle rampolle della famiglia, che posti ai lati della facciata rivolta su via Giulia, fanno da sentinelle a questa antica residenza, passata di mano in mano tra le migliori casate fino a divenire nel Seicento proprietà della ricca famiglia fiorentina dei Falconieri. Famiglia che deve la sua fortuna al monopolio sul commercio del sale, una risorsa preziosa che, così come lascia intuire la tristemente celebre espressione "'sto conto è troppo salato", è sinonimo da sempre di grande ricchezza. La scalata al successo diventa quindi metafora di un'ascesa al cielo: il falco predatore dell'aria come stemma della famiglia, i misteriosi soffitti dalle simbologie massoniche che catturano lo sguardo verso l'alto, e un'altana sospesa nel vuoto da cui dominare con lo sguardo l'intera città.<br />
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E' proprio in questo palazzo che scopriamo gli aspetti più intimi e personali del grande genio del barocco Francesco Borromini. Di lui conosciamo la pittoresca rivalità col Bernini, tramandata da un'aneddotica che sconfina nel gossip tra dispetti e gelosie da primedonne, ma che li vedeva divisi soprattutto nel carattere. Il Bernini mondano e perfettamente a suo agio nella corte pontificia, tra feste, intrighi e lecchinaggi, il secondo introverso e solitario. Poco amato dai suoi allievi e probabilmente vittima di un profondo conflitto interiore che lo vedeva scisso tra una fortissima religiosità e una pari attrazione verso l'esoterismo e la simbologia occulta, molto di moda nei circoli culturali dell'epoca. Scalpellino dall'infanzia, membro attivo della corporazione dei muratori (associazione a cui si ispirò la massoneria nel secolo successivo, sia nella struttura organizzativa che nell'immagine coordinata: il simbolo della squadra e del compasso come antico logo e il mito della divinità suprema come grande architetto dell'universo), il Borromini resta ancora oggi un rompicapo intorno al quale si danno le interpretazioni più disparate sulla simbologia nascosta nei suoi capolavori.<br />
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Ma è proprio a Palazzo Falconieri che tutto diventa ancora più evidente, in un lavoro commissionatogli alla fine della carriera e della sua vita in un ambiente più intimo e familiare, proprio dal suo amico Orazio Falconieri, con il quale condivideva gli stessi interessi nel campo della mistica esoterica. Al Borromini si deve infatti l'elaborata decorazione a stucchi dorati dei salotti del piano nobile. Salottini piccoli, appartati, intimi, poco adatti alle grandi feste e certamente più appropriati per conversazioni private, riunioni elitarie di pochi appassionati alle discussioni allora tanto in voga sui temi dell'alchimia e dell'occulto. Tre cerchi intersecati tra loro e un grande sole posto al centro dominano la scena nel soffitto della prima sala. Il tre come trinità? Come numero perfetto? Il classico trittico per tutti i gusti "corpo/anima/spirito"? Lasciate per un momento da parte i misteri alla Dan Brown e soffermatevi piuttosto sull'aspetto ludico dell'opera. E come in un quiz della settimana enigmistica di 4 secoli fa divertitevi a scovare tutti gli animali, insetti e uccelli che il genio si è dilettato a mimetizzare nella ricchissima decorazione a girali di piante. Pesci, anatre e gechi vengono fuori dagli intarsi a stucco come nei migliori trip di gioventù. L'ironia del barocco che diventa inganno e ricerca, torcicollo e vertigini.<br />
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Nella sala seguente ripiomberemo nuovamente nella simbologia più ancestrale con il grande <i>uroboro</i>, il serpente che si morde la coda a rappresentare un ciclo infinito dove la fine corrisponde al principio. Ai due estremi un occhio che spunta fra i raggi, un globo percorso da meridiani e paralleli e un lungo scettro che partendo dall'occhio (da Dio o dal grande architetto?) si appoggia (governa) sul mondo. Tanta carne al fuoco per una lettura dai contorni esoterici i cui temi confluiranno nella nascente massoneria, che vedrà la luce solo agli inizi del secolo successivo. E da bravi profani rimarrete affascinati dalle suggestioni di una simbologia che ci riporta al potere, al mistero, all'occulto, alla materia e al paganesimo in quell'eterno quesito che continua a tormentarci da sempre: "ma alla fine che cazzo vor dì?".<br />
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Se siete stanchi di guardare a testa in su allora è il momento di cambiare prospettiva e dall'alto volgere lo sguardo verso il basso: tre piani di scale ci portano fin sulla loggia, e ancora più su, in quell'altana sospesa su Roma. Ben più in alto dell'antistante palazzo Farnese, volutamente più in alto dei propri vicini, in un moto d'orgoglio della nuova borghesia contro la vecchia nobiltà. Trecentosessanta gradi di una Roma mozzafiato abbracciata da un terrazzino ristretto e aperto all'infinito, dove gli spazi si fondono nella continuità dello sguardo di enigmatiche erme bifronti che si rivolgono contemporaneamente all'esterno e all'interno. Mi piace immaginare un riservatissimo Borromini autocompiacersi nel vedere svettare proprio lì di fronte la sorprendente cupola a spirale di S.Ivo alla Sapienza, il suo più grande capolavoro, di cui dal basso si fatica a trovare l'ingresso, ma che caratterizza nel modo più inconfondibile e originale qualunque veduta dai tetti della città. Percorrendo la scaletta a chiocciola d'accesso, quasi vengono a mancare i punti di riferimento, e la sensazione di elevarsi nel vuoto del cielo romano metterà alla prova anche i più immuni alle vertigini.<br />
Artista profondamente tormentato, di lì a poco Borromini avrebbe lasciato la sua città d'adozione e il mondo con una morte spettacolare ed eccessiva proprio come il suo barocco. L'ultimo inganno di un grande maestro che, anche nel gran finale, lanciandosi da solo su una spada puntata ad arte da lui stesso contro se stesso, ha giocato per l'ultima volta con un'inversione della prospettiva. Di lui ci restano le facciate più originali di Roma e un motto condiviso dalla propria corporazione muratoria: "esporre segretamente e dimostrare silenziosamente". E questa sua ultima opera, esposta segretamente nell'intimità di una dimora privata, sembra esserne la più coerente conferma.<br />
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Palazzo Falconieri ospita oggi l'accademia d'Ungheria ed è visitabile in occasione di mostre o eventi speciali. I gruppi possono prenotare una visita su appuntamento (tel 066889671). In ogni caso tenetevi pronti che a settembre sarà una delle prossime tappe dei nostri "walk&brunch" alla scoperta della "Roma Fuoripista"<br />
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<br />Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-85002644591981672832013-05-07T11:28:00.000-07:002013-07-10T06:28:04.238-07:00Vicolo scellerato. Dice che è colpa di Tullia.<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiA7bjvgzsjOOBzGHwSXscJElvnyd5AMTEqdA3vkwPX6v5h4vEIqhZYfWfQ5tCa5vYwYZSagARfVbYEnIdvF5psZX1xHTmgwHsEP4l96ft_lcOON2iLfHMuL5JTG0uwEgta5dD9O5Ov7LMl/s1600/IMG_0078.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="228" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiA7bjvgzsjOOBzGHwSXscJElvnyd5AMTEqdA3vkwPX6v5h4vEIqhZYfWfQ5tCa5vYwYZSagARfVbYEnIdvF5psZX1xHTmgwHsEP4l96ft_lcOON2iLfHMuL5JTG0uwEgta5dD9O5Ov7LMl/s400/IMG_0078.jpg" width="400" /></a></div>
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Da sobborgo malfamato dell'antica Roma a rione popolare, oggi paurosamente tendente al <i>radical chic</i>: benvenuti nel rione Monti. Urbanisticamente isolato dagli sventramenti edilizi dell'Italia post-unitaria e successivamente dell'era fascista, irrimediabilmente sfregiato dal trionfalismo laico di via Cavour e dalla retorica celebrativa di via dei Fori Imperiali, continua nonostante tutto a sorprenderci con scorci inaspettati e atmosfere senza tempo. E persino la suggestiva salita dei Borgia, irrispettosamente tagliata in due dalla burocratica via Cavour, sembra non aver perso nulla della sua antica magia: la scalinata che si perde nel buio di una galleria, il palazzetto rinascimentale vestito d'edera e un balconcino fiabesco di foggia "raffaellita" ci regalano un angolo di assoluta poesia, che nasconde in realtà una vicenda di omicidi e intrighi familiari da far impallidire i più scaltri e psicopatici sceneggiatori di <i>soap opera</i> americane. Scenografia della storia è una rampa maledetta passata alla storia come <i>vicus sceleratus</i> (vicolo scellerato), simpatico soprannome le cui motivazioni storiche potremmo estendere oggi alla presenza del suonatore di fisarmonica che, in pianta stabile sotto l'arco, ha deciso di tormentarci quotidianamente con improbabili <i>medley</i> di musica napoletana e balcanica senza soluzione di continuità.<br />
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Per comprendere le origini della sinistra fama di questo luogo dobbiamo in realtà tornare indietro alla Roma dei Tarquini, gli ultimi di quei sette re di Roma che solamente in pochissimi sono capaci di elencare senza confonderli con i più celebri sette nani di Biancaneve. La protagonista di questa storia scellerata è Tullia minor, l'ambiziosa figlia dello schiavo Servio Tullio, succeduto come re di Roma all'etrusco Tarquinio Prisco in virtù di un fortunato matrimonio con la diretta discendente. Coerente con una certa politica matrimoniale, e soprattutto sentendosi in dovere di porre rimedio all'imbarazzante mancanza di nobile lignaggio, Servio Tullio decide di maritare entrambe le sue due figlie Tullia minor e Tullia maior (un plauso alla fantasia onomastica) ai due rampolli della casata dei Tarquini: Arunte Tarquinio e Lucio Tarquinio. Ma il sacro principio dell'eterna insoddisfazione vuole che quando si ottiene una cosa tra due si tenda sempre a preferire l'altra, e così anche Tullia Minor, una volta sposato Arunte, si rende conto di preferire Lucio. Donna ambiziosa e senza scrupoli scorgeva infatti nel cognato quelle doti di coraggio e scaltrezza che le avrebbero permesso di farsi strada. Un'attrazione corrisposta che a questo punto necessitava di soluzione. Quale? Ce la rammenta Tito Livio con con un esempio di fine e moderna ironia da un estratto della sua opera monumentale "<i>ab urbe condita</i>": "Lucio Tarquinio e Tullia minore, dopo aver reso libere le loro case per nuove nozze con due funerali quasi contemporanei, si unirono in matrimonio". In poche parole un doppio omicidio incrociato con matrimonio finale, per quel genere di storia che in tempi più attuali darebbe da mangiare a Bruno Vespa e Barbara D'urso nei secoli dei secoli. L'unione non basta a placare Tullia che, con l'obiettivo di diventare regina, dà inizio a un opera di sfiancante persuasione nei confronti del proprio consorte mettendolo di fronte ai suoi doveri: come legittimo erede della famiglia dei Tarquini è ora che reclami per se stesso quel trono occupato al momento dal suocero. "Se tu sei colui che pensavo di aver sposato, ti chiamo sia marito sia re; altrimenti, la mia condizione è mutata in peggio, perchè in te alla viltà si unisce il delitto", che detto diversamente rispetto a Tito Livio: "tuo fratello era uno sfigato. Tu sei peggio perchè oltre ad essere uno sfigato mi hai fatto pure commettere un omicidio". Con tali efficaci argomentazioni Lucio Tarquinio, finalmente convinto dalla bella Tullia, si reca a palazzo per autoproclamarsi legittimo re dei romani. Ne consegue uno scontro e una colluttazione tra genero e suocero (stile feste in famiglia), dove Servio Tullio e il suo svantaggio anagrafico hanno decisamente la peggio, con la conclusione che il povero vecchio re si allontana ferito da palazzo. Due sicari inviati dai suoi stessi parenti-serpenti finiscono il lavoro uccidendolo in mezzo alla strada, proprio lungo quel <i>clivus urbius</i> che al tempo correva al posto di questa scalinata. La gelida Tullia è la prima a riconoscere ufficialmente come re il proprio consorte, quell'ultimo dei sette che passerà alla storia come Tarquino il superbo (Tarquino l'infame sarebbe suonato più opportuno), dopodichè riprende imperturbabile la strada di casa accompagnata dal suo fedele cocchiere. Ed è proprio percorrendo questo stesso <i>clivus</i> che il cocchiere si ferma inorridito di fronte al corpo senza vita del re Servio Tullio. Pensate forse che a quel punto Tullia, sua figlia, sia stata colta da rimorso? Non esattamente, ma anzi "..resa folle dalle furie incalzanti della sorella e del marito, Tullia fece passare il cocchio sul corpo e sul veicolo insanguinato, lorda e schizzata lei stessa, portò le tracce del sangue e dell'eccidio del padre fino ai suoi Penati e a suo marito". E con questa scena degna di un film di Tarantino si conclude l'episodio che ha ribattezzato questo clivus con il nome di <i>sceleratus</i>.<br />
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Ma le leggende di questo vicolo non finiscono qui, ed è proprio il nome di "salita dei Borgia" a suggerirci, a ben duemila anni di distanza, una continuità tra due famiglie non proprio modello. Il meraviglioso palazzetto rinascimentale è ritenuto per tradizione popolare essere appartenuto alla bella Vannozza Cattanei, prima amante di Rodrigo Borgia, passato alla storia come Papa Alessandro VI. Vannozza diede al papa 4 figli, tra i quali si distinsero i più celebri Cesare e Lucrezia. In realtà il palazzetto risulta essere appartenuto alla famiglia dei Margani, e la presenza di Vannozza e Lucrezia appare in parte anacronistica rispetto alle vicende della proprietà. Come potremmo dunque giustificare questo legame con i Borgia impresso nella toponomastica del luogo? Probabilmente la fantasia popolare creò un parallelismo tra i personaggi femminili di Tullia e Lucrezia, entrambe vittime di una certa storiografia faziosa tendente al gossip, non proprio clemente nei loro confronti. Ed è forse per questo che Lucrezia, passata alla storia come un'incestuosa avvelenatrice senza scrupoli (in realtà solo una pedina politica manovrata dal padre e dal fratello in un gioco di alleanze matrimoniali), eredita da Tullia lo scettro di "scellerata" presenza femminile del posto. O forse il parallelismo riguarda i due omicidi avvenuti all'interno di uno stesso nucleo familiare, dal patricidio di Tullia al "presunto" fratricidio commesso da Cesare contro Giovanni, il quale proprio da questo palazzo si dice sia uscito in quell'ultima notte prima che il suo corpo martoriato venisse restituito dalle acque del Tevere. Ad ogni modo l'unico a credere fermamente all'effettiva presenza dei Borgia in questa strada fu il celebre poeta romantico inglese Lord Byron che, durante il suo soggiorno romano, si recava ossessivamente ogni notte sotto quel balcone e, stringendo feticisticamente tra le mani una ciocca di capelli biondi, immaginava la bella e pericolosa Lucrezia affacciarsi pensierosa. Dopo tanto sangue, intrighi e delitti concludiamo quindi con una giusta nota di romanticismo, e quella sfumatura che ci aiuta a riconciliarci con la magia di questo angolo di Roma. Se poi Tullia volesse dare una ripassata col suo cocchio anche al suonatore di fisarmonica, direi che potremmo persino perdonarla.<br />
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<br />Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com29tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-25139936444040611502013-04-08T11:15:00.001-07:002013-04-11T02:01:54.251-07:00Dice che 'sta chiesa l'hanno fatta i fruttaroli<div style="text-align: left;">
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La chiesa di S.Maria dell'Orto, nome bizzarro dal retrogusto campagnolo, nasce dalla venerazione per un'immagine sacra originariamente presente sul muro di un orto di Trastevere, ritenuta miracolosa in virtù di una "procurata guarigione" concessa su richiesta a un contadino malato. A differenza della maggior parte delle altre chiese, sfoggio artistico e celebrativo della potenza di vescovi e cardinali, possiamo considerare S.Maria dell'Orto come una vera e propria opera del "popolo". Ad occuparsi della costruzione e delle committenze artistiche furono infatti le corporazioni di arti e mestieri che, avvalendosi esclusivamente dei propri mezzi economici, fecero praticamente a gara fra loro per arricchire la chiesa di maestose opere d'arte. Al suo interno una carrellata di targhe marmoree esplicitano di volta in volta la committenza delle varie Università di fruttaroli, pollaroli, molinari, ortolani e pizzicaroli (detto proprio alla romana), dove il termine università non sta più ad indicare gli infausti luoghi dove imploravamo i nostri esaminatori per la conquista di un 18, ma riprende il suo significato originario di aggregazione, in questo caso di lavoratori. E se la denominazione pizzicaroli fa sorridere i non romani, allora date un occhiata alla "resurrezione" del transetto di destra, dove un "<i>resurexit aleluja aleluja</i>" scritto senza neanche una doppia, celebra la nostra parlata in tutta la sua meravigliosa strascicatezza.<br />
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Le stesse corporazioni di mestiere avevano sede nella chiesa (praticamente una confindustria) e diedero successivamente origine alla costituzione di una confraternita religiosa. Uno dei suoi compiti era quello di occuparsi della gestione dell'adiacente ospedale, i cui locali vennero successivamente chiusi e convertiti in una manifattura di tabacchi: mossa paradossale almeno quanto potrebbe esserlo trasformare un centro culturale nella casa del grande fratello. I simboli delle università sono nascosti un pò ovunque in una riuscitissima commistione tra sacro e gastronomico e si esplicitano principalmente all'interno della meravigliosa tarsia in marmo policromo nella volta centrale, circondata da un festone di frutta fresca. Ma il vero capolavoro comunicativo è il simbolo dell'Ave Maria che campeggia sulla vetrata dell'abside, dove le lettere A e M sono composte da un trionfo di pomodori e peperoni, per una sacralità che metaforicamente..<i>se ripropone.</i><br />
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La confraternita è tuttora esistente e si occupa della manutenzione della chiesa e delle sue opere d'arte, ma soprattutto del recupero e della diffusione della propria tradizione storica. Ed è proprio grazie a loro se oggi possiamo ancora assistere all'anacronistica magia di un giovedì santo illuminato dalle candele di un'antica tradizione ormai perduta: la macchina delle quarantore. Espressione che non fa riferimento all'usanza odierna di sostare "quarantore" in macchina al casello della Roma-l'Aquila la domenica pomeriggio, ma alle famose quaranta ore di veglia tra il mezzogiorno del venerdì santo e l'alba della resurrezione di Cristo (evitiamo battute con alba e resurrezione e citazioni di George Romero). Le macchine in questione, scenografici catafalchi lignei destinati a sorreggere centinaia di candele, erano tradizionalmente conosciute come "opere effimere", ovvero montate solo in occasione dell'evento per pochissimi giorni l'anno e subito dopo smontate, senza per questo perdere la loro attrattiva di eccezionali opere d'arte e di ingegno. Quella di S.Maria dell'Orto, struttura Ottocentesca di legno intagliato e dorato, è l'unica del genere ad essere ancora allestita nella nostra città. Durante una suggestiva cerimonia le 213 candele vengono accese dai confratelli stessi che, vestiti delle loro tuniche azzurre, si aggirano tra i bracci di un enorme candelabro in equilibrio tra scale e insidiose propaggini lignee, ardua impresa che suscita tutta l'ammirazione di chi, come me, avrebbe bisogno di una dispensa papale ad hoc che sdogani l'improperio ecclesiastico in caso (certo) di inciampo a caduta libera sull'altare. La macchina viene poi lasciata accesa fino alla mezzanotte in una chiesa aperta fino a tardi e avvolta nel chiarore di un atmosfera di grande fascino.<br />
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Ma di ligneo e prezioso non c'è solo la macchina. Alcune guide riportano la presenza di un curioso tacchino ligneo, insensato manufatto più volte citato come bizzarra attrazione. Dopo aver fatto tre volte il giro della varie cappelle alla ricerca del pennuto simulacro, mi sono deciso a chiedere lumi al un gruppetto di confratelli addetti alla distribuzione di brochure informative a offerta libera. Prima risposta: "eh no! quello sta in restauro, l'hanno portato via". A seguire: "Sta in una stanza, però non si può entrare, dovrebbe chiedere un permesso..." (qualcuno non me la racconta giusta) si inserisce nella conversazione un terzo confratello "ma lei che cosa sta cercando scusi?" , dove l'oggetto della domanda passa in secondo piano rispetto al senso globale del "cerchi rogne?". Conclude un altro: "in realtà non c'è niente da vedere, è brutto". Insomma nell'ordine, si nicchia sulla presenza effettiva del manufatto, ci si contraddice con una presunta inaccessibilità, e si chiosa con un chiaro invito a desistere. Insomma questo fottuto tacchino sembrerebbe una sorta di misterioso Santo Graal di cui si vuole occultare l'esistenza al genere umano, il che non fa che accrescere la mia curiosità in maniera ancora più morbosa. O forse semplicemente un confratello l'ha fatto cadere spolverando le mensole in sacrestia e stanno cercando di <i>parargli il culo</i> (come diciamo a Roma, insieme a <i>resurexit aleluja</i> co 'na R sola). Chiaramente il primo sospettato è ai miei occhi colui che l'ha definito brutto, cosa che avrei fatto anch'io al suo posto. Resta il fatto che adesso in cima alla mia lista personale delle cose da fare prima di morire troneggia: vedere il tacchino ligneo. Cito dall'opuscolo ufficiale, che tra l'altro descrive l'oggetto della mia ossessione mentre "<i>fa la ruota con un'apertura alare di circa 150 cm</i>": "<i>attualmente il tacchino ligneo è temporaneamente ospitato in un altro locale</i>". Indeterminatezza di tempi e di luoghi che non fa altro che infittire il mistero. </div>
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Nella magia di questa luce anche i peperoni della vetrata acquistano un che di mistico, talmente mistico che usciti da lì a tarda ora, nel cuore di Trastevere, non possiamo fare a meno di concludere la nostra veglia in trattoria. Peccato che in seguito la digestione richiederà qualcosa in più delle canoniche quarantore.<br />
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la chiesa di S.Maria dell'Orto si trova a Trastevere in via Anicia 10 ed è aperta nei giorni feriali dalle 08:00 alle 13:00 e la domenica e festivi dalle 10:00 alle 12:00.</div>
Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com15tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-48728843123860032242013-03-23T09:44:00.000-07:002013-07-10T06:43:27.474-07:00Dice che ai capelloni li chiamavano Nazareni<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyic9nTtF9iYp3q6XArIY1gK6refUHEStMDu4npl9jG2T-9kZgS-vHC9c2kTkIqVdttIZcUiq5Pg95HXWTEy7iHDtDHldNqWOl4gpDtOylO74i8eCsG1T13n_uwCpulPZacxwz3FyHSG9h/s1600/nazareno.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyic9nTtF9iYp3q6XArIY1gK6refUHEStMDu4npl9jG2T-9kZgS-vHC9c2kTkIqVdttIZcUiq5Pg95HXWTEy7iHDtDHldNqWOl4gpDtOylO74i8eCsG1T13n_uwCpulPZacxwz3FyHSG9h/s400/nazareno.jpg" width="307" /></a></div>
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Il poco conosciuto Casino Massimo, palazzetto Seicentesco dal nome molto attuale, custodisce in un'anonima strada a due passi da S.Giovanni l'espressione più celebre di un'intera corrente artistica della prima metà dell'Ottocento. La villa nasce come residenza suburbana del Marchese Vincenzo Giustiniani, al tempo in cui l'Esquilino si presentava come zona verde popolata di orti, giardini e ville rinascimentali. E c'è da dire che scoprire l'origine quasi agreste di questa ex residenza di campagna, oggi minacciata dal cemento e incastonata tra i palazzoni in zona san Giovanni, è una lezione di urbanistica che colpisce come un cazzotto nello stomaco. Una volta che l'edificio venne acquistato dal marchese Massimo nel 1803, il nuovo proprietario azzardò un importante restyling commissionando la decorazione delle tre sale del pianterreno ad un insolito gruppo di artisti venuti dalla Germania, fortemente risoluti nel voler rivoluzionare l'espressione pittorica del tempo: i cosiddetti Nazareni. Un manipolo di simpatici tedeschi impregnati di valori religiosi e convinti assertori di un ritorno alla purezza artistica dei maestri del primo Rinascimento, in opposizione alla volgarità del nuovo stile neoclassico (e come dargli torto). Il gruppo si presentava con un originalissimo look consistente in un avvolgente mantello, barba e capelli rigorosamente lunghi. E così come al quindicenne capellone di oggi sarà capitato sentirsi dire dalla nonna "<i>ma come te sei conciato? pari Gesù Cristo</i>" (il tutto accompagnato dallo scuotimento rassegnato della testa), anche i nostri amici tedeschi subirono probabilmente la stessa sorte e vennero quindi marchiati come Nazareni per via del loro aspetto e della loro chioma, guadagnandosi di diritto un posto nella lista delle categorizzazioni di stile subito dopo gli "emo", i "metallari", i "punkabbestia" e i "pariolini".<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxHtrWmVnazX9jJgscfLaG8NcgVEaEpTDSe8D5rkLlHn66Ymj5ppGkgf2FloGlWK09a_p1Z4UAfQFwA2UqgS_jQw9kv-Vh0NHothH7dXXpTHwPuzf-KuLAKoeMnO8z0NXXEgjsMsy_KKUZ/s1600/004.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="288" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxHtrWmVnazX9jJgscfLaG8NcgVEaEpTDSe8D5rkLlHn66Ymj5ppGkgf2FloGlWK09a_p1Z4UAfQFwA2UqgS_jQw9kv-Vh0NHothH7dXXpTHwPuzf-KuLAKoeMnO8z0NXXEgjsMsy_KKUZ/s400/004.JPG" width="400" /></a></div>
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Sotto la guida del loro leader Friedrich Overbeck, i Nazareni si unirono nella cosiddetta lega di San Luca e si trasferirono come una specie di comune hippy nel convento abbandonato di Sant'Isidoro, gentilmente concessogli dal direttore dell'accademia di Francia. Qui convissero in pieno spirito di <em>peace and love</em> confrontandosi, dibattendo e ritraendosi a vicenda (non chiedetemi se si facessero anche le canne perchè non lo so). Al centro della loro dottrina artistica c'era la predominanza dei temi religiosi, un ritorno alle origini della pittura Quattrocentesca, e una non meglio identificata ricerca della verità. Ai membri originari si unirono nel tempo alcuni nuovi adepti, ed è proprio a questi ultimi, insieme al capostipite Overbeck, che si deve la straordinaria decorazione del Casino Massimo su commissione dell'omonimo marchese. Tre stanze per la rappresentazione pittorica di tre grandi opere letterarie, avvolte da un cromatismo brillante fatto di pennellate uniformi come solo Beato Angelico e Filippo Lippi avrebbero saputo regalarci agli albori del Rinascimento Italiano: la Divina Commedia di Dante, la Gerusalemme liberata di Torquato Tasso e l'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. E così, insieme agli appassionati d'arte, si sentiranno debitori nei confronti dei Nazareni persino quei giovani studenti fancazzisti che, non ricordando assolutamente nulla di queste opere cardine della letteratura Italiana, avranno modo di rinfrescarsi la memoria prima di un interrogazione, dando un occhiata alle pareti del Casino Massimo divenuto per l'occasione strategico Bignami. Non tutti i critici d'arte convergono sul valore estetico dell'opera, ma per chi non ama dare credito alla spocchia dei critici ed è abituato a giudicare l'arte con lo stomaco, l'impatto con queste stanze si rivelerà sicuramente notevole; sarà per la prospettiva delle porte allineate in sequenza che sembrano introdurci di volta in volta in una nuova scatola tridimensionale, sarà per un moto d'orgoglio patriottico (lo so, i pittori sono tedeschi, ma i temi sono parte del nostro patrimonio e DNA) o semplicemente perchè le scene ci appaiono luminose e pulite come per le pennellate di un Raffaello prima maniera.<br />
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<br />
In questo planetario della letteratura è bello alzare la testa perdendosi nei dettagli e ricostruire le storie che ci hanno accompagnato (o che abbiamo rifuggito) sui libri di scuola. E sicuramente non potrà che colpirci quella contrapposizione Dantesca tra inferno e paradiso, ormai perfettamente interiorizzata da ogni cittadino Italiano minimamente consapevole, con quell'apocalittica scena dell'inferno a fare da cornice ad una porta che non siamo certo tentati di voler attraversare. Il lavoro venne portato avanti, lasciato incompleto e infine concluso da diversi appartenenti alla setta pittorica: Peter Cornelius, Joseph Anton Koch, Johann Friedrich Overback, Philip Veitt, Julius Von Carolsfeld, si alternarono e sostituirono in un'opera globale che oggi ci appare quanto mai uniforme. In particolare il giovane Carolsfeld si occupò da solo della stanza di Ariosto, regalandoci momenti di puro lirismo come nella scena di Angelica e Medoro, con lei che incide sull'albero il nome dell'innamorato. Alla fine della visita ci sembrerà di essere usciti da un quadro. Ad aspettarci non ci sono più le campagne bucoliche dell'Esquilino che fu, ma il rumoroso traffico di S.Giovanni, e ripiombati nell'inferno di lamiere non potremo fare a meno di pensare che alla fine il vero "casino massimo" è tutto per strada appena fuori di lì..</div>
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Il Casino Massimo si trova in Via Matteo Boiardo 16 ed è visitabile il martedì e il giovedì dalle 9:00 alle 12:00 e dalle 16:00 alle 18:00 e la domenica dalle 10:00 alle 12:00.</div>
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Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com12tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-9759217256030156062013-02-19T02:47:00.001-08:002013-04-11T02:06:58.584-07:00Dice che 'sta città "non s'ha da fare"!<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVTOc2Bh5WEIuarG6_1xnMNoeu9AC1TG32d6awYorkff3BpSKHUi1KXMAIwSR0QtCD0mjeWiK0sc73bRVgrrzTMQx248ZA7L3UmVrjdPe8FXomiNSoi-dCdrjtrfon-ciVDibOuldk7hgW/s1600/021.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVTOc2Bh5WEIuarG6_1xnMNoeu9AC1TG32d6awYorkff3BpSKHUi1KXMAIwSR0QtCD0mjeWiK0sc73bRVgrrzTMQx248ZA7L3UmVrjdPe8FXomiNSoi-dCdrjtrfon-ciVDibOuldk7hgW/s400/021.JPG" width="400" /></a></div>
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<br />
Esistono diversi modi per entrare a curiosare nella vita privata di un artista:
attraverso l’interpretazione delle sue opere, sfogliando l’ultimo numero di
Novella 2000 o molto più efficacemente introducendoci all’interno della sua
abitazione. Ma non temete: ciò che può suonarvi come un’istigazione a
delinquere è in realtà un semplice invito a scoprire una delle tante case museo
presenti a Roma, che, complice la quasi
totale assenza di visitatori, offrono l’opportunità di fare un salto nel tempo
immergendosi completamente nell’atmosfera
e nei segreti della vita di un artista,
che il più delle volte è prima di tutto un uomo di un altro secolo. Tra queste
la più sorprendente è sicuramente la casa museo di Hendrik Christian Andersen, un vero e proprio palazzetto degli inizi del
Novecento immerso nella tranquillità residenziale del quartiere Flaminio. Ma chi
era Hendrik Christian Andersen? Pittore e scultore, nato in Norvegia nel 1872 ed
emigrato con la sua famiglia ancora bambino negli Stati Uniti, Hendrik decide
di trasferirsi a Roma durante il classico viaggio di formazione in Europa, una
sorta di tappa obbligata per gli artisti d'oltreoceano. Intorno a lui ruotano tutta
una serie di personaggi degni di una trama da serial televisivo: il fratello
pittore Andreas, morto in giovane età, la ricca cognata Olivia, vera e propria
mecenate e finanziatrice dei due fratelli artisti e poveri in canna, lo scrittore
Americano Henry James, il suo “maturo” amante nonchè protagonista di un
appassionato scambio epistolare, l’onnipresente madre Helene (da cui il nome Villa
Helene) e la giovane governante Lucia, in seguito adottata dalla madre, e ultima
usufruttuaria della villa, da lei stessa magicamente trasformata in bordello
per onorare la memoria artistica della propria famiglia adottiva.<br />
<br /></div>
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<br />
All’ingresso
del palazzo, come in una moderna trasposizione del caro vecchio concetto di
casa-bottega, veniamo immediatamente accolti dagli ampissimi ambienti del
pianoterra che ospitano lo studio di scultura e la galleria d’esposizione,
scenario surreale di una collezione apparentemente interrotta. Una sorta di classicismo
filtrato all’americana si fonde con i temi
ridondanti e involontariamente propagandistici di inizio secolo che fanno
perno sulla gagliardia fisica, la maternità e l’intelletto, consegnandoci un
risultato indubbiamente monumentale, ma decisamente discutibile secondo gli
snobissimi gusti dell’intellettuale europeo nel quale ci siamo momentaneamente
incarnati. La visione d’insieme è grottesca e straniante, ma allo stesso tempo
ipnotizzante quasi quanto un momento di brutta televisione. Questi candidi giganti
abbandonati sotto il grande lucernario, preziosa fonte di luce per accompagnare
i lavori in corso, sembrano avere preso forma appena ieri, e quasi ci si
aspetta che da un momento all’altro entri l’autore per chiederci cosa ne
pensiamo (fortunatamente non è così e non saremo costretti a mentire).<br />
<br /></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhFgKC1njJRN4HebXXS3R3Jezfb1_b-PP81C6tsWEPPQvoRArIzhD_2OwGpwoTKmcep4MtD98aXRCdBep3qPIR_AdSFfZxqG5Kp89OHRBXePlHLD8436jTP5YHvBQw-opmC35r3b689Rx2i/s1600/028.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhFgKC1njJRN4HebXXS3R3Jezfb1_b-PP81C6tsWEPPQvoRArIzhD_2OwGpwoTKmcep4MtD98aXRCdBep3qPIR_AdSFfZxqG5Kp89OHRBXePlHLD8436jTP5YHvBQw-opmC35r3b689Rx2i/s400/028.JPG" width="400" /></a></div>
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<br />
Passando
dallo studio alla galleria, vera e propria sala di rappresentanza per
l’esposizione delle opere finite, inizieremo finalmente a comprendere il
disegno di una mente lucidamente geniale nel suo folle e megalomane progetto, a
cui l’intera produzione artistica era destinata: la costruzione di un’utopica
città ideale. Tutte le sue sculture vennero infatti pensate e realizzate per la decorazione degli edifici di una
fantomatica città mondiale delle arti, delle scienze e del pensiero filosofico
e religioso. L’idea incontrò inizialmente il favore di Mussolini, il quale
successivamente troppo preso dagli improrogabili impegni bellici, perse interesse
nel progetto condannandolo così all’oblio e al naufragio. L’area individuata
per la realizzazione di questo centro mistico-scientifico era quella tra
Maccarese e Fiumicino (lo sbocco al mare era infatti una parte integrante, allo
stesso tempo simbolica e strutturale, dell’intero progetto): quella stessa zona
successivamente santificata da gitanti in canotta, dove l’unico connubio tra
scienza e filosofia si è risolto nella ricerca dell’ombra in pineta per la
pennichella post pic-nic. Ed è lì che diventa entusiasmante scoprire i disegni, i
progetti e le mappe di quello che sarebbe potuto essere e che (purtroppo o per
fortuna) venne costruito solo nella mente di un’artista. Quasi ci sentiamo
delle spie a sfogliare l’imponente volume illustrato “Creation of a World
Center of Communication”, opera magna
che ripercorre la genesi di questa città ideale a partire dalle concezioni
urbanistiche delle più antiche civiltà. E guardando le sculture e i progetti
non possiamo fare a meno di pensare alle scenografie del kolossal in bianco e nero "Cabiria".<br />
<br /></div>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<div style="text-align: left;">
<br />
Proseguendo al primo
piano verremo introdotti nell’appartamento privato dell’artista ( e in seguito “pensione”
a luci rosse grazie alla romanesca vena imprenditoriale della sora Lucia
Andersen), oggi spesso sede di mostre temporanee. Molto più della mostra di turno
a colpirci sono le atmosfere arricchite dalle autentiche decorazioni liberty,
che ci riportano al tempo e ai personaggi di questa lunga storia fatta di sogni
e amori impossibili, personaggi che, forse in maniera leggermente inquietante,
ritroviamo scolpiti nei volti di pietra che decorano la facciata esterna dell’edificio.
E così anche la stanza più spoglia, quella dove è parcheggiata la macchinetta
automatica delle bevande, diventa allo stesso tempo la più intima, con una
collezione originale di foto di Hendrik e della sua famiglia, dei suoi successi
lavorativi, dei suoi momenti sia intimi che professionali. Alla fine del giro
quasi ci sembra di conoscere tutto di lui: abbiamo ammirato le sue opere e gli
strumenti di lavoro, il progetto-sogno di una vita, i suoi libri, i volti dei
suoi familiari e delle persone amate, abbiamo percorso le stesse stanze, e
soprattutto ci siamo illusi di vivere nel suo tempo per il breve momento di una
visita. Uscendo sul terrazzo non possiamo fare a meno di riflettere: non
sapevamo nemmeno chi fosse Hendrik Christian Andersen, e appena dopo meno di un'ora ci sembra di
aver attraversato la sua vita come in un film. La cosa più sconvolgente? Non abbiamo nemmeno pagato il
biglietto.<br />
<br /></div>
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<br />
Il Museo Hendrik Christian Andersen su trova in via Pasquale Stanislao Mancini 20 ed è aperto dal martedì alla domenica tra le 9:30 e le 19:30. L'ingresso è gratuito!<br />
<div class="MsoNormal">
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Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com26tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-77103990004351205172013-01-30T10:58:00.001-08:002013-04-09T06:13:52.606-07:00Dice che a messa ce stanno un pò più de quattro gatti<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoHlbJXDJyGTPINE6EfTsr0YHZ32CpzjrhJZ_pzjBAbxNcEh1uShV0BXSeWkjrCbvFcpQfhyphenhyphenHCAM7x3rBTkD4eThiogvfftO3bfSTnl9E5ES3sXwjs9dFAXzkKZ-lxVFz2qaNWqv6duDZv/s1600/benedi2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoHlbJXDJyGTPINE6EfTsr0YHZ32CpzjrhJZ_pzjBAbxNcEh1uShV0BXSeWkjrCbvFcpQfhyphenhyphenHCAM7x3rBTkD4eThiogvfftO3bfSTnl9E5ES3sXwjs9dFAXzkKZ-lxVFz2qaNWqv6duDZv/s400/benedi2.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: left;">
<br />
Se durante la messa domenicale in un mattino di pioggia il profumo di incenso venisse improvvisamente sovrastato dall'odore di cane bagnato, se un latrato dovesse riecheggiare più in alto del coro liturgico e se le acquasantiere iniziassero a moltiplicarsi ospitando al loro interno pesci rossi e tartarughine d'acqua dolce, non resterebbero che due sole spiegazioni: o siete sotto l'effetto di qualche allucinogeno, oppure state assistendo alla messa di benedizione degli animali in onore di S.Antonio Abate, nella chiesa di S.Eusebio all'Esquilino. S.Antonio è considerato uno dei più illustri eremiti della storia della chiesa, e per quanto nei suoi lunghi soggiorni in solitudine avesse rifuggito la compagnia di qualsiasi presenza sia umana che animale, l'iconografia classica medievale ce lo consegna circondato da animali da cortile, dove tra tutti spicca immancabilmente il maiale, il cui grasso veniva tradizionalmente usato per la cura delle malattie della pelle che rientravano sotto l'infausta categoria "fuoco di S.Antonio". In virtù di questo utilizzo a scopo curativo, l'allevamento del maiale veniva eccezionalmente ammesso all'interno delle mura delle città in cui fosse presente una sede dell'ordine monastico degli Antoniani. Ed è proprio da questa associazione che nacque la figura di S.Antonio come protettore degli animali.<br />
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQk68dL3JktxvMTaLAMaYi_mUwXxd_BylZjevy-tGKo6sci0hHbfR0LylxUQaZQubTJx48HCRsaKtFxxPhYx6rh8QExpBU0dAzNc06AoltCfPo7Hxh5ympMhXWM6h37SbDs1jkvKfjKDhl/s1600/benedi3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQk68dL3JktxvMTaLAMaYi_mUwXxd_BylZjevy-tGKo6sci0hHbfR0LylxUQaZQubTJx48HCRsaKtFxxPhYx6rh8QExpBU0dAzNc06AoltCfPo7Hxh5ympMhXWM6h37SbDs1jkvKfjKDhl/s400/benedi3.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: left;">
<br />
Il 17 gennaio, giorno dedicato al Santo, ha dunque luogo la cerimonia di benedizione degli animali, precedentemente (e più logicamente) operata nella chiesa di S.Antonio Abate, e in seguito trasferita per motivi di traffico nella più riparata S.Eusebio. La data diventa quindi un'occasione unica per scoprire una tradizione ancora in vita e soprattutto per fare conoscenza con la più variegata umanità del rione.</div>
<div style="text-align: left;">
Mentre le "gattare" continuano a confermarsi come la "animaliste" più invasate, a sorprenderci contribuiscono tutta una serie di personaggi tra i quali è doveroso stilare una personale classifica in quanto ad originalità e stravaganza. Nella categoria del più impavido e paziente vince a mani basse la signora con la ciotola della tartarughine acquatiche. A parte la complicazione di trasportare in loco un ciotolone pieno d'acqua (ma io non faccio testo, rovescerei un bicchiere d'acqua per un tragitto appena più lungo di 15 metri), il coefficiente di difficoltà viene in questo caso enormemente accresciuto dalla contingente situazione metereologica. E a questo punto sorge una domanda: avrebbe avuto senso riparare le tartarughine con l'ombrello?<br />
<br /></div>
<div style="text-align: right;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-E2UIhxmPUgrdkKvmx-aSmzuMG5vge7AHgIreqps6dQ2qDD2aHCfT1TBGw-QOG5VUxzUQ7c_qIa4lle8KbC9iu5gkK15MDT1CwyAoD5Rsme7nIdZ9dWjpL6EAX65QBM_Xup2OLHZhs8Fm/s1600/091.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-E2UIhxmPUgrdkKvmx-aSmzuMG5vge7AHgIreqps6dQ2qDD2aHCfT1TBGw-QOG5VUxzUQ7c_qIa4lle8KbC9iu5gkK15MDT1CwyAoD5Rsme7nIdZ9dWjpL6EAX65QBM_Xup2OLHZhs8Fm/s400/091.JPG" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: left;">
<br />
Il premio al più tradizionalista va alla bambina con il coniglio. In un passato non troppo remoto ad essere benedetti erano infatti tutti quegli animali da cortile o da trasporto che possedevano un valore concreto nella vita dell'uomo, come fonte primaria di sostentamento e in certi casi di ricchezza (dalle mucche ai cavalli), ed è solo recentemente che il pubblico delle benedizioni ha virato verso più gestibili animali domestici e da compagnia. Non nascondo che avrei sperato di scorgere almeno un maiale o un ovino, ma tutto sommato non posso negare che anche il coniglio abbia fatto la sua porca figura (il riferimento al maiale è d'obbligo) come degno rappresentante degli animali da cortile. Tra i personaggi più ambigui e sospetti spadroneggia al primo posto il bambino con una gabbietta contenente un insetto stecco mimetizzato tra due ramoscelli. Dobbiamo credere che fosse realmente mimetizzato o possiamo supporre che il fanciullo ci stesse prendendo tutti sapientemente per il culo? La palma per la più esibizionista va indubbiamente alla signora con la coppia di furetti che, per aver posato davanti agli obiettivi con più impegno di Nicole Kidman sul red carpet, ha dato legittimamente adito al sospetto che li avesse affittati per l'occasione.</div>
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<div style="text-align: right;">
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Il premio al più fantasioso? La bambina col dinosauro di peluche, anch'esso immancabilmente benedetto dal sacerdote.</div>
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Non manca il più devoto che, alla faccia di chi sostiene che i pesci rossi rechino meno soddisfazione affettiva delle piante, è colui che ho appunto ribattezzato il ragazzo del pesce rosso, perennemente contrito in uno stato di adorazione mistica nei confronti della propria vaschetta durante tutta la celebrazione.</div>
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Infine in mezzo ad una corposa legazione di volatili pennuti, i quali avranno probabilmente sbadigliato di noia a sentir parlare di un comunissimo e da noi bipedi banalmente agognato regno dei cieli, c'è la vera rappresentanza di massa: e mai come in questo caso l'espressione inglese "piovono cani e gatti" avrebbe potuto rivelarsi più azzeccata per fare riferimento al pubblico di questa particolare messa con diluvio. Stupisce il comportamento "educato" e tutto sommato poco rumoroso del popolo quadrupede, con la sola eccezione del momento dello scambio del segno di pace, quando i padroni osano avere un contatto fisico con gli estranei scatenando le gelosie e il dissenso della rappresentanza canina. Per il resto tutto procede regolarmente nella ritualità di una messa dove a distinguersi è solo il pubblico d'occasione. Il momento più atteso, come in ogni rappresentazione che si rispetti, arriva proprio sul finale, quando preti, sacerdoti e chierichetti si dividono il compito benedicendo uno ad uno gli animali vestiti a festa per l'occasione, fino ad giungere all'esterno, dove decine di fedeli attendono il momento ufficiale della benedizione di massa.</div>
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All'esterno tutto assume i contorni di una festa rionale, con tanto di banda dei carabinieri pronta ad esibirsi sotto i portici di Piazza Vittorio.<br />
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La chiesa si è svuotata ed è arrivato il momento di scoprire un tesoro sconosciuto nascosto sul retro dell'altare. S.Eusebio custodisce infatti un meraviglioso coro ligneo intagliato a figure grottesche, unico esempio presente a Roma. Ed è proprio il caso di dire che un simile tesoro lo conoscono veramente in quattro gatti.<br />
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<br />Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com19tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-62783188002963695892013-01-09T12:54:00.001-08:002013-07-22T02:22:31.897-07:00Dice che a Dragona ce trovi pure l'uovo di dinosauro<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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Quest'oggi ho deciso di accompagnarvi in un'insolita gita fuori porta, dove per "porta" intendiamo i confini del Grande Raccordo Anulare, e per "fuori" tutte le possibili accezioni di tale espressione, a partire da un sempre stimolante "fuori" dalla quotidianità, dalla logica e dalla nostra dimensione, per concludere infine con un meno rassicurante "fuori" di testa. Ci troviamo a Dragona, nome che riporta alla mente le atmosfere magiche di una letteratura fantasy da Terra di Mezzo, in realtà comunissima frazione del più sterile hinterland metropolitano, fatto di anonime stradine residenziali martoriate dalle classiche buche di ordinanza made in Rome. Ed è proprio tra le palazzine di Dragona che si nasconde il Museo Agostinelli, luogo che nonostante la categorizzazione museale sfugge a qualsiasi definizione e che ci viene presentato nell'omonima brochure come "la più ampia raccolta al mondo di Arti, Tradizioni e non solo...", confermando in questo modo l'evidente difficoltà di classificazione della nostra meta.<br />
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Il museo nasce dalla mente del proprio fondatore, Domenico Agostinelli, commerciante d'arte e restauratore che, nel corso dei suoi viaggi intorno al mondo a partire dagli anni Cinquanta, ha lasciato che la sua canonica attività professionale degenerasse in una compulsiva raccolta e catalogazione di ogni sorta di oggetto o testimonianza, dando il via ad un mostruoso numero di collezioni dei generi più disparati, che come in un processo di implosione del big bang sono confluite nel piano terra di questa palazzina di Via Donato Bartolomeo. Le circa quattrocento collezioni dichiarate sembrerebbero riassumere tutte le conquiste del genere umano, dalle monete alla carta igienica, passando per flipper, immagini sacre, orologi e mappamondi. Tra marionette e raccolte di necrologi anche l'occulto trova il suo spazio in una nicchia popolata di teschi e bambole vodoo, mentre nella stanza della musica un'orgia di strumenti, spartiti e busti di compositori celebri vi stordirà con un silenzioso, ma piuttosto caotico concerto visivo. Ed è per questo che ho amato subito questo (non) luogo. L'impressione è quella di oscillare tra l'ingresso nel paese delle meraviglie di Lewis Carrol e quello in un incubo di Dario Argento, e non potrete che lasciarvi entusiasmare e tramortire dalla molteplicità di stimoli di un mondo dove sembra non esserci rimasto un solo centimentro quadrato di spazio libero di superficie.<br />
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A me piace immaginarlo come il paradiso degli oggetti smarriti, un romantico limbo dove potrete infine riabbracciare e ricongiungervi con i circa centodiciotto ombrelli sperduti irrimediabilmente in giro durante tutto il corso della vostra esistenza. E se è vero che nella mente di un genio c'è sempre un fondo di follia, non possiamo che definire geniale questa raccolta: nell'apparente disordine ogni cosa è in realtà meticolosamente catalogata per scomparti, e solo dopo essere stati catapultati in questo vortice a prima vista insensato, la vostra mente, come per un meccanismo di autodifesa, e con lo stesso processo per cui gli occhi si abituano lentamente al buio, inizierà a distinguere un filo conduttore. E così tra cartelli scritti a mano, scatole e cassetti tutto sembra ricomporsi in una logica sfuggente, per poi scomporsi improvvisamente in una nuova ricerca senza riferimenti, fino a quando rivivrete quella stessa paranoica sensazione (di quella volta ad Amsterdam) che siano gli oggetti a trovare voi. Si narra che in questo caos siano custodite delle autentiche chicche, come un uovo di dinosauro, i capelli di Garibaldi e una lettera autografata di Maria Antonietta. Devo ammettere di non aver chiesto lumi ai gentili proprietari per individuarne la collocazione nonostante fossi partito già informato sui fatti e deciso a prenderne visione, ma devo riconoscere come la cosa sia passata in secondo piano una volta scoperto che l'eccezionalità del posto non era certo dovuta alla presenza di questi sparuti cimeli, ma all'esistenza stessa di questa creatura multiforme nella sua interezza, dove tra meteoriti e animali imbalsamati, l'autenticità di un singolo oggetto diventa l'ultima delle preoccupazioni.<br />
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Questo passare dall'incredulità all'entusiasmo, per poi concludere con una leggera nota malinconica e una raucedine da polvere, rende la scoperta del museo Agostinelli una vera e propria esperienza multisensoriale. In questo generale sbandamento anche lo spazio diventa un concetto relativo, e quelle che da fuori sembrano due o tre sale di un piano terra delle dimensioni di un negozio, si trasformano all'interno in uno sconfinato susseguirsi di ambienti dove il concetto di vuoto è bandito da ogni categorizzazione mentale. Alcune zone rimangono off-limits, mentre in altre è specificato che si può accedere solo accompagnati. Il motivo sta nella presenza di numerosi oggetti potenzialmente fragili o pericolosi, come una collezione di taglienti bisturi chirurgici che, come spiega la proprietaria alimentando un brivido sulla schiena e una goccia di gelido sudore sulla fronte, nel caso qualcuno ne afferrasse uno e ZAC (accompagnato da un convincente mimo del taglio della gola) potrebbe trasformarsi in un problema. Se tutto questo sembra avere poco senso, in realtà il museo Agostinelli rappresenta anche una miniera di materiali ad uso e consumo di registi teatrali e cinematografici (si fanno i nomi di Avati, Zeffirelli e Tornatore), una specie di cilindro magico dove è possibile reperire gli strumenti per dare vita con verosimiglianza a qualsiasi tipo di scenografia.<br />
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I membri della famiglia estremamente gentili e disponibili, l'ingresso gratuito e la possibilità per gli appassionati di scatenarsi in un delirio fotografico senza restrizioni rendono questa visita, oltre che speciale nel suo genere, anche estremamente piacevole e rilassata. Sempre che essere fissati da decine e decine di bambole di porcellana appostate ad ogni angolo non rappresenti un problema per la serenità della vostra successiva attività onirica. Unico effetto collaterale al momento dell'uscita è una certa spossatezza come da postumi di un viaggio nel tempo, con il cervello sul punto di soccombere alla molteplicità di informazioni diverse, coattivamente assorbite nel giro di un paio d'ore...o forse erano solo pochi minuti?</div>
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Il museo Agostinelli si trova a Dragona in via Donato Bartolomeo 48 ed è visitabile dalle 8:30 alle 13:00 e dalle 16:00 alle 19:00 (chiuso sabato pomeriggio, festivi e ad agosto). Tel: 06/5215532</div>
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<br />Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com39tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-42549604090081401062012-12-28T07:58:00.002-08:002013-04-09T06:16:04.320-07:00Dice che Caravaggio nun pagava l'affitto<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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Raccontare l'intera vita di Michelangelo Merisi detto Caravaggio rischierebbe di impegnarci in un' avvincente, ma infinita epopea di trasferimenti e fughe, costellata di risse, omicidi e ingiurie: "<em>ho in culo te e quanti par tui si trovano</em>" disse il nostro Michelangelo a un caporale, trovando la prigione al posto di un applauso. Una vita avventurosa da artista maledetto scandita dalla produzione di grandiose opere d'arte riconosciute a livello mondiale. In questo caso ho deciso di selezionare un singolo episodio e una sola opera, invitandovi a cogliere un momento della vita dell'artista con una breve passeggiata tra i rioni di Campo Marzio e S.Eustachio. Sullo sfondo c'è la Roma gaudente e pericolosa dei primi del Seicento, dove il sacro va di pari passo col profano e le madonne si confondono con le puttane. Tra soggiorni in carcere e nobili rifugi sotto la protezione di potenti famiglie e cardinali, è stata infine accertata la presenza di un temporaneo domicilio privato del Merisi. Ci troviamo in vicolo San Biagio (oggi vicolo del Divino Amore) a Campo Marzio ed è proprio qui che prese alloggio il Caravaggio alla fine del suo periodo romano, affittando un piccolo studio in compagnia del suo garzone. In calce al regolare contratto di affitto stipulato con tale Prudenzia Bruni, si evince una curiosa clausola che attesta la richiesta dell'artista di poter "scoprire metà della sala" sfondando il solaio. Primo caso di inquilino che procura danni come da contratto! E' affascinante pensare che proprio lui, considerato il maestro della luce, avesse richiesto uno sfondamento del soffitto per affinare i suoi giochi di tecnica dell'illuminazione, anche se in realtà sembra che la modifica strutturale fosse necessaria per consentire la realizzazione di una tela di grandi dimensioni, commissionata proprio in quel periodo. La proprietaria, evidentemente poco informata sul passato turbolento del suo affittuario, che già annoverava un curriculum di tutto rispetto fatto di risse, furti e sfregi vari (non mancò il piatto di carciofi in faccia all'oste scorbutico e rompicoglioni), accettò in cambio di una dichiarazione che prometteva il ripristino finale dell'alloggio a spese dell'inquilino. E vatte a fidà der Merisi!<br />
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Fu dunque proprio in quel vicolo che per un certo periodo il Caravaggio rientrava dopo le sue scorribande notturne tra osterie e bordelli. Nel frattempo avvenne un incidente, le cui conseguenze si risolsero in una sua prima fuga da Roma. Causa dell'"imprevisto" fu una prostituta di nome Lena, amante del turbolento Michelangelo, per la quale avvenne uno scontro in strada tra il pittore e tale notaio Mariano Pasqualoni: "spasseggiando in Navona (..)mi sono sentito dare una botta in testa dalla banda di dietro, che io sono subbito cascato in terra et sono restato ferito in testa, che credo sia stato un colpo di spada (...). Io non ho visto chi sia stato quello che mi ha ferito, ma io non ho da far con altri che con detto Michelangelo, perchè a queste sere passate havessimo parole sul Corso lui et io per causa d'una donna chiamata Lena (...)". Quasi ci sembra di vedere il Caravaggio che inveisce in via del Corso per amore di una prostituta. Il pittore fuggì quindi a Genova lasciando Prudenzia con affitto e soffitto scoperti. La povera donna decise quindi di aggiungere un'ulteriore querela alla collezione del pittore, e per rifarsi dei mesi di affitto non pagato e del danno al solaio riuscì infine ad ottenere il sequestro dei beni del Merisi. Dai documenti ufficiali si denota a quanto questi ammontassero: una magra consolazione per la donna, e un ulteriore motivo di stima per i fan del personaggio. Si rinviene infatti tra l'altro " un forzieretto (...) con dentro un par de calzoni et un giuppone stracciati, una quitarra, una violina, un pugnale (...)". Al ritorno da Genova Michelangelo Merisi si ritrova quindi senza casa e senza beni, e a questo punto non trova di meglio da fare che andare a prendere a sassate la finestra della povera Prudenzia: in poche parole cornuta e mazziata!<br />
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E' proprio durante gli anni di vicolo san Biagio che il genio realizza la tela della "Madonna dei pellegrini". A questo punto è doveroso procedere lungo via della Scrofa per raggiungere la chiesa di Sant'Agostino, dove il dipinto fa bella mostra di sè nella Cappella Cavalletti. L'opera racchiude in sè le caratteristiche che hanno reso celebre il pittore: il drammatico utilizzo della luce, e il consueto realismo di strada applicato all'opera religiosa, fatto di stracci, piedi sporchi e fattezze popolane (e come non pensare a Pasolini e alla sua Medea?). Come se non bastasse a fare da modella per la vergine Maria viene scelta una prostituta, la celebre Lena del "contenzioso" di piazza Navona. Potreste immaginare lo scandalo e lo scalpore? In realtà la cosa che fece più scandalo e scalpore furono i piedi gonfi e zozzi dei pellegrini, offerti in faccia allo spettatore con il solito sfacciato realismo. Ulteriore motivo di lamentela fu l'aspetto decisamente poco signorile della dimora mariana, dove le pareti scrostate della facciata accanto allo stipite avrebbero fatto pensare, oltre che ad un amministratore di condominio poco efficiente, ad un contesto decisamente popolare. Ma non vi sembra forse familiare quello stipite? Guardate la foto del portone in vicolo San Biagio. Effettivamente i tempi coincidono (l'opera fu realizzata proprio nell'anno della sua permanenza in casa di Prudenzia) e come ulteriore conferma potremmo citare l'abitudine dell'artista di inserire un elemento autobiografico all'interno delle proprie opere. Esemplificativo in questo senso fu il suo riprodurre ossessivamente le proprie fattezze nei volti delle teste mozzate, come gesto di disperata scaramanzia conseguente alla promulgazione della sua condanna alla decapitazione (ma questo lo vedremo in seguito). Magari quella Lena desiderata dal pittore proprio in quel periodo, rappresentata sulla soglia della propria abitazione aveva per lui un significato personale che andava a sovrapporsi alla lettura religiosa dell'episodio.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiiXRCvIEygnDm8eJH1oKQhqZJlYAqH3umCO4rezYQDDQsxzIvCh_mAPGYAg9DhsNEkfg0tR6nKPurCYTNkw2SHe_OAc_2z477m3pRx6dYJqWJ0Fe_6rCIrPvK0wl8VggQZAkjTJg8ZQoLo/s1600/015.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="330" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiiXRCvIEygnDm8eJH1oKQhqZJlYAqH3umCO4rezYQDDQsxzIvCh_mAPGYAg9DhsNEkfg0tR6nKPurCYTNkw2SHe_OAc_2z477m3pRx6dYJqWJ0Fe_6rCIrPvK0wl8VggQZAkjTJg8ZQoLo/s400/015.JPG" width="400" /></a></div>
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Tanto per rimanere in tema la stessa chiesa di Sant'Agostino era abitualmente frequentata dalle prostitute della zona, come ci riporta tra l'altro in una sua lettera a Lorenzo de' Medici la cortigiana Beatrice da Ferrara: "così, mezzo contrita, mi confessai dal predicatore di Sant'Agostino; dico nostro, perchè quante puttane siamo in Roma, tutte veniamo alla sua predica, ond'esso, vedendosi sì notabile audentia, ad altro non attende se non a volerne convertir tutte. Oh, dura impresa!". Ma la madonna del Caravaggio non è l'unica madonna della chiesa a mescolarsi col profano: a due passi dal dipinto del Merisi possiamo infatti ammirare la statua della Madonna del Parto, che secondo la tradizione popolare del tempo si riteneva fosse l'adattamento di una statua romana raffigurante Agrippina madre di Nerone, e che il Belli non esita a definire puttana in un sonetto per via dei suoi ornamenti preziosi che la rendono "accusì ricca, accusì ciana" Tornando a Caravaggio sappiamo già come come finisce la storia. Durante una partita al gioco della pallacorda, sempre nei pressi di vicolo san Biagio, scoppia una rissa dove ci scappa il morto. Questa volta è stato chiaramente passato il limite e viene emessa una condanna a morte. Da quel momento in poi la vita del pittore si trasforma in una fuga rocambolesca attraverso Napoli e poi Malta, conclusasi malamente con la morte del Merisi sulla rive di Porto Ercole, proprio quando infine sembrava essergli stato concesso il perdono e il conseguente ritorno a Roma. Di lui ci restano le sue opere e la sua storia avventurosa, che magicamente si ripresenta a noi semplicemente sbirciando in un vicolo buio della città. E in un istante rivive un momento della vita di un grande artista e lo squarcio di un'epoca in cui Roma seppe esprimere al meglio la sua natura: quella di santa e di puttana, proprio come in un'opera del grande Caravaggio.<br />
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Grazie a Silvia del blog <a href="http://bedandbreakfastlalocandiera.blogspot.it/" target="_blank">la locandiera</a> per il prezioso spunto!<br />
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P.S.<br />
Vicolo san Biagio si chiama oggi vicolo del Divino AmoreAndreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com19tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-72498536931060620262012-12-10T02:34:00.001-08:002013-04-09T06:16:48.838-07:00Dice che i "Baptai" festeggiavano alla grande<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-mBbJNzoFujrPNcBPrrhLxTcXtrkSGKv1LAPzaxrnKUe-qjsfcV37uRv9Nv0AmUQaqQR-DMLmFWmfDNmMC-Fzaiz0JRU2iqKSSHwsXntEhK8yHkwA0MZ6qT-COhjFza_SerFDbw9ltRm5/s1600/007.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-mBbJNzoFujrPNcBPrrhLxTcXtrkSGKv1LAPzaxrnKUe-qjsfcV37uRv9Nv0AmUQaqQR-DMLmFWmfDNmMC-Fzaiz0JRU2iqKSSHwsXntEhK8yHkwA0MZ6qT-COhjFza_SerFDbw9ltRm5/s400/007.JPG" width="400" /></a></div>
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Nell'elegante quiete borghese del quartiere Pinciano, qualora riteniate che gli unici segreti custoditi dai garage siano i lussuosi macchinoni dei residenti, sarete sorpresi di scoprire che proprio lungo l'anonima rampa di accesso ad un garage condominiale si nasconde uno dei più affascinanti ed enigmatici sotterranei di Roma: il misterioso Ipogeo di via Livenza, situato appunto tra via Livenza e via Po. Il motivo di tale generica denominazione è dato dalla mancata identificazione della funzionalità di questo sito. Ipogeo (letteralmente dal Greco <em>upo/</em>sotto<em> </em>e <em>geo/</em>terra) sta in effetti ad indicare un imprecisato luogo sotterraneo, motivo per il quale la prossima volta che dovrete scendere in cantina a recuperare una bottiglia di vino potreste di diritto cimentarvi in un altisonante "<em>scendo n'attimo a prende n'artra boccia giù all'ipogeo</em>". Il che susciterà certamente l'ammirazione (e qualche vaffa) da parte dei vostri commensali. Ma da dove nascono questi dubbi interpretativi sulla natura del luogo? Innanzitutto possiamo notare che l'ipogeo venne originariamente concepito come sotterraneo, il che ci viene confermato dal fatto che per accedere al suo interno ci troveremo a discendere i gradini originali della struttura. Purtroppo gran parte dell' ambiente è stato sacrificato dai lavori di costruzione dei palazzi sovrastanti, quando nell'impeto distruttivo dei palazzinari di inizio secolo scorso, solo la sezione più settentrionale venne risparmiata, forse per caso o forse in virtù dell'eccezionalità dell'impianto decorativo. Di quello che doveva essere un ambiente ellittico rimane dunque solo questa piccola porzione, consistente in una piscina, una splendida nicchia riccamente affrescata e i residui di una coloratissima decorazione mosaicale.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhn6QbVtskh0ZD7ppRL7FZcasWx1Xog-owHF4srO3K2sv9gDjLcOmeGsadJ4XluFQfwHApGgLu79yGFayWDVCzGimPZAfC4qlEtFs2wDA0HZz9MZ8vL94FXYWxKt1NAlxflBTOit8L-y68z/s1600/005.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhn6QbVtskh0ZD7ppRL7FZcasWx1Xog-owHF4srO3K2sv9gDjLcOmeGsadJ4XluFQfwHApGgLu79yGFayWDVCzGimPZAfC4qlEtFs2wDA0HZz9MZ8vL94FXYWxKt1NAlxflBTOit8L-y68z/s400/005.JPG" width="400" /></a></div>
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Prima di addentrarci nelle possibili interpretazioni, sarà bene descrivere i soggetti decorativi e la struttura della vasca-piscina, per raccogliere i primi indizi ed iniziare quindi a formulare le diverse ipotesi. La piscina è un vascone profondo due metri e mezzo foderato in cocciopesto, nel quale si accede attraverso tre gradoni piuttosto alti (il primo è stato riciclato da una lapide con un intuizione death-design piuttosto notevole). Sia l'altezza del fondo che quella del gradino iniziale fanno sorgere i primi dubbi in merito ad un possibile utilizzo a scopo ricreativo. Basti immaginare a come reagiremmo se andassimo in una Spa e ci ritrovassimo una vasca idromassaggio alta tre metri (lapide a parte), senza considerare inoltre che la presunta "bassezza" dei nostri antenati avrebbe contribuito a rendere la cosa ancora più seccante. L'acqua sgorgava direttamente da una sorgente naturale preesistente per mezzo di un tubo di terracotta, mentre per lo svuotamento e il ricambio notiamo sulla sinistra un ingegnoso sistema di apertura e chiusura a scorrimento tipo saracinesca.<br />
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Sovrasta la vasca una splendida nicchia riccamente decorata sia all'interno che ai suoi lati. Sul lato sinistro troviamo la figura di Diana/Artemide nell'atto di estrarre una freccia dalla faretra per cacciare un cervo, mentre sul lato opposto una ninfa animalista accarezza un piccolo bambi. Il tutto in un ambiente agreste rappresentato con notevole padronanza della prospettiva e dei chiaro-scuri. A prima vista potremmo quindi dedurre di trovarci al cospetto di personaggi e simbologie pagane. In realtà, se andiamo a curiosare sui resti della decorazione a mosaico nella parete laterale, scopriremo i dettagli superstiti di una rappresentazione a soggetto cristiano, dove si percepisce la figura di un uomo inginocchiato davanti ad una fonte, affiancato da un'altra figura in piedi. Secondo l'iconografia cristiana sembrerebbe rappresentare l'episodio di Pietro che fa scaturire l'acqua da una fonte per dissetare (e simbolicamente battezzare) un centurione. Quindi un episodio decisamente legato alla "nuova" religione. Tutto intorno amorini ed eroti dediti a scene di vita acquatica e fancazzismo marino (chi pesca, chi gioca coi cigni, chi nuota).</div>
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Per fare un pò più di chiarezza sarà bene definire il contesto storico in cui ci troviamo, accertato con precisione dalla presenza di un bollo (il marchio di fabbrica) con il monogramma di Costantino impresso su un mattone che ci riporta immediatamente in epoca Costantiniana, e dunque nella seconda metà del IV secolo D.C.. Costantino fu il primo imperatore ad ammettere e conseguentemente a istituzionalizzare il cristianesimo dopo secoli di persecuzioni, seguito da Giuliano l'Apostata che tentò un breve <em>revival</em> del paganesimo, fino alla definitiva consacrazione del cristianesimo come unica religione di stato da parte di Teodosio. Tutto questo ci fa comprendere quindi come in un'opera di quel periodo potesse essere normale trovare confusamente affiancati simboli del cristianesimo e retaggi del paganesimo. E chissà che addirittura non si fosse utilizzata la figura di Diana come metafora del paganesimo che scaccia i cervi (cristiani) in opposizione alla ninfa che li accoglie e accarezza (interpretazione decisamente forzata per i miei gusti). L'immagine di Pietro alla fonte e tutta una serie di elementi che rimandano all'acqua potrebbe quindi far supporre la funzionalità del luogo a battistero cristiano. Ma anche in questo caso un battesimo in due metri e mezzo di vasca risulterebbe un operazione piuttosto complessa, e quindi poco convincente.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEJ5Fx7Q-wxiCMOrdRqKoiSspoc1wxkv5WX_05vM3nRakgWz8ik2rQscOfTBtULTUF-v7c0lzW5PGl8h9XSRoYKSuZ-GgB_AXcotX1BY_B49DQakSQona7jMmmMCFb2WwCIGMf9igDP91Y/s1600/006.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEJ5Fx7Q-wxiCMOrdRqKoiSspoc1wxkv5WX_05vM3nRakgWz8ik2rQscOfTBtULTUF-v7c0lzW5PGl8h9XSRoYKSuZ-GgB_AXcotX1BY_B49DQakSQona7jMmmMCFb2WwCIGMf9igDP91Y/s400/006.JPG" width="400" /></a></div>
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Infinitamente più affascinate è l'ipotesi che rimanda alla setta misterica di origine Tracia dei cosiddetti Baptai, adoratori di una certa dea Cotys, in tutto e per tutto assimilabile ad Artemide. Questo spiegherebbe allo stesso tempo la presenza di Diana e quella di una vasca più profonda. In effetti quello che oggi potrebbe apparirci come un R<em>ave</em> finito male, consisteva allora in un preciso schema rituale, dove in un crescendo di alcol e pratiche orgiastiche, la presenza dell'acqua e quindi di una vasca risultava fondamentale per accompagnare i partecipanti all'apice della festa con un tuffo nell'acqua gelata. Il conseguente shock termico subito in condizioni da "ritiro patente" era coraggiosamente definito dagli adepti come "shock dell'estasi". E allora come giustificheremmo la presenza del Pietro battista? Come per il culto Mitraico, dove ritroviamo numerose analogie con la religione cristiana, non sarebbe così strano poter ammettere una coesistenza di simboli (quelli che <em>so' strani forte</em> sono al limite i Baptai). Numerose altre ipotesi vanno dal troppo generico (luogo segreto destinato a riti magici) al decisamente più logico (luogo di riunione di una setta sincretista, corrente religiosa in cui convergono simbologie e pratiche provenienti da più religioni diverse), ma se la soluzione fosse infine quella più semplice? Nei pressi della frequentatissima via Salaria, la consolare che tagliava l'Italia dal Tirreno all'Adriatico per permettere il trasporto del sale dal guado del Tevere alla Sabina (Salaria dunque da sale, per chi ancora stesse cercando di capire chi fosse il console "Salario"), sgorgava al tempo una sorgente d'acqua. Allo sbocco di questa sorgente si decise dunque di costruire un ninfeo, una sorta di autogrill alle porte della città per dare modo ai viaggiatori appena arrivati di rinfrescarsi e poter fare una sosta rigenerante. La decorazione "mista" risulta dunque una scelta di ruffiano "marketing" della tolleranza, che nel flusso cosmopolita dei viaggiatori, tradizionalisti pagani e neo-riconosciuti cristiani, aveva l'obiettivo di non scontentare nessuno.</div>
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Io dico che quest'ultima ipotesi non fa una piega, ma se qualcuno dovesse aprire domani su facebook l'evento "festa baptai"..fate conto che ho già cliccato su "parteciperò".<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhX1zeN6BhRxC2jKkAHzpMvumu8SnIyYL4aOGem5qfnDBnMFLQF3OcKY2OX0j_gm1BndVlHPX0PZcXQQhBlDikLiMpGh1iXxhFm4adLXhxZgg1-4BF6udDdN6I24MLZ8rM_LiyYniz51Sn9/s1600/002.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="425" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhX1zeN6BhRxC2jKkAHzpMvumu8SnIyYL4aOGem5qfnDBnMFLQF3OcKY2OX0j_gm1BndVlHPX0PZcXQQhBlDikLiMpGh1iXxhFm4adLXhxZgg1-4BF6udDdN6I24MLZ8rM_LiyYniz51Sn9/s640/002.JPG" width="640" /></a></div>
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Per accedere al sito il consiglio è di rivolgersi ad associazioni specializzate come "Roma Sotterranea" o "i sotterranei di Roma"., che organizzano visite periodiche all'ipogeo.</div>
Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com15tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-23052003432998577532012-11-29T01:49:00.003-08:002013-04-09T06:18:39.505-07:00Dice che due anni so 'na cifra!<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">
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Ebbene sì. Due anni per un campione di incostanza sono decisamente un record. Ed è soprendente quante cose siano successe intorno a questo blog nell'ultimo anno. La più esaltante è stata certamente la pubblicazione del libro "Roma Fuoripista", con il quale vi ho martellato adeguatamente gli attributi nei mesi trascorsi (e futuri). E' stata una piccola grande soddisfazione e una divertentissima faticaccia per promuoverlo. Dopo un entusiasmante presentazione (dove ho avuto il piacere di conoscere alcuni di voi), pittoreschi mercatini sotto la pioggia, pellegrinaggi per librerie indipendenti e oKKupazioni di stand in fiera grazie alla disponibilità di amici editori (in tutto questo un editore lo avrei anch'io, ma ne ho perso le tracce), ci siamo infine lanciati sull'organizzazione delle passeggiate "Fuoripista": divertenti tour alternativi alla scoperta dei segreti del centro storico, rigorosamente coronati dall'alcol di un aperitivo e quattro chiacchiere. Qualcuno di voi si è fatto vivo passando per Roma e, tra un rapidissimo giro turistico in modalità Giapponese (Micaela), e una mangiata in trattoria (vero zio Nick?), ha piacevolmente contribuito a rendere questo spazio un pò più vero. Che altro? Mi sono lanciato in un corso di fotografia per rendere più dignitosa la parte "visiva" del blog e mi sono iscritto a un paio di associazioni speleo-archeologiche per avere accesso ai numerosissimi e misteriosi sotterranei romani, così da poterli raccontare anche a voi. Insomma facendo due conti è stato un percorso tutto in salita (o in profondità considerate le mie incursioni sotterranee) e anche questa volta rinnovo la promessa di continuare con lo stesso entusiasmo, con la speranza di essere ancora il vostro punto di riferimento per le migliori dritte ogni volta che sarete di passaggio nella città eterna!<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgt6-a0qdZBIEH9_ahMp_Vf-KNoqxKb7UuRCGMpKCSLJD9yUZF7IWzZ-bEM38vliVADxQBfCdcS8FmxjNH1DjnGKXXn10IdGfPFqszmrjx-rdCkMpWzViw5A8btNU_WrR90l_3nMQsoYpR/s1600/bruno.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="265" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgt6-a0qdZBIEH9_ahMp_Vf-KNoqxKb7UuRCGMpKCSLJD9yUZF7IWzZ-bEM38vliVADxQBfCdcS8FmxjNH1DjnGKXXn10IdGfPFqszmrjx-rdCkMpWzViw5A8btNU_WrR90l_3nMQsoYpR/s400/bruno.jpg" tea="true" width="400" /></a></div>
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L'anno scorso ho celebrato il primo anno con uno scatto del mio amico e coautore di "Roma Fuoripista" Bruno Lomasto (non questa sopra, questa è mia ;) ); quest'anno voglio farlo regalandovi la bellissima prefazione al libro scritta da un altro amico: Giampiero Venturi.</div>
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<em style="font-family: inherit; text-align: left;">Roma è una pozzanghera: un pezzetto di fango dove infili i piedi e dici “ammazza...” e uno specchio</em></div>
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<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">
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<span style="font-family: inherit;"><em>che in quel fango ci disegna un campanile. Roma è tutto quello che hai visto e tutto quello ti manca. La </em></span><em style="font-family: inherit;">folla e il vuoto, l’anna’ pe uno e il rimanere. Roma è un gomitolo di gente senza senso e un bandolo di </em><em style="font-family: inherit;">pensiero senza fine. Roma è vera; Roma è un gioco.</em></div>
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<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><em>È due passi: il sacro col profano. Uno avanti e l’altro dietro; alternati e qualche volta insieme.</em></span></div>
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<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><em>Pensare di guardare in faccia Roma e di’ “sì t’ho capita... adesso te descrivo...” è una mossa da</em></span></div>
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<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><em>fregnoni, come er cantastorie stonato venuto pe’ sona’ e finito sonato.</em></span></div>
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<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><em>Parafrasando il Marchese del Grillo nel “quando si scherza bisogna esse’ seri...”potremmo dire che “per </em></span><em style="font-family: inherit;">essere seri, bisogna sapecce ride”.</em></div>
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<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><em>Roma è a parte. Roma è il disincanto su tutto perché hai visto tutto; è un palcoscenico ardito e retrivo </em></span><em style="font-family: inherit;">insieme e chi ci sale sopra deve sape’ disincanta’...</em></div>
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<div style="text-align: left;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><em>Roma va presa di taglio, per traverso, come un vicolo stretto e cencioso che il turista si dimentica di</em></span></div>
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<div style="text-align: left;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><em>fare. Roma va presa e indicata a pezzi, uno per volta, con la sfrontatezza che le si addice e l’umiltà di</em></span></div>
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<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><em>chi ci si inchina.</em></span></div>
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<div style="text-align: left;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><em>Per parlare di Roma devi partire dal piccolo, perché è così grande che ce diventi matto... Per fotografarla </em></span><em style="font-family: inherit;">devi pensare al particolare, perché altrimenti sei un’altra cartolina. Solo nel piccolo puoi fare una cosa </em><em style="font-family: inherit;">grande: è il destino, l’onore e l’onere di chi con le cose grandi ci si deve confrontare.</em></div>
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<div style="text-align: left;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><em>È così come chi c’è nato e non ne conosce le strade. Come chi non l’ha mai vista, ma non passa giorno </em></span><em style="font-family: inherit;">che nun l’ha sentita...</em></div>
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<div style="text-align: left;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><em>Una finestra su Roma deve essere particolare, laterale, per forza discreta. Per natura, per carattere,</em></span></div>
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<div style="text-align: left;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><em>per forza di cose: come il romano vero, per antonomasia allegro e compagnone, ma in realtà per indole, </em></span><em style="font-family: inherit;">solitario e permaloso. Roma è una girata di spalle davanti al più grande degli eventi, un ma che ce frega </em><em style="font-family: inherit;">che spiega tutto senza dire niente. Roma è il sole sopra che non si guarda mai dritto pe’ dritto.</em></div>
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<div style="text-align: left;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><em>Roma per natura chiama soggezione. E la soggezione la vinci con l’umore, con l’ironia, con l’inventiva.</em></span></div>
</div>
<div style="text-align: left;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><em>Per questo Roma può essere solo un giro fuoripista. Una battuta al margine. Una camminata fuori dal </em></span><em style="font-family: inherit;">convenzionale. Uno sguardo piccolo e scanzonato su tutto quello che è senza rivali.</em></div>
</div>
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: inherit;"><em>Ed è così che ce la presentano Andrea e Bruno.</em></span><br />
<span style="font-family: inherit;"><em><br /></em></span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-noHU7F2kGL01_8AVvS6NPFaZvSAQ0HZuIxyThgqsDngF1nT6QuRXvGJ6xUXyjddcwYpVsdMniSpUaIx81XYuKgAUYhRPGx3HSR5CiSgFgTtYQkd2n7BBREgkMGdBGpMUseA0giZf90S4/s1600/copertina.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="388" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-noHU7F2kGL01_8AVvS6NPFaZvSAQ0HZuIxyThgqsDngF1nT6QuRXvGJ6xUXyjddcwYpVsdMniSpUaIx81XYuKgAUYhRPGx3HSR5CiSgFgTtYQkd2n7BBREgkMGdBGpMUseA0giZf90S4/s400/copertina.jpg" tea="true" width="400" /></a></div>
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<br /></div>
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Infine che dire...siamo a un mese da Natale e se volete regalare un pezzo di questa mia amata città così come ve la racconto, "Roma Fuoripista" sarà sicuramente un regalo gradito che potrete ordinare on line sul sito <a href="http://www.romafuoripista.com/">www.romafuoripista.com</a> (o trovarlo nelle librerie indicate sempre sulla stessa pagina alla sezione "dove trovarlo"). Una selezione dei migliori itinerari raccontati nel consueto stile "dice che a Roma" e accompagnati dalle bellissime foto di Bruno Lomasto.</div>
<div style="text-align: left;">
Un grazie speciale a Zio Scriba, Nato Stanco, la Pestifera Micaela, lo zio Piero, Jajo e Claudia per essersi palesati oltre lo schermo.</div>
<div style="text-align: left;">
Ai ragazzi della Tunuè (editori dell'immaginario) per la disponibilità.</div>
<div style="text-align: left;">
Agli "stolti" Andrea e Simona per l'appoggio e la collaborazione.</div>
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A Bruno per la sua amicizia e il suo prezioso contributo al nostro lavoro.</div>
<div style="text-align: left;">
A tutti quelli che hanno ordinato, letto e apprezzato il libro.</div>
<div style="text-align: left;">
E a tutti voi che passate di qui, lasciate una traccia, commentate, correggete e siete il mio stimolo a continuare in questo modo ancora per molto, moltissimo tempo!</div>
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A prestissimo (daje che la prossima volta vi riporto sotto terra ;) ),</div>
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<br /></div>
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Andrea</div>
Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com34tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-19171466963026531572012-11-22T04:02:00.001-08:002013-04-09T06:17:24.784-07:00Dice che 'sta fontana è vietata ai minori<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGW75c1PnylXbn9r5sAJ-_-KBLbT5bxqmas8VS_i_V4dsTZatGEPvTEDo3OHrpH66Y2ykwrkwtij6LUJfDp3F6IyWG5Ozy3csE0K-r7Vje5usYhvqhEwlPfimKSVPvS9l2mAnLwHOcXOGh/s1600/naiade1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGW75c1PnylXbn9r5sAJ-_-KBLbT5bxqmas8VS_i_V4dsTZatGEPvTEDo3OHrpH66Y2ykwrkwtij6LUJfDp3F6IyWG5Ozy3csE0K-r7Vje5usYhvqhEwlPfimKSVPvS9l2mAnLwHOcXOGh/s400/naiade1.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: left;">
<br />
Parlare della "Roma nascosta" non vuol dire necessariamente fare riferimento a luoghi normalmente poco accessibili o comunque distanti dai nostri itinerari quotidiani, e con un pizzico di conoscenza e uno sguardo più attento, persino una frequentatissima rotatoria in pieno centro potrebbe infine rivelarci delle sorprese inaspettate. A dimostrazione di ciò prenderemo il caso della fontana di piazza della Repubblica, così evidente e conosciuta alla vista di ogni automobilista romano, con la certezza che la prossima volta riuscirete davvero a guardarla sotto una luce completamente diversa (e se dicessi "luce rossa" non sarebbe comunque un azzardo). Ad ogni modo, trattandosi di una trafficata rotatoria, il consiglio che vi do è di approfondire solo una volta che avrete parcheggiato il mezzo, per evitare di trasformare la vostra curiosità in un fuoripista automobilistico sotto i portici di piazza della Repubblica. </div>
<br />
<div style="text-align: left;">
La storia di questo ardimentoso monumento ha inizio nella seconda metà dell'Ottocento, in concomitanza con le vicende che sancirono la tanto agognata fine del potere temporale dei Papi sulla città eterna. A quel tempo Papa Pio IX, evidentemente poco preoccupato per la piega che stavano prendendo gli eventi, pensò bene di distrarsi ulteriormente occupandosi dell'imponente ristrutturazione dell'antico acquedotto "Marcio". A conclusione dei lavori l'acqua venne molto modestamente ribattezzata "Pia" e la relativa mostra, in realtà piuttosto sobria e semplicistica, venne infine collocata presso l'attuale piazza dei Cinquecento di fronte alla stazione Termini (per chi ancora non lo sapesse, quando parliamo di "mostra dell'acqua" non facciamo riferimento a una cessa incontrata in piscina o alla compagna di un mostro marino, ma bensì a quel genere di fontana monumentale progettata come "esposizione celebrativa" dell'acqua trasportata a Roma attraverso gli antichi acquedotti). Il sarcastico popolo di Roma, consapevole della fine che avrebbe fatto il Papa di lì a poco, si espresse a tal proposito coniando lo slogan da stadio "acqua Pia, oggi tua domani mia", e infatti appena dieci giorni dopo l'inaugurazione, con la presa di Roma attraverso la celebre breccia di porta Pia, si pose trionfalmente la parola fine alla lunghissima monarchia papale con la definitiva annessione di Roma al regno d'Italia. Nel pieno fermento da rinnovamento edilizio che seguì alla proclamazione della città come capitale di Italia, si decise infine di ricollocare la mostra nella rinnovata Piazza Esedra, dove venne dunque costruita l'attuale nuova fontana. Anche in questo caso l'opera risultò piuttosto spoglia e così, in occasione della visita dell'imperatore di Germania a Roma, si decise di sistemare in via temporanea quattro leoni di gesso agli angoli della vasca a puro scopo decorativo. Un pò come tirare fuori il servizio buono quando viene l'ospite importante.<br />
<br /></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsxioTvg7Dtjt5WNQcm0uxmP-kS37c1w1FV9Fz9ZfJQsdqPOcZiyRwdAt134WV1pkSxUJo-DC3OMHe4zzKIV6mH1oQ_EPshj6RNr-FG7mKMOlhwVTB-6JS-l1Up-ynX7iWD6zhrrXvLdti/s1600/naiade3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsxioTvg7Dtjt5WNQcm0uxmP-kS37c1w1FV9Fz9ZfJQsdqPOcZiyRwdAt134WV1pkSxUJo-DC3OMHe4zzKIV6mH1oQ_EPshj6RNr-FG7mKMOlhwVTB-6JS-l1Up-ynX7iWD6zhrrXvLdti/s400/naiade3.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: left;">
<br />
La svolta finale si ebbe nel 1887 con l'approvazione del progetto di un tale Mario Rutelli, il quale decise di rivoluzionare l'aspetto della fontana con l'allestimento di quattro colossali gruppi bronzei. Se il nome dello scultore vi fa pensare a un tale Francesco, alle sue ossessioni per passi e sottopassetti e a un'insopportabile moglie tuttologa da salotto televisivo di serie B, ebbene sì, Mario Rutelli era proprio il bisnonno del nostro "beneamato" ex sindaco di Roma (del quale preferisco senza dubbio la versione di Guzzanti). I quattro gruppi progettati dal Rutelli architetto che possiamo ammirare oggi sui quattro lati della fontana stanno a rappresentare le quattro ninfe dell'acqua, ognuna caratterizzata dall'audace accostamento alla bestia marina di riferimento. La ninfa degli Oceani che doma un cavallo (sarà per i cavalloni?), la ninfa dei laghi alle prese con un cigno e le ninfe delle acque sotterranee e dei fiumi rispettivamente e voluttuosamente sdraiate su una specie di lucertolone e un serpente marino. Da lì il nome di "Fontana delle Naiadi". Immediatamente scoppiò lo scandalo: i loro corpi nudi e bagnati, le pose lascive, gli sguardi sfrontati, fecero all'epoca enorme scalpore, e per lungo tempo la fontana rimase coperta da uno steccato in attesa di delibera. Ovviamente ciò non fece altro che aumentare la curiosità degli abitanti dei rioni il cui continuo via vai contribuì ad accendere ulteriormente lo scandalo. Il modo migliore per descrivere il clima dell'epoca è riportare lo snobissimo commento di un consigliere comunale dell'ala più conservatrice di influenza papalina, che con l'appoggio dei quotidiani vaticani così tuonava in riferimento alle Naiadi: “….non ninfe inebriate dall'acqua, ma ciociare ubriache di cattivo vino nelle pose più dimostrative”. Un genio.<br />
<br /></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhijc5WUyJkurJ0Yf_G7sc7DMnM4M_w56Q_tv2-4vF52IUJjULlm26Mc_pzfG7vd2iP0Q5T842VU1cDqOPPZoOccxM9tmt1QPHdgIr_v_92P8KIM5LYZUMxzDw4xBMJGxJ5F_IvxgY4OZ-w/s1600/glauco.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhijc5WUyJkurJ0Yf_G7sc7DMnM4M_w56Q_tv2-4vF52IUJjULlm26Mc_pzfG7vd2iP0Q5T842VU1cDqOPPZoOccxM9tmt1QPHdgIr_v_92P8KIM5LYZUMxzDw4xBMJGxJ5F_IvxgY4OZ-w/s400/glauco.jpg" width="272" /></a></div>
<div style="text-align: left;">
<br />
A rompere gli indugi ci pensarono infine gli studenti con un'inaugurazione coatta (nel senso di forzata, ma forse pure un pò coatta) nel primo giorno di carnevale del 1911, il tutto con il beneplacito di un comune allora felicemente progressista e non ancora soggetto alle influenze clericali. Un gesto che rappresentò la vittoria della libera espressione artistica, del moderno laicismo, ma soprattutto della cessazione di una sterile polemica del cazzo, arte in cui da sempre in Italia siamo impareggiabili maestri. Ma l'opera non era ancora completa e solamente al trascorrere di undici lunghi anni venne proposta dallo stesso Rutelli un'integrazione con un ultimo armonizzante elemento centrale: tre tritoni in lotta con un delfino e un polipo. Tale delirio da rissa sottomarina non mancò ancora una volta di stimolare la fantasia dei romani che decisero di battezzarlo "il fritto misto". La copia temporanea realizzata in malta venne così relegata nei giardini di Piazza Vittorio e ancora una volta le Naiadi furono lasciate da sole. A quel punto il Rutelli, forse esasperato dopo le tante polemiche, o più probabilmente con un atto di consapevole ironia che rasentava il colpo di genio, optò per una soluzione di impatto che avrebbe messo tutti d'accordo, ninfe soprattutto. Ecco quindi ergersi sul gruppo il poderoso Glauco mentre stringe un guizzante delfino, simbolo della dominazione dell'uomo sulla natura. In poche parole un possente uomo nudo con un grosso pesce in mano, da cui si eleva lo schizzo principale dell'intera coreografia acquatica. Potremmo speculare per ore sui doppi sensi dell'opera e sugli effetti ambigui che ci regalano i diversi punti di osservazione, ma a toglierci di impaccio ci pensa questa volta il Sor Capanna, celebre cantastorie romanesco che con la sua lirica appassionata applicata allo stornello, così ci serve la sua giusta conclusione:</div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
C'è a Piazza delle Terme un funtanone</div>
<div style="text-align: left;">
che uno scultore celebre ha guarnito</div>
<div style="text-align: left;">
cò quattro donne ignude a pecorone</div>
<div style="text-align: left;">
e un omo in mezzo che fa da marito.</div>
<div style="text-align: left;">
Quanto è bello quer gigante</div>
<div style="text-align: left;">
lì tra in mezzo a tutte quante:</div>
<div style="text-align: left;">
cor pesce in mano</div>
<div style="text-align: left;">
annaffia a tutt'e quattro er deretano.</div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
E con questo momento di altissima poesia vi lascio sperando che al prossimo giro di rotatoria a piazza della Repubblica riuscirete infine a "vedere" quel qualcosa di più di questa bellissima fontana.<br />
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhW5-2ZrGrkLdg5opJDIR78vZT_lgpKA-cEthSFugwgEhgHs6zL7_V_5gRoxmAkIhwLtZFLTJ6vd_JMhgOljWHlzXTFIXEMvUzM3PGjd7LI_lDA-VXzxZ_Hs6F7iTdWzCC0pbtZCPau2J3D/s1600/naiade2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="424" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhW5-2ZrGrkLdg5opJDIR78vZT_lgpKA-cEthSFugwgEhgHs6zL7_V_5gRoxmAkIhwLtZFLTJ6vd_JMhgOljWHlzXTFIXEMvUzM3PGjd7LI_lDA-VXzxZ_Hs6F7iTdWzCC0pbtZCPau2J3D/s640/naiade2.jpg" width="640" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com23tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-38701284798793799702012-11-01T10:19:00.000-07:002013-04-09T06:19:32.018-07:00Dice che a Roma ce stanno le palme sotto terra<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcz5aIl2oDwY9geaD9kRMosrkPDGxkKbo-pXcM6wkKj4t9hNTVHy1A567s2dbtulZiulKNYPJpPyLfVX4GVIx0sFQXE6Rwu6Qmszcq1XsuAeFIvnBckm4FU5kntdSCshQmwnw2dLldnEz7/s1600/catacomba1.bmp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="298" qea="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcz5aIl2oDwY9geaD9kRMosrkPDGxkKbo-pXcM6wkKj4t9hNTVHy1A567s2dbtulZiulKNYPJpPyLfVX4GVIx0sFQXE6Rwu6Qmszcq1XsuAeFIvnBckm4FU5kntdSCshQmwnw2dLldnEz7/s400/catacomba1.bmp" width="400" /></a></div>
<div class="" style="clear: both; text-align: left;">
<br />
Nell'immaginario collettivo le
catacombe sono sempre state erroneamente considerate il nascondiglio
segreto dei Cristiani ai tempi delle persecuzioni. Dico
erroneamente perché in effetti risulta difficile credere che i Romani,
conquistatori di un impero immenso per estensione e complessità, e i cui
confini si estendevano dal Medio Oriente alla Britannia, fossero così imbecilli
da non accorgersi di quello che avveniva nel frattempo in casa
propria, sotto i loro stessi piedi "calzarati". Se dunque
non volessimo sottovalutare l'intelligenza dei nostri antenati, dovremmo
rassegnarci al fatto che le catacombe altro non fossero che semplici cimiteri
sotterranei, che solo in rare occasioni venivano utilizzati per officiare
"in segreto" la liturgia Cristiana (attività che normalmente si
svolgeva privatamente nelle domus dei patrizi convertiti alla nuova religione,
in un contesto decisamente meno umido). Ad ogni modo questo genere di
sepoltura sotterranea non va certo considerata come esclusiva dei
Cristiani, in quanto la ritroviamo molto in voga sia tra
i concorrenti "pagani", sia tra le
prime comunità ebraiche presenti a Roma. E proprio di
queste ultime ci occuperemo in questo post.<br />
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjsrkH4YImN9mCnS7UpY8f08NqPP94mC9huys-pDFQmZrsymkO2qQO5sqB59wLPh3MU7LV6vrGDu7BQYpakteFteLb4jZdtu_cdp8n2eS4sCwdyiOn219fnL-ZMiz6e3N_kkybFMJCocy8W/s1600/catacomba7.bmp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><img border="0" height="297" qea="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjsrkH4YImN9mCnS7UpY8f08NqPP94mC9huys-pDFQmZrsymkO2qQO5sqB59wLPh3MU7LV6vrGDu7BQYpakteFteLb4jZdtu_cdp8n2eS4sCwdyiOn219fnL-ZMiz6e3N_kkybFMJCocy8W/s400/catacomba7.bmp" width="400" /></a></div>
<div class="" style="clear: both; text-align: left;">
<br />
Le catacombe di Vigna
Randanini risultano le più conservate tra le 6 catacombe ebraiche
attualmente conosciute nel nostro territorio, e sono situate all'interno
della proprietà privata della nobile famiglia dei Gallo di Roccagiovine.
Riuscire ad approfittare delle rare aperture speciali del sito è un'ottima
occasione per godersi un'avventura casareccia da affrontare all'interno
dei confini del raccordo, in particolare quando muniti di lampada e caschetto,
ci trasformeremo in breve nell'alter ego provinciale e un pò coatto del sempre
mitico Indiana Jones. La prima caratteristica che decreterà la vittoria di
catacombe ebraiche contro catacombe cristiane 1-0, in particolar modo per
il pubblico dei claustrofobici, è l'apprezzabile larghezza dei corridoi
rispetto ai rispettivi delle anguste colleghe cristiane. Ai lati di questi
spaziosi viali sotterranei si alternano i classici loculi con le relative targhe, che
oltre a fornirci lo spunto per intrattenerci con l'interpretazione
delle epigrafi, ci presentano una carrellata dei simboli tipici delle
sepolture ebraiche, tra cui ricorrono in particolare il frutto del cedro,
la pergamena (nel caso di sepoltura di un "grammatico"), e il
mazzetto di erbe aromatiche.<br />
<br /></div>
<div class="" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPwPjhyeHxaxRH8tJyuKfNFz8E_T9XWjt41NY67-27dOKZ-474YYVPS6Bhm62jYVgjT8sVtcJ16g-FHkgJfl17st29KhGO4VtMCKbDw_umsi4eZb-iBuwyUuox6Y5c856Ev__qOkpwCQcB/s1600/Bassorilievo+Arco+di+Tito.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="255" qea="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPwPjhyeHxaxRH8tJyuKfNFz8E_T9XWjt41NY67-27dOKZ-474YYVPS6Bhm62jYVgjT8sVtcJ16g-FHkgJfl17st29KhGO4VtMCKbDw_umsi4eZb-iBuwyUuox6Y5c856Ev__qOkpwCQcB/s400/Bassorilievo+Arco+di+Tito.jpg" width="400" /></a></div>
<div class="" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="text-align: left;"><br /></span>
<span style="text-align: left;">In ogni angolo
troneggia sempre e comunque la Menorah, il famoso candelabro a sette bracci
simbolo della religione ebraica, trafugato dal tempio
di Gerusalemme dall'imperatore Tito come trofeo di guerra per sancire
la propria schiacciante vittoria in Giudea. L'episodio venne celebrato con
un bassorilievo sull'arco di Tito, celebre monumento dei nostri Fori
Romani, rispetto al quale divenne obbligo morale e consuetudine per ogni ebreo
romano il categorico rifiuto di passarvi sotto. La millenaria tradizione si è
interrotta solo nel recente 1997, con la clamorosa decisione del rabbino capo
Toaff di celebrare la Chanukkà con l'accensione della prima fiammella
esattamente sotto quell'arco, odiato simbolo della prima grande disfatta
del popolo Ebraico. La misteriosa sparizione della Menorah, secondo alcuni
andata distrutta, secondo altri nascosta in qualche luogo segreto, rimane
avvolta dalla leggenda. Ma noi, da bravi romani quali siamo, vogliamo fidarci
di quanto racconta il Belli in un sonetto:</span></div>
<div class="" style="clear: both; text-align: left;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm;">
</div>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm;">
</div>
"Mò nun c’è più sto Cannelabbro
ar monno.<o:p></o:p><br />
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm;">
Per èsse, c’è; ma nu lo gode un
cane,<o:p></o:p></div>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm;">
perché sta giù ner fiume a fonno a
fonno.<o:p></o:p></div>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm;">
Lo vòi sapé lo vòi dov’arimane?<o:p></o:p></div>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm;">
Vicino a Ponte rotto; e si lo vonno,<o:p></o:p></div>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm;">
se tira su per un tozzo de
pane."</div>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: left;">
</div>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm;">
Proseguendo il nostro percorso lungo
le gallerie, avremo modo di apprezzare, con un tocco di esotismo mortuario, un
genere di sepoltura di origine orientale detta<span class="apple-converted-space"> </span><i>Kokh</i>, scavata
perpendicolarmente verso il basso rispetto al più classico loculo. Sembrerebbe
che in realtà i K<i>okhim</i><span class="apple-converted-space"> </span>servissero
solo come camera di decomposizione, prima che le ossa rimaste fossero
successivamente riposte in un più consono ossuario.<o:p></o:p></div>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm;">
Come incidente di percorso ci si
presenta improvvisamente il più classico tra gli ostacoli o trappole
generalmente presenti in ogni film di Indiana Jones che si rispetti.
All'altezza di un pozzo-lucernario ci attende infatti la temibile tribù dei
ragni grillo, un incrocio nefasto che unisce alla naturale repulsione per ogni
forma di vita aracnide, l'elemento ansiogeno del salto a tradimento. La
guida ha la delicatezza di comunicarcelo in un misto tra indifferenza
e perverso piacere con un monocorde "qui fate attenzione ai
ragni-grillo, che potrebbero saltarvi addosso" (mentre nella mia testa un
accorato "MORIREMO TUTTI!" sarebbe stato più consono alla
situazione).<br />
<br /></div>
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhLGBsR_Lavdy0mwmdCAMmNOdZK1WvzJyScLMn8Dw7Hrxbya6KzG5Ksnt43-NlXcVgxeU84Pp0eJNvyaNJblM1h-Hp9GxZ9rZ1MnQqUm6_oL7Ok48B-NlkRHfVquOwOuVYhjBWZt-PKLxMZ/s1600/catacomba2.bmp" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKVZEfazz6n3vgLFukN6x46GdiWcXljOAaGI0CYvUYxXqN0owuqGziNE0SfcoKOD484skQGAo7K9j9DzAid9h1GtON9hiS9vColXi826W7Xn9bhOUiox84Wp8Fvbt2b3dO4yt6-Qw2lj8r/s1600/catacomba6.bmp" imageanchor="1" style="clear: right; cssfloat: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="400" qea="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKVZEfazz6n3vgLFukN6x46GdiWcXljOAaGI0CYvUYxXqN0owuqGziNE0SfcoKOD484skQGAo7K9j9DzAid9h1GtON9hiS9vColXi826W7Xn9bhOUiox84Wp8Fvbt2b3dO4yt6-Qw2lj8r/s400/catacomba6.bmp" width="298" /></a></div>
<div style="text-align: left;">
<img border="0" height="400" qea="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhLGBsR_Lavdy0mwmdCAMmNOdZK1WvzJyScLMn8Dw7Hrxbya6KzG5Ksnt43-NlXcVgxeU84Pp0eJNvyaNJblM1h-Hp9GxZ9rZ1MnQqUm6_oL7Ok48B-NlkRHfVquOwOuVYhjBWZt-PKLxMZ/s400/catacomba2.bmp" width="298" /></div>
<span style="text-align: left;"></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="text-align: left;">A riprenderci dallo sgomento si apre
ai nostri occhi la vista della prima delle due camere sepolcrali affrescate.
La decorazione, in questo caso piuttosto danneggiata, ci riporta alle
origini del popolo ebraico, con una curiosa rappresentazione di palme
da dattero disposte sui quattro lati del cubicolo. Ed è proprio in presenza di
questi piccoli dettagli che si rimane catturati dal fascino della continua
scoperta e della complessità di una storia millenaria, che solo Roma riesce a
regalarci senza mai smettere di stupire: ci troviamo probabilmente sotto il
giardino di una delle meravigliose ed inavvicinabili ville dell'Appia antica, o
all'altezza di un incrocio della trafficata via Ardeatina, e proprio qui, nel
silenzio del sottosuolo, ci ritroviamo ad ammirare quattro palme da dattero
dipinte più o meno duemila anni prima, e che ancora riescono a
trasmettere tutta la nostalgia di un popolo per gli elementi naturali
della propria terra d'origine. Purtroppo il resto dell'ambiente risulta
danneggiato da interventi successivi di allargamento, e dopo una rapida
occhiata a quello che rimane delle altre decorazioni, riprendiamo il nostro
percorso.</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="text-align: left;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
L'itinerario prosegue, ed è
forte la tentazione di defilarsi per esplorare una delle tante diramazioni,
immaginando di poter testimoniare chissà quali scoperte. Il punto di arrivo e
il culmine della visita è rappresentato dall'ultima camera sepolcrale,
divisa in due ambienti distinti. La ricchissima decorazione sembra
convergere verso gli elementi centrali delle volte, rappresentati nel primo
ambiente da una vittoria alata nell'atto di incoronare un giovane nudo, e nel
secondo da Fortuna con una cornucopia in mano (preferivate la foto del primo?).
Tutto intorno si dispiega un'alternanza di figure animali e floreali che si
concentrano sul tema dei volatili nella prima camera e dei pesci nella seconda.
Questo insolito impianto decorativo, composto da simbologie piuttosto classiche
e in parte legate a ritualità politeiste, ha fatto pensare ad un
preesistente utilizzo pagano di questa sezione della catacomba, ma in
realtà è lecito ritenere che si tratti semplicemente di una moda dell'epoca,
ripresa dagli ebrei a puro scopo decorativo (un pò come quando arrediamo
casa appendendo maschere africane, senza che questo implichi
necessariamente il nostro coinvolgimento in riti animisti e
danze tribali nel soggiorno di casa). L'intera superficie delle pareti è
coperta da graffiti di visitatori risalenti agli anni '30 del secolo
scorso, con le classiche diciture di nome, data e attestazione di
presenza sul genere "anche noi siamo stati qui". Dopo l'iniziale
sconcerto per un tale scempio, che farebbe apparire al confronto un
qualsiasi<span class="apple-converted-space"> </span><i>writer</i> metropolitano
come l'incarnazione della civiltà e del rispetto del decoro urbano, cominciamo
infine a guardare con interesse anche a questa ulteriore testimonianza storica
di un periodo recente, in cui il concetto di preservazione dei beni culturali
non era stato evidentemente ancora assorbito.</div>
<div class="" style="clear: both; text-align: left;">
Alla fine, non paghi
dell'attacco dei ragni grillo, abbiamo deciso di non farci mancare nemmeno i
fantasmi. E per concludere in pieno stile "puntata di Mistero" (
probabilmente con la medesima "autorevolezza" di Raz Degan e Daniele
Bossari ), sottopongo anche a voi lettori l'inquietante fotografia scattata nei
sotterranei, dove alla destra del ragazzo col giubbotto nero (ultimo della
fila), si riconosce la minacciosa presenza di tre figure umane. Fantasmi,
effetto ottico o bastardissima applicazione dell' I-phone? Probabilmente non lo
sapremo mai.<br />
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-_tpQteJE3A4db63pBHSm0thDzFQgTVr_qWRF6qBi5bO-uJFXa7kpxQ4WoPcYy-aj0Uuie4DhJXGl9zCDbMfaGu1rZLuq8PEdaRKn-YP_CKbElFHYCJ-9PJw0eQQ8iHyHWmngj0j-w0Km/s1600/vigna.bmp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" qea="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-_tpQteJE3A4db63pBHSm0thDzFQgTVr_qWRF6qBi5bO-uJFXa7kpxQ4WoPcYy-aj0Uuie4DhJXGl9zCDbMfaGu1rZLuq8PEdaRKn-YP_CKbElFHYCJ-9PJw0eQQ8iHyHWmngj0j-w0Km/s400/vigna.bmp" width="321" /></a></div>
<div class="" style="clear: both; text-align: left;">
<br />
L'ingresso alle Catacombe
ebraiche di Vigna Randanini si trova su via Appia Pignatelli 4. Per visitarle è
necessario fare affidamento ad una delle tante associazioni culturali romane
che periodicamente organizzano visite guidate (tra le altre vi consiglio
www.sotterraneidiroma.it).</div>
<br />
<br />
<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com31tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-10759504083326579392012-10-17T10:48:00.002-07:002013-04-09T06:20:46.168-07:00Dice che le scale le devi fà in ginocchio<div class="" style="clear: both; text-align: left;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGPXPg46R4IVllY6ZHyz6JNOgDN4zOWu1QuQdW4Iqyp-khmZtJnt_dMEmJn6eSsl4JDt7PF4eP3iWPXoCTd7DpbmMi6M2Pb-8yQhmeL_I4tdwUooZ3nceEd4Zm7tGR94DbsFRXMmcDr2kZ/s1600/004.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; cssfloat: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="223" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGPXPg46R4IVllY6ZHyz6JNOgDN4zOWu1QuQdW4Iqyp-khmZtJnt_dMEmJn6eSsl4JDt7PF4eP3iWPXoCTd7DpbmMi6M2Pb-8yQhmeL_I4tdwUooZ3nceEd4Zm7tGR94DbsFRXMmcDr2kZ/s400/004.JPG" width="400" /></a></div>
La tanto decantata "eternità" di Roma si manifesta continuamente nei suoi più molteplici aspetti: dalle infinite, eterne attese alle fermate d'autobus, alla persistenza di antiche tradizioni, giunte sorprendentemente immutate fino ai giorni nostri, dopo un tempo quasi eterno. E quando capita di assistere al lento incedere di fedeli che risalgono i gradini della Scala Santa in ginocchio, esattamente come accadeva cinque secoli fa, non possiamo che rimanere affascinati dalla potenza simbolica di una tradizione sopravvissuta persino all'uscita del fottutissimo I-phone 5. Alla base del "percorso" un cartello multilingue fornisce ai visitatori casuali le istruzioni per l'uso, mentre alcuni tra i "volontari" si concedono, in linea con la modernità di una società ormai decisamente <em>welness oriented,</em> la rinuncia a sofferenza e sacrificio grazie all'utilizzo di pratici cuscini salvaginocchia. Come agognato premio li aspetta l'indulgenza da tutti i peccati, ma solo a tempo determinato. Lo status di santità applicato a semplici gradini di marmo deriva nientedimeno che dalla leggenda della loro appartenenza alla scala originale del palazzo di Ponzio Pilato, teatro dello storico processo a Gesù Cristo, fatta recapitare da S.Elena, madre dell'imperatore Costantino, come ingombrante souvenir del suo lungo viaggio in terra santa. Utilizzata in principio come scalone di ingresso dell'antico palazzo Lateranense, venne successivamente ricollocata all'interno dell'attuale edificio cinquecentesco ricostruito ad hoc, opera dell'architetto Domenico Fontana, realizzato nell'ottica del rivoluzionario rinnovamente edilizio dell'intera piazza S.Giovanni commissionato da Papa Sisto V.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjz-Da4bP499k1G8p8jXU9HULF7yUnqc1CBiqGRVZbIILDf1XZHoenaNRJEi8U0DavgJAVJQ8aIuioLrKmaLVTFzMdoTjv1siGj7gT8BMNQH97q360NI5fLYEHE1qO5d4Brbin2DiX-5VIY/s1600/015.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjz-Da4bP499k1G8p8jXU9HULF7yUnqc1CBiqGRVZbIILDf1XZHoenaNRJEi8U0DavgJAVJQ8aIuioLrKmaLVTFzMdoTjv1siGj7gT8BMNQH97q360NI5fLYEHE1qO5d4Brbin2DiX-5VIY/s400/015.JPG" width="400" /></a></div>
La scala venne dunque rismontata, trasferita e ricostruita gradino per gradino nel giro di una sola notte (praticamente la metà del tempo che impiegherebbe un essere umano normodotato a montare una stupidissima libreria Billy di Ikea), e venne dunque riciclata come accesso privilegiato all'antica cappella privata dei pontefici, unico elemento originale risparmiato dalla demolizione dell'intero complesso Lateranense. La scala è rivestita da una protezione in legno di noce, al fine di evitare la consunzione del sacro marmo ad opera delle spigolose ginocchia dei fedeli, e rimane visibile solo parzialmente attraverso alcune apposite fessure: lo stesso meccanismo di protezione del divano buono in salotto con copridivano tattico, e stesso deludente effetto. Il punto di arrivo della scomoda ascesa è rappresentato da un finestrone con grata, di fronte al quale i fedeli sostano a fine percorso in adorazione dell'immagine del cosiddetto Salvatore <em>Acheropita</em>, custodito all'interno della suddetta cappella privata.<br />
<br /></div>
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</div>
<div style="text-align: left;">
<div style="text-align: left;">
La cappella dei pontefici (in realtà cappella di S.Lorenzo) è conosciuta inoltre come Sancta Sanctorum (santa tra le sante, o come si dice a Roma santa 'na cifra) per via della preziosissima e cospicua raccolta di reliquie di quelli che possono considerarsi i veri e propri big della santità: dalle teste di Pietro e Paolo, in seguito ritrasferite nella basilica, alla testa di S.Agnese, fino ad arrivare al sacro prepuzio di Cristo, la cui travagliatissima vicenda meriterebbe un post a parte. Impunemente sottratto da un Lanzichenecco durante il sacco di Roma, fu ritrovato a Calcata in seguito alla cattura sul posto dello sventurato ladro di prepuzi, dove venne infine custodito nella chiesetta del paese fino all'ultimo clamoroso furto del 1983. Il fatto che l'ultimo atto si sia svolto proprio nel borgo colonizzato dagli ex hippies, in un contesto fricchettone di <em>peace and love</em> in cui era lecito fumarsi di tutto, rende l'intera faccenda persino più inquietante. Tornando alla cappella privata dei pontefici, per noi che alle ginocchia ci teniamo (e presuntuosamente riteniamo di non avere peccati da assolvere) ci è concesso raggiungere più comodamente questo autentico gioiello medioevale percorrendo la scala parallela, che passando attraverso l'adiacente oratorio di S.Silvestro, permetterà di accedere direttamente all'interno del Sancta Sanctorum. <br />
<br /></div>
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiYN26Js0_aBeQIwkkdemmREGqktYItykbIzyNOEIfvw6yxRqKZYBQ8z9rPdzsx7w0JFh9FA8s2SA_3zrEa1uxEax5bn0o9yNGlF43JisdtZSYOIwboxd4SS7YdpTctwLgbvZYTFocrY_Fo/s1600/011.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiYN26Js0_aBeQIwkkdemmREGqktYItykbIzyNOEIfvw6yxRqKZYBQ8z9rPdzsx7w0JFh9FA8s2SA_3zrEa1uxEax5bn0o9yNGlF43JisdtZSYOIwboxd4SS7YdpTctwLgbvZYTFocrY_Fo/s400/011.JPG" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: left;">
<br />
Tra affreschi originali del 1200, splendidi mosaici e decorazioni Cosmatesche, emerge su tutto come indiscusso protagonista la meravigliosa immagine del Cristo Salvatore. Narra la leggenda che l'apostolo Luca, notevolmente apprezzato per le sue doti pittoriche, si accinse a realizzare su richiesta dei fedeli un ritratto di Gesù come celebrazione dopo la sua morte. Dopo essersi limitato a tracciare un pigro disegno di base, l'apostolo decise quindi di lasciare il lavoro incompleto pensando di proseguire il giorno successivo (mi ricorda qualcuno), ma è proprio nel corso della notte che accadde il miracolo e la tavolozza si perfezionò senza il suo intervento con una spontanea e prodigiosa apparizione di eccezionali colori. Per questa ragione l'immagine venne denominata Cristo "Acheropita", che in greco bizantino significa appunto "dipinto da mano non umana". Approfitto quindi dell'episodio per augurare lo stesso prodigio a chi dovesse accingersi a rimbiancare le pareti di casa (potremmo persino inaugurare il pantone acheropita). L'immagine è oggi quasi interamente nascosta da una ricchissima copertura argentea, decisione che risale al pontificato di Innocenzo III. In realtà persino il volto, unica porzione apparentemente visibile, è stato riprodotto su di un velo di seta successivamente applicato sull'originale (di nuovo la storia dei maledetti copridivani). Questo significa che non conosceremo mai la straordinaria bellezza di un'immagine, frutto di una tecnica talmente sorprendente da essere ritenuta soprannaturale e dovremo dunque limitarci a percepirne la potenza e l'importanza dietro un eloquente strato di superficiale ricchezza.<br />
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgeGWm4pmbaSEG57Bjc39iSuH1r0UxWES5RWUGCAu4Y46b06-l5maFcob338X_Bp1QRrXuYX_CO79B4n3SpSIBcw-R5LnutH70btFtj3olUNXriWtUr8gbwYC1cZAIc32jFrpG-2xhfC21j/s1600/009.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="286" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgeGWm4pmbaSEG57Bjc39iSuH1r0UxWES5RWUGCAu4Y46b06-l5maFcob338X_Bp1QRrXuYX_CO79B4n3SpSIBcw-R5LnutH70btFtj3olUNXriWtUr8gbwYC1cZAIc32jFrpG-2xhfC21j/s400/009.JPG" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: left;">
<br />
Esattamente di fronte troviamo l'armadietto custode delle sacre reliquie, chiaramente blindatissimo. Tra tutte rimane visibile, esposto su una delle pareti laterali, solamente una porzione del legno della tavola dell'ultima cena. Levatevi comunque dalla testa l'immagine della tavolata per tredici di leonardesca memoria e pensate piuttosto a una sorta di monovassoio da colazione in camera, vale a dire quello che un tempo era considerato tavolo. E mentre dal finestrone con grata le fedeli giunte in vetta ci scrutano come fossimo in un esperimento di osservazione comportamentale, decidiamo infine che è arrivato il momento di uscire. All'esterno ci attende nuovamente il traffico impazzito di piazza S.Giovanni, semafori, clacson e un'orda di venditori ambulanti che cerca di rifilare ogni genere di paccotiglia. E quasi viene il dubbio che alla fine la salita in ginocchio in confronto sia solo un sano esercizio di relax. Persino senza cuscino.</div>
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<br /></div>
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La Scala Santa si trova in Piazza S.Giovanni 14. Il Sancta Sanctorum è visitabile tutti i giorni (escluso la domenica e il mercoledì mattina) dalle 10:30 alle 11:30 e dalle 15:00 alle 16:00. Ad ogni modo è consigliabile prenotare o chiedere maggiori informazioni allo <strong>06-7726641.</strong></div>
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<strong></strong><br /></div>
<div style="text-align: left;">
E visto che era un pò che non lo facevo vi ricordo ancora una volta del mio libro "Roma Fuoripista". Una selezione dei migliori itinerari nello stile "Dice che a Roma" che potete acquistare on line direttamente sul sito <a href="http://www.romafuoripista.com/">www.romafuoripista.com</a> o nelle librerie romane indicate sulla medesima pagina! Daje che Natale è vicino (seeeeee)<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJ6roAWkvT-_ZM24Nh3Bv3aCzL9K0ZgTc5FuVitP_3w2d6WVNI_ggFHLMFrN9HntmgUFio6BCQxnJqzz5NkyBCtV5y7xyOb4LHLty8abdWmhCrWwz018lziujNs_VP5fqdCP-cOiEgaHWJ/s1600/copertina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="388" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJ6roAWkvT-_ZM24Nh3Bv3aCzL9K0ZgTc5FuVitP_3w2d6WVNI_ggFHLMFrN9HntmgUFio6BCQxnJqzz5NkyBCtV5y7xyOb4LHLty8abdWmhCrWwz018lziujNs_VP5fqdCP-cOiEgaHWJ/s400/copertina.jpg" width="400" /></a></div>
Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com24tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-6639327522671555932012-10-04T03:30:00.000-07:002013-04-09T06:21:32.227-07:00Dice che s'è fatta l'ora di pulire il bagno<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCMOQYcaGcA7ts_7hDXfrUQ1lBkqUlOiPyxyYF_PBy6ZKLz-RPsL0V7hrLMWOiUy5_GBupSjRdWPN7h7srZezyfL5DkqzD86kNBbwC502AfugDB9ATgvVXBIHM3vS_N8D3czJpxbQDcg6n/s1600/caspas1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="223" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCMOQYcaGcA7ts_7hDXfrUQ1lBkqUlOiPyxyYF_PBy6ZKLz-RPsL0V7hrLMWOiUy5_GBupSjRdWPN7h7srZezyfL5DkqzD86kNBbwC502AfugDB9ATgvVXBIHM3vS_N8D3czJpxbQDcg6n/s400/caspas1.jpg" width="400" /></a></div>
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Generalmente identifichiamo il passato di Roma con le vestigia della monumentalità imperiale o religiosa (che poi sempre imperiale è), ma c'è un altro passato che non dobbiamo assolutamente sottovalutare: quel passato recente in cui riecheggiano ancora le storie di generazioni appena precedenti la nostra. Storie che alcuni ricordano ancora in prima persona e che non ci vengono raccontate sulle pedanti pagine di un testo storico, ma attraverso la voce della gente comune, o come in questo eccezionale caso, grazie alla filmografia degli anni più felici del nostro cinema. Spesso i due passati si accavallano o si confrontano come se fossero uniti da una linea sottile, e accade che il meno potente dal punto di vista iconografico, per quanto prezioso, rischi di soccombere alla fine più atroce e svilente: abbandonato al degrado e all'incuria. La Casa del Passeggero, ex albergo diurno all'incrocio tra via del Viminale e via delle Terme di Diocleziano, ci appare oggi come una discarica urbana, appena ingentilita dalle forme liberty di inizio secolo scorso. Un raffinato covo di immondizia, "contessa miseria" dell'architettura romana di un tempo, inspiegabilmente avviata verso la più assurda cancellazione (e grazie a Carmen Consoli per la definizione).</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhv_Kaz70dnfZ42Fyy9JXS1b22CmWcjwOXKSg2SPqZxcke8-tg-I2SjBN1uNKDWpzVA63dKiYDRuLPDePq_MBGuU8rDb1fvq1mZGcI6wNV6ti52MfZzFpoQK4xajIPuPs4K6OGyX0T1pXor/s1600/bronzo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="276" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhv_Kaz70dnfZ42Fyy9JXS1b22CmWcjwOXKSg2SPqZxcke8-tg-I2SjBN1uNKDWpzVA63dKiYDRuLPDePq_MBGuU8rDb1fvq1mZGcI6wNV6ti52MfZzFpoQK4xajIPuPs4K6OGyX0T1pXor/s400/bronzo.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="clear: both; text-align: right;">
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Piccolo capolavoro del "barocchetto romano", realizzata nel 1920 dall'architetto Oriolo Frezzotti, si distingue immediatamente per quella sinuosa tettoia in vetro e ferro battuto, che messa a protezione dello scalone di ingresso interrato, appare come precaria cornice di una facciata composta con angeli in pietra e bassorilievi di bronzo, in un armonico insieme che invita a sognare di un passato avvolto da vapori e profumo di acqua di colonia (in realtà c'è tanfo di piscio, quindi levatevi dalla faccia l'espressione estatica). Sulla ringhiera di ingresso troneggia la sigla Caspas, esotica abbreviazione di "Casa del Passeggero", ad indicare la sua funzione di albergo diurno a due passi dalla stazione Termini, punto di arrivo prediletto per ogni viaggiatore bisognoso di un bagno o più semplicemente di qualche ora di riposo. Un moderno stabilimento termale, sorto per caso o volontà proprio nei luoghi in cui un tempo si estendeva ciò che rimane delle maestose terme di Diocleziano (la linea sottile che lega tra loro i passati di Roma).<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMiEMF55vba0avDDBq3sIyFBUivMeRKlAZc90m7yFpkfHNqRPUNQd2XtDIScOpWcwW1GcBWq3wY30Co8p-HhgmYhuDaidQkHjhy4DEg9e9HIk4xT1e39jIBeNtEOR1I5NIfvDCAPBKtyQv/s1600/casa.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMiEMF55vba0avDDBq3sIyFBUivMeRKlAZc90m7yFpkfHNqRPUNQd2XtDIScOpWcwW1GcBWq3wY30Co8p-HhgmYhuDaidQkHjhy4DEg9e9HIk4xT1e39jIBeNtEOR1I5NIfvDCAPBKtyQv/s1600/casa.JPG" /></a></div>
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Doccia, barbiere, manicure e pedicure erano solo alcune tra le prestazioni offerte, oltre ad un efficiente servizio di dattilografia per chiunque avesse avuto bisogno di una lettera scritta a macchina. E non erano solo i viaggiatori ad usufruirne: in un tempo piuttosto recente dove il bagno in casa era un optional (con l'unica eccezione del minimo indispensabile per le evacuzioni di base), erano in tanti gli abitanti dei quartieri limitrofi a desiderare"il lusso" di un momento di benessere tra i vapori di un bagno caldo. Lo stesso genere di lusso che noi oggi ricerchiamo nelle Spa, dove tra sadici massaggi con pietre bollenti, bagni nella cioccolata o pediluvi nel vino (che spreco) non saprebbero più che inventare per soddisfare la richiesta di un pubblico ormai abituato alla vasca idromassaggio in casa. Come in tutti i luoghi di passaggio non mancavano ovviamente le prostitute della zona, pronte ad offrire un gradito servizio extra ai frequentatori del posto. Ed è così che in questo microcosmo intriso di talco, vapori e cipria, tra puttane e dattilografe, eleganti viaggiatori e coppie clandestine, piazzisti e residenti in cerca di relax è stato scritto un piccolo pezzo di quel racconto di un Italia fatta soprattutto di persone, con i loro sogni, i loro vizi e le loro attese. Chissà quante storie si sono intrecciate e sono nate oltre quel cancello, oggi malamente custodito da due teste di leone in pensione che sembrano aver perso la fierezza di un tempo. Dietro di loro i magnifici ovali in bronzo ci raccontano una storia di esotica ricercatezza, dove liberty e richiami classici si fondono nell'idea di una cura del corpo che dalla Roma imperiale ad oggi (con lunghe, maleodoranti pause nell'età di mezzo e oltre) ritrova la sua collocazione nei bisogni e nelle aspirazioni della gente comune.<br />
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Accanto alla storia quotidiana c'è anche una storia di celluloide, fatta di registi e attori che immortalarono la Casa del Passeggero, affascinati da quelle forme e dalla peculiare quotidianità che rende magico ogni luogo di passaggio, punto di incontro di cittadini e viaggiatori. Nel film "il segno di Venere" del regista Dino Risi, i grandissimi Franca Valeri e Peppino de Filippo interpretano rispettivamente una dattilografa e un fotografo, impiegati medio borghesi in quello che veniva allora definito come centro multiservizi. In origine il film doveva essere incentrato sul personaggio della sola (ed evidentemente sottovalutata) Franca Valeri, ma per esigenze commerciali della casa di produzione Holliwoodiana venne richiesto di infarcire la pellicola con quanti più attoroni Italiani da blockbuster possibili come garanzia di successo. E fu così che si compì il miracolo che vide gli interni della Caspas come set di incontro dei più grandi mostri sacri del cinema italiano in un unica pellicola. E accanto a Franca Valeri, ecco incrociarsi sotto le volte affrescate della Casa del Passeggero personaggi e storie interpretati nientedimeno che da Sofia Loren, Alberto Sordi, Peppino de Filippo e Vittorio de Sica.</div>
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Anche il maestro Fellini ne rimase folgorato, e notoriamente fissato nel voler necessariamente riprodurre ogni ambiente esterno tra le mura di Cinecittà, al punto da ricostruire in studio l'intera via Veneto de "La dolce vita", fece realizzare una copia della facciata della Casa del Passeggero come set per il suo autobiografico "l'intervista" del 1987. E a questo punto potremmo azzardare la forzatura di una misteriosa leggenda o maledizione, secondo cui tali ricostruzioni tolsero l'anima ai loro originali facendoli precipitare entrambi in una decadenza che è oggi sotto gli occhi tutti (via Veneto volgare trappola per turisti, e la Casa del Passeggero discarica a cielo aperto). Ma non possiamo certo dare la colpa a Fellini e alle sue manie se oggi ci ritroviamo questo gioiello seppellito dalla monnezza.<br />
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Sarebbe facile fare del populismo e prendersela con una amministrazione troppo impegnata a gozzovigliare nascosta dietro eloquenti maschere da porco. Forse più che inveire dovremmo conoscerla, parlarne, fotografarla, scoprirla, raccontarla, e un giorno qualcuno con più possibilità di noi potrebbe infine prendersela a cuore e porre le basi per una sua rinascita. Possibilmente non come ennesima galleria d'arte radical-chic, ma come punto di incontro variegato quale era. Tra puttane, viaggiatori, commesse e perditempo, sintesi e specchio di un Italia amata e odiata e che oggi sembra solo un lontano ricordo.</div>
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Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com29tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-31021389823394550122012-09-17T01:28:00.002-07:002013-11-08T06:11:23.357-08:00Dice Pietro: "Quo vadis, domine?" ('ndo vai, Signò?)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5_aTswccJY5xXSfjwRaFi1uMwM_mgwD2TYwxipZTay4dPLNVXIl6pZyJOovuQ7Wrg8KjS8aMn_Qo1L2MnJC5vh0jR0FePXDgtBgD81DKVk7o9DP4C3k5ny4Neh8LE0mH9YL5Dxc0ZjbH9/s1600/sebastiano.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" hea="true" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5_aTswccJY5xXSfjwRaFi1uMwM_mgwD2TYwxipZTay4dPLNVXIl6pZyJOovuQ7Wrg8KjS8aMn_Qo1L2MnJC5vh0jR0FePXDgtBgD81DKVk7o9DP4C3k5ny4Neh8LE0mH9YL5Dxc0ZjbH9/s400/sebastiano.jpg" width="400" /></a></div>
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Se due linee di metro messe in croce non possono certo definirsi rappresentative di un <em>underground</em> metropolitano degno di questo nome, la prospettiva cambia completamente quando andiamo a considerare le oltre sessanta catacombe che si diramano per centinaia di kilometri nel sottosuolo romano: una serie apparentemente infinita di percorsi sotterranei che farebbe venire il mal di testa persino a Lara Croft (ma purtroppo decisamente poco pratici ai fini della mobilità pubblica di cittadini e pendolari). Le catacombe di San Sebastiano sulla via Appia antica, situate al di sotto dell'omonima Basilica intitolata al martire, sono tra le uniche cinque regolarmente aperte al pubblico.<br />
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L'attuale Basilica risale al XVII secolo e venne riprogettata sulla base del precedente edificio Costantiniano, opportunamente innalzato nel IV secolo D.C. sul luogo dove secondo tradizione riposarono per un certo periodo le spoglie degli apostoli Pietro e Paolo e del martire Sebastiano. Ed è proprio a quest'ultimo che venne dedicata la Basilica in un crescendo di popolarità che lo vide protagonista come santo taumaturgo, nemico delle pestilenze, nonchè terzo patrono della città di Roma. L'iconografia rinascimentale ce lo consegna nei panni (succinti) di un giovanotto bello e prestante che, legato ad una colonna così come mamma l'ha fatto, viene trafitto dalle frecce in una celebre rievocazione del suo primo scenografico martirio (dico primo perchè in quel caso scampò alla morte in seguito alle cure della vedova Irene, per poi essere definitivamente giustiziato con un meno pittoresco bastonamento). </div>
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Rappresentato originariamente come un vecchio barbuto, Sebastiano subì un notevole rifacimento del look durante il Rinascimento, probabilmente ispirato alla leggenda dove il santo appare al vescovo di Laon sotto le sembianze di un giovane efebo. Gli artisti rinascimentali lo trasformano dunque in un sensuale e muscoloso ragazzotto, nella cui rappresentazione pittori e scultori dai più svariati orientamenti sessuali sfogarono con estrema dedizione il proprio culto per la bellezza delle forme anatomiche maschili. I turbamenti di Oscar Wilde al cospetto di una spassionata raffigurazione pittorica, opera del maestro Guido Reni, sancirono definitivamente il suo ingresso nell'olimpo dell'iconografia gay maschile, al fianco di più attuali personaggi come Madonna e Lady Gaga (e in quanto alla prima non mi riferisco ovviamente alla sua collega dei piani alti). La meravigliosa statua di Giuseppe Giorgetti, che da sola vale la visita della Basilica, collocata sul sarcofago all'interno della cappella dedicata, risponde esattamente ai suddetti canoni rappresentativi, e non stupisce che a realizzarla fu proprio un allievo del Bernini, già maestro di erotiche ambiguità nella realizzazione del suo <a href="http://www.diceche.blogspot.it/2011/05/dice-che-sta-in-estasi-religiosadice.html" target="_blank">capolavoro dedicato a S.Teresa D'Avila</a>. E mentre vi invito ad approfondire per fatti vostri la produzione artistica legata al santo che, da Reni al Mantegna, fino alle psichedeliche rappresentazioni anni Settanta, si è reso protagonista di un eccezionale percorso iconografico in bilico tra sacro e profano, sposterò la vostra attenzione sul lato opposto della navata alla scoperta dei tesori della cappella delle reliquie. Tra queste potremo osservare nientedimento che un esemplare originale delle frecce che contribuirono a ridurre il povero Sebastiano "quasi ericius..." (ovvero, come scrisse l'autore della Passio in una scontatissima similitudine da seconda elementare, come un riccio ricoperto di aculei) e la porzione della colonna a cui venne legato.<br />
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Tra le reliquie si distingue una lastra di pietra accompagnata dalle parole "<em>Quo Vadis</em>", che riporta bene impresse delle curiose impronte di piedi sandalati. Narra la leggenda che l'apostolo Pietro, in fuga da Roma per sfuggire al martirio, incontrò Cristo sulla via Appia all'altezza dell'incrocio con la via Ardeatina, e così come è consuetudine in ogni incontro casuale, e a maggior ragione trattandosi di una persona defunta, lo accolse spontaneamente con la domanda "Quo vadis, Domine?" (Dove vai, Signore?). Rispose Gesù con nonchalance "Sto andando a Roma a farmi crocifiggere una seconda volta" (e dici niente!). La sottile risposta aveva il chiaro obiettivo di colpevolizzare l'apostolo per la propria vigliaccheria, essendo la corretta interpretazione la seguente: "tu scappi, e invece guarda un pò: io vado ad affrontare la morte". Che poi detto fra noi per uno già morto <em>ce vole poco</em>. Ad ogni modo Pietro colse il senso della frecciata e umiliato tornò indietro, dove fu infine martirizzato, probabilmente pensando che in un prossimo incontro avrebbe fatto meglio a farsi i sacrosanti affari suoi. In ricordo dell'episodio e come testimonianza dell'apparizione (o più semplicemente per essere finiti entrambi in un cantiere di rifacimento del manto stradale) rimasero impresse sulla strada le impronte dei piedi di Gesù. Il calco era originariamente conservato nella chiesa del Quo Vadis, edificata sul luogo dell'apparizione, e al cui interno viene oggi conservata solamente una copia dell'originale. E se ad Hollywood se la tirano per la celebre passeggiata delle star con i calchi delle impronte dei più grandi attori del secolo (Mickey Mouse compreso), noi romani non siamo certo da meno e alle impronte di George Clooney rispondiamo nientedimeno che con quelle di Gesù Cristo!</div>
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Ma le sorprese non sono finite e in un'altra piccola (e a dire il vero piuttosto svilente) nicchietta scopriamo l'ultimo "ritrovato" capolavoro di Gian Lorenzo Bernini, quel "Salvator Mundi" scolpito prima della dipartita dell'artista e del quale si persero le tracce a partire dal 1773. Scovato nei meandri del monastero della Basilica dopo lunghe peripezie e finti ritrovamenti bufala, è stato infine rimesso in esposizione solo a partire dal 2006, e colpisce in effetti che sia stato collocato nel primo scomparto libero della basilica con la stessa cura con cui sistemeremmo l'ennesimo soprammobile di troppo regalatoci a Natale.<br />
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Per coloro che non soffrono di claustrofobia (o di attacchi di panico alla scoperta del prezzo del biglietto: 8 euro, sinceramente ben spesi) la visita deve obbligatoriamente proseguire nel sottosuolo, lungo quel percorso sotterraneo, ma soprattutto temporale, che a partire da una vecchia cava di pozzolana, e passando per un'antica necropoli pagana, ci accompagnerà alla scoperta del culto segreto dei primi cristiani. Esplorare questi cunicoli tempestati di loculi, e riflettere sul fatto che si tratti solamente di una porzione infinitesimale di quell'immenso labirinto che corre sotto i nostri piedi, dà quasi un senso di vertigine, ed è eccitante pensare di potersi perdere tra centinaia di chilometri solo azzardando un <a href="http://www.romafuoripista.com/" target="_blank">fuoripista</a> non consentito (autocitazione con link a tradimento), prendendo una diramazione a caso alle spalle della nostra guida. Il percorso obbligato si articola lungo tre tappe fondamentali, la prima delle quali è la cripta originaria dove venne collocata la tomba di San Sebastiano (perfettamente allineata con l'attuale sistemazione del sarcofago in superficie all'interno della basilica). La seconda tappa è la più stupefacente: ci ritroviamo infatti al cospetto di tre antichi mausolei pagani perfettamente conservati nelle loro decorazioni a stucco originali. L'effetto è quello dell'ingresso in una piccola città sotterranea. Il sorprendente stato di conservazione, che senza alcun bisogno di successivi interventi di restauro hanno riportato intatte fino a noi magnifiche volte decorate da raffinati stucchi e pitture originali raffiguranti banchetti funebri e antiche leggende pagane, è dovuto al conseguente interramento del complesso effettuato dai primi cristiani al fine di creare le basi per una costruzione successiva, terza e ultima tappa del nostro percorso sotterraneo. In cima ad una scala scopriremo infatti ciò che rimane della cosiddetta <em>Triclia</em>, ambiente sacro (originariamente coperto da una tettoia) destinato alla celebrazione di banchetti funebri dedicati alla memoria dei santissimi Pietro e Paolo. Sulla parete superstite possiamo oggi divertirci a interpretare i numerosi graffiti originali lasciati sulle mura dai devoti pellegrini di un tempo, degni antenati dei <em>writers</em> di oggi.</div>
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Vi consiglio questo viaggio nella storia in abbinamento a una passeggiata sulla via Appia Antica , che proprio a partire dalla Basilica di San Sebastiano si esprime in uno dei suoi tratti più affascinanti. Parleremo di questa strada unica al mondo e dei suoi innumerevoli tesori in altri <em>post</em> in futuro. Per il momento godetevela senza meta e senza preoccupazioni, e nel caso doveste incrociare una faccia conosciuta sulla via, tirate dritto e non fate domande!</div>
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La Basilica e le Catacombe di S.Sebastiano si trovano in Via Appia Antica 136 e sono visitabili dal lunedì al sabato tra le 9:00 e le 12:00 la mattina e tra le 14:00 e le 17:00 il pomeriggio.</div>
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p.s. </div>
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Grazie a Claudia e Luca per avermi accompagnato in questo itinerario! :)</div>
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Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com38tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-60894663598488510772012-08-29T05:33:00.002-07:002013-04-09T06:31:17.364-07:00Dice che dalla stazione di Porta S.Paolo si viaggia..nel tempo<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiASHJ8tJlp9eFaAOny7F1j7HdkZsAIi7vu-U2HhFTWlY_yfXEdfhSridBxjrNPS5KAZbvyWRnOEyXB6gh5lUPEEPcvaZGrfYqIJi9-ry1gDnBvsU7sRzKdHKA9Vp_0-u0rjDIfzr8PHuI3/s1600/012.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiASHJ8tJlp9eFaAOny7F1j7HdkZsAIi7vu-U2HhFTWlY_yfXEdfhSridBxjrNPS5KAZbvyWRnOEyXB6gh5lUPEEPcvaZGrfYqIJi9-ry1gDnBvsU7sRzKdHKA9Vp_0-u0rjDIfzr8PHuI3/s400/012.JPG" width="400" /></a></div>
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L'estate sta finendo (involontaria citazione trash anni Ottanta) e, complice la paventata crisi economica, moltissimi tra i romani hanno scelto per quest'anno di limitarsi ad un pendolarismo estivo di consolazione verso gli ameni lidi di Ostia Beach. Nel corso dell'ultimo secolo la linea ferroviaria Roma-Ostia lido della stazione di Porta San Paolo ha consentito a generazioni di bagnanti di transumare verso l'agognato refrigerio del litorale metropolitano, lungo questa mitica tratta che rimane tutt'oggi un'esperienza obbligata per ogni vero romano, e che varrebbe la pena affrontare anche solo per osservarne la variegata umanità che ne popola allegramente banchine e vagoni munita di pranzi al sacco, materassini <em>oversize</em> e ombrelloni contundenti: una versione decisamente più estiva e colorata rispetto alle grigie tonalità di solitudine che siamo abituati ad incontrare nei convogli metropolitani in orario di ufficio. Per chi non lo sapesse, una volta attraversato il varco muniti di biglietto, c'è la possibilità di ingannare l'attesa con un rapido salto nel passato delle ferrovie metropolitane, attraverso una breve visita all'adiacente Parco Museo Ferroviario dell'Atac. Agli incazzatissimi utenti dei mezzi in questione, che contino di riuscire ad ammirare in loco una collezione di scalpi degli amici di Alemanno nepotisticamente infiltrati in azienda, dispiace comunicare che dovranno accontentarsi di una curiosa esposizione di tram e locomotori d'epoca, affiancati da tutta una serie di cimeli a tema rinvenuti tra depositi, stazioni e uffici amministrativi. </div>
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Una volta entrati verremo accolti con sospetto e delusione da una serie di locomotori in disuso, e quelle che a prima vista ci appariranno come vecchie macchine arenate in un capolinea di periferia qualsiasi, si riveleranno in realtà essere dei piccoli gioielli d'epoca dai nomi altisonanti di Locomotore 05, Tram 404, ed Elettromotrice ECD21. La possibilità di salire a bordo per un viaggio temporale su binario è il classico bonus che farà sicuramente la differenza. Ed eccoci così montare all'interno del tram 404, classe 1939, un tempo operativo su quel percorso fatto di sogni e speranze che da Termini conduceva a Cinecittà. Tra i vecchi sedili in legno e la scoperta di dettagli d'epoca, una serie di vetrinette conservano documenti e scartoffie a tema tra i quali è doveroso segnalare l'originale di un certificato di richiesta di "prolungamento malattia" di un ex lavoratore, la cui presenza in sede di esposizione ci piace leggerla come autoironica celebrazione delle attitudini dei dipendenti pubblici. In poche parole la "cazzata" di un ex dipendente nostro antenato assurge alla dignità di documento storico che diventa pezzo da museo. Raccoglimento e devozione di fronte al cimelio sono richiesti ad ogni vero fancazzista che si rispetti.<br />
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Ancora più affascinante risulta l'esplorazione a bordo dell'elettromotrice ECD21 (per i profani una sorta di mix tra convoglio postale e treno passeggeri) in rappresentanza dei convogli della ferrovia Roma- Civita castellana-Viterbo. Il cosiddetto treno della Tuscia, oltre a sfoggiare la sua buca postale itinerante brandizzata "Regie Poste" sulla fiancata, destinata a raccogliere la corrispondenza lungo le stazioni, ( ogni commento comparativo o riflessione sulle moderne tecniche di comunicazione suonerebbe banale e retorico, ma non resisto e devo farlo: "altro che le e-mail di oggi!"), ci accoglie al suo interno in uno scomparto viaggiatori di terza classe dagli originali arredamenti lignei. Sarebbe certamente interessante approfondire i dettagli della cabina-sala macchine o l'interno del piccolo ufficietto adiacente allo scomparto bagagli, ma l'esperienza più significativa è certamente quella di sedersi al "proprio" posto, chiudere le tendine e immaginare una destinazione di sessant'anni fa per un viaggio nella storia che, complice la propria fantasia, pochi musei sanno ancora regalare. Se poi qualcuno dovesse sorprendervi mentre leggete il vostro libro comodamente seduti prendendovi per pazzo, è comunque un problema suo.<br />
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Tornati all'esterno possiamo chiedere al disponibilissimo e gentilissimo personale (e lo dico senza ironia) di condurci verso l'ex biglietteria estiva, testimone di un tempo in cui l'incremento dei viaggiatori su rotaia verso l'esotico lido di Ostia necessitava di sportelli aggiuntivi per la stagione calda, in linea con quella consueta efficenza di regime tuttora tristemente glorificata (ed effettivamente dei "treni in orario" la nostra storia ne avrebbe fatto volentieri a meno). All'interno è visibile un'ulteriore collezione di inutili e curiosi cimeli che, tra vecchi pacchi di biglietti inutilizzati e tessere ingiallite di ex dipendenti, potrebbero al limite destare interesse esclusivamente in un frequentatore accanito di mercatini delle pulci. E anche in questo caso saranno la fantasia e l'immaginazione a regalarci l'emozione più forte, quando tenteremo di rievocare una nostalgica cartolina d'epoca dove bagnanti del secolo scorso si accalcano in fila per un biglietto verso l'eccezionalità di una giornata al mare a quegli stessi sportelli ormai chiusi. Ma il cuore dell'esposizione e la vera sorpresa che ci riporterà alle nostre primitive pulsioni ludiche è la "stanza segreta" con il plastico dei trenini elettrici. Anche in questo caso sarà il custode di turno ad introdurci in una stanza dominata dal cosiddetto plastico Urbinati (dal nome dell'autore), rappresentante la stazione e la centrale elettrica di Osilo (che una googlata veloce collocherà in provincia di Sassari in Sardegna). L'accensione del plastico ferroviario ci lascerà incantati come bambini troppo cresciuti, mentre in un<em> loop</em> alienante continueremo a seguire il trenino che entra ed esce dalle gallerie, con un sorriso ebete dipinto sul volto e la conseguente e comprensibile commiserazione mista ad orgoglio negli sguardi del custode.</div>
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Alla fine della visita ci siamo meritati una serie di gadget da veri fedelissimi, tra i quali una T-shirt brandizzata Atac, che indossata in pandant con la relativa borsa di tela, potrebbe risultare un ottimo metodo per girare con i mezzi pubblici senza biglietto, nella speranza che l'ostentata devozione per il marchio ci aiuti a simpatizzare con il controllore di turno (come effetto collaterale potreste apparire perfetto capro espiatorio per un assalto di vecchine incazzate alla fermata dopo 50 minuti di attesa abbondante).</div>
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Il piccolo Museo del Trasporto si trova all'interno della stazione di Porta San Paolo ed è aperto ad ingresso libero (solo io ho pagato il biglietto per passare i tornelli?) dal lunedì al giovedì, dalle 9:00 alle 16:00 e il venerdì dalle 9:00 alle 13:00 </div>
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Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com20tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-39291416338952095412012-08-02T05:02:00.000-07:002013-04-09T06:33:17.583-07:00Dice che il principe era ossessionato dalle civette<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
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Sarebbe certamente più logico raccontare la storia della Casina delle Civette andando di pari passo con quella dell'intero complesso di Villa Torlonia, l'eccentrica dimora del Marchese Giovanni Torlonia che alla fine del Settecento stabilì di meritarsi una fastosa residenza degna di un titolo nobiliare appena accaparrato, ma soprattutto delle proprie sconfinate e indecenti ricchezze accumulate in anni di speculazioni in combutta con gli occupanti Francesi. Tuttavia questo bizzarro edificio fantasy da sempre sembra vivere di vita propria, appartato dall'intero contesto residenziale esattamente come l'ambiguo erede della famiglia, Giovanni Torlonia Jr, che fino al giorno della sua morte avvenuta nel 1938 scelse proprio la Casina delle Civette come residenza privata ai margini del parco, per ritirarsi, così come recita l'iscrizione sulla porta di ingresso, in "Sapienza e Solitudine" (in parole povere "per cazzi suoi").<br />
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L'intero parco venne gradualmente trasformato in una specie di Disneyland per volere di Alessandro Torlonia a partire dal 1832, con la conseguente progettazione della Casina delle Civette che, originariamente realizzata come rifugio di montagna in lungimirante anticipo sulle attuali tendenze eco-chic, assunse in prima battuta l'evocativo nome di Capanna Svizzera. In pieno delirio da ecstasy erano sorte nel frattempo tutt'intorno finte rovine romane, obelischi rosa, villini medievali e persino una grotta moresca. Alla morte di Alessandro subentrò il nipote Giovanni, il quale tramite "magheggio" anagrafico riuscì ad ottenere il cognome della madre sposata ad un Borghese (nel senso della nobile famiglia dei Borghese) al fine di garantire continuità alla dinastia dei Torlonia: ed è così che facciamo la conoscenza di Giovanni Torlonia Jr. Il giovane principe decise dunque di spostare la sua residenza all'interno dell'ex Capanna Svizzera, che per suo gusto e volere subì una curiosa metamorfosi in villaggio medievale a seguito di tutta una serie di interventi architettonici che tra logge, loggette, torrette e porticati dai risvolti fiabeschi trasformarono in breve tempo il rifugio alpestre in castelletto. Non ancora soddisfatto, e coerentemente in linea con la sua fama di misantropo e amante dell'esoterismo, volle aggiungere un tocco personale all'intera costruzione, facendola dotare di elementi simbolici ricorrenti, oggetto delle sue personalissime ossessioni: prima fra tutte la civetta.<br />
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E mentre Giovanni sceglieva di vivere ai margini del parco in pieno isolamento liberty tra lumache, civette, trifogli e ancora civette, il corpo principale di Villa Torlonia venne affittato nel frattempo (1925) a Benito Mussolini alla simbolica cifra di 1 lira. All'apparenza semplici compagni di bonifica, in virtù del mastodontico intervento bonificatore operato dai Torlonia nella piana del Fucino in Abruzzo a partire da nonno Alessandro (opera che integrò la collezione di titoli familiari con "la fascia" di principe del Fucino), i due personaggi erano in realtà legati da tutta una serie di interessi che, in quanto rappresentanti del potere politico e finanziario del momento, furono alla base del loro "avvicinamento"; un avvicinamento talmente letterale da farceli infine ritrovare come improbabili vicini di casa. Cito dalla commemorazione dell'allora presidente del senato alla morte di Giovanni Torlonia Jr: "...(egli) rappresenta uno dei contributi più cospicui coi quali l'iniziativa di un privato abbia saputo assecondare l'azione generale del governo fascista per la redenzione del suolo d'Italia"! Alle spalle di cotanta redenzione agricola c'è tutta la storia di un famiglia di mercanti arricchiti, che tra speculazioni, matrimoni studiati a tavolino con le nobili famiglie romane e appropriazioni di titoli nobiliari e proprietà a fronte di prestiti non restituiti da parte di aristocratici in malora, divenne in breve tempo una vera potenza politica e finanziaria (la banca del Fucino è tuttora presieduta dai Torlonia).</div>
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E come sempre quando si parla di potere e finanza, non può ovviamente mancare l'elemento esoterico-massonico, in questo caso perfettamente e ripetutamente rappresentato nella quotidianità della dimora del principe. L'intervento più evidente e caratterizzante fu comunque la realizzazione di meravigliose vetrate liberty, dalla scuola del maestro Cesare Picchiarini, su disegni di quattro diversi artisti (Cambellotti, Bottazzi, Grassi e Paschetto), i cui lavori dotarono l'intero complesso di un patrimonio artistico senza precedenti fortunatamente sopravvissuto in parte fino ad oggi. Tra tutte si distingue la vetrata delle civette, su disegno di Duilio Cambellotti, ennesima rappresentazione dell'animale notturno, le cui fattezze vennero morbosamente riprodotte nelle fogge del mobilio della camera da letto. Non essendo rimasto quasi nulla dell'arredo orginario, possiamo oggi solamente immaginare le sembianze di una civetta ossessivamente ripetute su lampade, comodini e pomelli del letto, mentre rimane comunque al suo posto l'inquietante volo di pipistrelli a stucco sul soffitto del letto, come prova e a garanzia di una certa stravaganza del principe ai confini del "fuori de capoccia". Simbolo ambivalente sin dai tempi dell'antico Egitto, la civetta rappresenta da un lato la saggezza e l'illuminazione di chi possiede la capacità di scrutare attraverso le tenebre, ma è allo stesso tempo legata al tema opposto della morte e dell'oscurità: "sapienza e solitudine", appunto.<br />
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Il percorso ci guida attraverso i due piani della villa alla scoperta di ciò che rimane a seguito dell'eccellente lavoro di restauro che salvò l'edificio da un progressivo degrado, iniziato con l'occupazione delle truppe anglo-americane, proseguito con l'incuria e i saccheggi e terminato con il disastroso incendio del 1991. Dovremo dunque lavorare di fantasia, stimolati da quei piccoli meravigliosi dettagli superstiti e dalle descrizioni di ogni singolo ambiente, capaci di riportarci alle eleganti atmosfere vissute dall'inquietante erede dei Torlonia. E attraversando il <em>fumoir</em> (viene voglia di accendersi una sigaretta al solo nominarlo) e il salottino delle 24 ore, rappresentate sulla bellissima volta dipinta come 24 discinte fanciulle, per poi raggiungere il più intimo piano superiore, conosceremo passo dopo passo tutte le ossessioni e le simbologie in cui il principe Torlonia amava ritirarsi. Set perfetto per un horror di classe e allo stesso tempo romantico scenario di una passeggiata metafisica, quando la luce dell'esterno si colora attraverso le preziose vetrate inondando l'ambiente di soffuse tonalità pastello. I pochi manufatti originali sono arricchiti da un esposizione di bozzetti e riproduzioni di vetrate liberty, un percorso di nicchia che perde valore di fronte alla potenza comunicativa di un luogo allo stesso tempo misterioso e affascinante, capace di restituirci nel vuoto dei suoi ambienti quella meravigliosa qualità che sempre meno utilizziamo: l'immaginazione per riempirlo. E alla fine non potremo fare a meno di vedere il principe riposare sotto quel lugubre volo di pipistrelli.</div>
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La Casina delle Civette si trova all'interno del Parco di Villa Torlonia, con ingresso in via Nomentana 70 ed è aperta tutti i giorni escluso il lunedì dalle 9:00 alle 19:00.</div>
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E con questo "Dice che a Roma" (ovvero me medesimo) se ne va in vacanza fino a settembre. Per non sentire la mia mancanza come sempre la butto là..compratevi il libro "Roma Fuoripista"! Sul solito sito troverete la possibilità di prenderlo on-line e la lista delle librerie dove acquistarlo: <a href="http://www.romafuoripista.com/">www.romafuoripista.com</a></div>
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BUONE VACANZE A TUTTI!</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgL7tfPOdKRDPJSEPd7AjS-uOF5ZdE3WAQqPPif8j_HP-YrU0EKAhBCZs_Ohuu48UT9dnik0H3nHE7tATn4NSrirtOwTadZYo1M-MFhCI16fceVz-gf-UAWbgKAv-aBTLnJ3kBbIrCYiIdy/s1600/037.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="265" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgL7tfPOdKRDPJSEPd7AjS-uOF5ZdE3WAQqPPif8j_HP-YrU0EKAhBCZs_Ohuu48UT9dnik0H3nHE7tATn4NSrirtOwTadZYo1M-MFhCI16fceVz-gf-UAWbgKAv-aBTLnJ3kBbIrCYiIdy/s400/037.JPG" width="400" /></a></div>
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Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com34tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-68518318407150314252012-07-19T07:43:00.000-07:002013-04-09T06:34:59.595-07:00Dice che all'EUR c'è una Roma "tarocca"<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjP6dKmEcM3wHWBIj7HX5S4CEmOrbJjaONWSALCATyKyeDDeOZFsDCcA_G2QklaZPp5AN15i9NgohX0nlJqOoiAwNTJoSGRpWAZgDSxnZvCBn6Si68Rq87O5fmAc9Ys27VxauUoXE8IEIC0/s1600/museo+001.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" hda="true" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjP6dKmEcM3wHWBIj7HX5S4CEmOrbJjaONWSALCATyKyeDDeOZFsDCcA_G2QklaZPp5AN15i9NgohX0nlJqOoiAwNTJoSGRpWAZgDSxnZvCBn6Si68Rq87O5fmAc9Ys27VxauUoXE8IEIC0/s400/museo+001.jpg" width="400" /></a></div>
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Come potremmo immaginare un museo di storia della civiltà romana in una moderna metropoli del 2012, in piena era multimediale? Proiezioni di filmati in 3D, percorsi interattivi multisensoriali, schermi touch screen ('tacci de chi?) di ultima generazione, ologrammi di Giulio Cesare in persona e "aò ce stanno pure le applicazioni da scaricare per lo smart phone?". Ma se andassimo a sostituire la definizione di "moderna metropoli del 2012" con "Roma", non dovremmo allora sorprenderci nel ritrovarci piuttosto all'interno di polverosi saloni di un museo dove il tempo sembrerebbe essersi fermato agli anni Sessanta, e in cui la storia di un'intera civiltà ci viene raccontata attraverso copie e calchi in gesso di monumenti celebri e minuziose ricostruzioni in scala realizzate all'inizio del secolo scorso. E sapete una cosa? Tutto ciò è infinitamente più entusiasmante! E se anche non proverete l'ebbrezza di ritrovarvi catapultati nelle atmosfere dell'antica Roma con l'ausilio di qualche proiezione in 4D, potrete comunque consolarvi con un salto alla fine degli anni '50 del secolo scorso, per un viaggio nel tempo decisamente più realistico.</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWvk85Sxscgzlp2lfG1qetAPMc8txuSUgqDmYpuNDoOLh7FnNesCJAHisVIVBHJL8BUWKDz-oVPjcn6rn_i-jyRj_2mx1WNUEHJHMuSCf7eYvuVfJLpG0eNWkV0waf42T9__hBWv4jyqXx/s1600/museo+009.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; cssfloat: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" hda="true" height="265" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWvk85Sxscgzlp2lfG1qetAPMc8txuSUgqDmYpuNDoOLh7FnNesCJAHisVIVBHJL8BUWKDz-oVPjcn6rn_i-jyRj_2mx1WNUEHJHMuSCf7eYvuVfJLpG0eNWkV0waf42T9__hBWv4jyqXx/s400/museo+009.jpg" width="400" /></a></div>
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Ci troviamo in uno dei musei dell' EUR, quartiere Mussoliniano per eccellenza progettato in occasione dell'esposizione universale del 1942 ed espressione più rappresentativa dell'architettura razionalista, i cui lavori furono interrotti in occasione della seconda guerra mondiale. L'edificio dallo scenografico colonnato venne dunque completato solo nel 1952 ed inaugurato ufficialmente tre anni dopo come Museo della Civiltà Romana. In questa sorta di imponente magazzino finale confluirono dunque tutta una serie di copie tarocche sottoforma di calchi in gesso, riproduzioni plastiche e modellini in scala frutto di due precedenti allestimenti. Una parte dei materiali proviene infatti dalla grande esposizione universale del 1911, che vide Roma in un fermento senza precedenti (o forse dovrei dire senza posteriori) nella realizzazione di imponenti scenografie all'aperto, tra le quali spiccava una celebrazione della Roma antica alle terme di Diocleziano. Il materiale venne successivamente depositato nei magazzini dell'ex pastificio Pantanella a Circo Massimo prima di essere riordinato nell'attuale museo. Il secondo allestimento riguardava invece la Mostra Augustea della Romanità (1937) al Palazzo delle Esposizioni di Roma, che secondo il consueto e delirante accostamento tra imperialismo fascista e imperialismo Augusteo, esaltava a scopi propagandistico-autoreferenziali la figura dell'algido imperatore di Roma in occasione del bimillenario della sua nascita.</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjRAi1p_Hv6pEGBeOYpSdmBbg0Eu1OwWWWkomzFirU1AWdvUJDvIfj0DeewcyU_PK5RGcECD_pL25ylTR4xZJ_ZDCR-oLMO6PLNAOv9ZYOel6jin-wOfBOGE3jbRpVcf1m1qKZsazSerkhV/s1600/museo+011.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" hda="true" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjRAi1p_Hv6pEGBeOYpSdmBbg0Eu1OwWWWkomzFirU1AWdvUJDvIfj0DeewcyU_PK5RGcECD_pL25ylTR4xZJ_ZDCR-oLMO6PLNAOv9ZYOel6jin-wOfBOGE3jbRpVcf1m1qKZsazSerkhV/s400/museo+011.jpg" width="400" /></a></div>
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La collezione si sviluppa lungo due percorsi tematici consecutivi: la prima parte prevede una sintesi della storia di Roma a partire dalle sue origini, dove riproduzioni parziali a grandezza naturale (il pronao del tempio di Augusto ad Ankara) si alternano a modellini in scala dei monumenti più rappresentativi, dal plastico della fastosa Villa Adriana di Tivoli, passando per un Circo Massimo e un Colosseo a misura di casa delle bambole, con la conseguente suggestione di un utilizzo meno didattico da parte dei più piccoli (ad esempio come dependance della casa di Barbie per qualche macabro gioco che veda le bionde amiche della Mattel sbranate dai criceti al centro dell'arena). Molto interessante la ricostruzione delle battaglie più famose attraverso una serie di raffigurazioni e modellini che farebbero sbavare qualsiasi appassionato di giochi di ruolo vecchia maniera. La seconda parte del percorso presenta invece una panoramica dei vari aspetti della vita quotidiana, dalla letteratura, alle abitudini alimentari, al commercio, con la riproposizione di ambienti e strumenti d'uso comune minuziosamente riprodotti. L'onnipresente font "Mostra" (il carattere utilizzato nella stampa fascista) ci accompagna lungo tutto l'allestimento in questo percorso con doppia chiave di lettura, dove potrete scegliere di seguire il filone della conoscenza della civiltà romana, così come suggerisce il nome stesso del museo, o quello, parimenti affascinante, della scoperta di questa curiosa produzione di architettura tarocca da esposizione universale di inizio secolo.</div>
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In questa eccezionale carrellata di falsi e ricostruzioni, eseguiti perlopiù con materiali poveri, spicca una serie di calchi della colonna di Traiano, frutto di una serie di riproduzioni volute da Napoleone III e successivamente disposti a fini espositivi lungo l'inquietante corridoio sotterraneo al neon (al di sotto del colonnato esterno). Un vero e proprio fumetto post-industriale dove avremo l'opportunità di leggere l'eccezionale descrizione della battaglia di Dacia.</div>
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Un altro elemento che ci riporta a qualche decina di anni addietro è la situazione strutturale del complesso, che in prossimità di un intervento di recupero già iniziato, ci avvolge in una nostalgica atmosfera di trascuratezza, tra tinteggiature smorte alle pareti e una totale assenza di aria condizionata (geniale la mia idea di visitarlo in piena ondata Minosse, in uno scenario estivo da Roma deserta alla "un sacco bello" di Verdone). In questo contesto si inserisce perfettamente l'aneddoto di un invasione di termiti in pieno stile B-movie che a metà degli anni Ottanta divorò gran parte dell'esposizione lignea.<br />
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Ad ogni modo il pezzo forte di tutta la collezione, quello che spazzerà via tutti i nostri sogni coltivati fino a quel momento di portarci a casa la riproduzione del Circo Massimo come pista per le automobiline o l'intera ricostruzione in scala della Roma arcaica come base per un presepe da competizione, è certamente l'imponente plastico in scala 1:250 della Roma dei tempi di Costantino. Eccoci finalmente al cospetto di un'opera d'arte originale, nata dalla collaborazione fra l'architetto Italo Gismondi e l'esecutore artigiano Pierino Di Carlo, visibile percorrendo un ballatoio sopraelevato che ne abbraccia l'intero perimetro. L'accurata ricostruzione si basa sulle fonti dell'eccezionale F<em>orma Urbis</em> dell'archeologo Rodolfo Lanciani, e si vocifera che venga tuttora aggiornata sulla base degli ultimi ritrovamenti (detto fra noi ce credo poco). Ad ogni modo l'impatto è di grande effetto e questo volo d'angelo sulla Roma Imperiale riuscirà ad entusiasmarci nonostante l'avvilente contorno di pareti giallognole sul genere palestra di scuola media. Una fantastica esperienza per gli amanti della visuale dal finestrino dell'aereo, con il valore aggiunto di un salto nel passato: prendetevi tutto il tempo per ammirarla e scoprirla in ogni suo dettaglio.</div>
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All'uscita, dopo aver scavalcato i custodi comprensibilmente rifugiatisi nel portico di ingresso per sfuggire alle temperature proibitive dell'interno, mi ritrovo nuovamente sull'assolata piazza G.Agnelli, sovrastato dalle strutture razionaliste del monumentale palazzo commissionato dalla FIAT (appunto, piazza Agnelli). Una famiglia di Olandesi, giunta misteriosamente fin qui, è in attesa di entrare mentre il capofamiglia sistema il parasole sul parabrezza della macchina (gran paraculata, penso pregustando i 60 gradi che mi aspettano all'interno del mio abitacolo). Mi chiedo se riusciranno a cogliere l'atmosfera e il contenuto di questa visita o ne usciranno semplicemente delusi per tanta trascuratezza, dopo un'impietosa comparazione con gli scintillanti musei del Nord Europa. Io, neanche a dirlo, ne esco sudato ma entusiasta.</div>
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E se posso darvi un consiglio, datevi una mossa prima che un riuscitissimo intervento ristrutturale lo trasformi nell'ennesimo efficientissimo museo.</div>
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Il Museo della Civiltà Romana si trova in Piazza G.Agnelli 10 all'EUR ed è aperto dal martedì alla domenica dalle 10:00 alle 14:00</div>
Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com20tag:blogger.com,1999:blog-4038426467320870864.post-91347830047055934012012-07-02T13:33:00.000-07:002013-04-09T06:35:48.666-07:00Dice che nel Tevere si nasconde un anaconda<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilii6HErpkCSPPaKYA5VWz9TEYCXZh4t3q4LDznRKphJn2kbhs865QEo5GBkjX85ZJ48ZpyrlWbjgYt40evdMbXkYWuCSclkaw9EQB03BOjjFOrw_wlSTJdkufHCk4O-dyZ2xUAGOoS-lp/s1600/014.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="298" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilii6HErpkCSPPaKYA5VWz9TEYCXZh4t3q4LDznRKphJn2kbhs865QEo5GBkjX85ZJ48ZpyrlWbjgYt40evdMbXkYWuCSclkaw9EQB03BOjjFOrw_wlSTJdkufHCk4O-dyZ2xUAGOoS-lp/s400/014.JPG" width="400" /></a></div>
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Sperare di imbattersi in uno scorcio poetico lungo le corsie del diabolico anello d'asfalto che risponde al nome di Grande Raccordo Anulare, potrebbe risultare impresa folle e quanto meno disperata (chi invece sembrò esserne felicemente ispirato fu Corrado Guzzanti nei panni di un improbabile Venditti <i>"...e allora vieni con me, amore, sur grande raccordo anulare, che circonda la capitale, e nelle soste faremo l'amore, e se nasce una bambina poi la chiameremo: "Rrrrrrooooomaa"</i>). Eppure basterebbe approfondire cosa si nasconde al di sotto delle nostre quattro incazzatissime ruote per scoprire uno scenario del tutto inaspettato. Ci troviamo sul tratto di GRA all'altezza della via Ostiense che, all' insaputa di noi miseri condannati che ne percorriamo ogni giorno la superficie bovinamente incolonnati, scavalca il fiume Tevere guadagnandosi immeritatamente lo status di ultimo ponte sul fiume ai confini della città. Ed è proprio sotto gli archi di questo tratto di raccordo che faremo la conoscenza di un insolito ristorante, categoria piuttosto rara tra le pagine di un blog che predilige scorci e passeggiate, ma che trova la sua meritata collocazione nel momento in cui l'esperienza gastronomica, a mio parere quasi sempre soggettiva, si accompagna all'autenticità della scoperta del nostro territorio e di una tradizione sempre più rara. E questo tratto di fiume Tevere, con la sua preziosa riserva naturale che custodisce gli ultimi baluardi della tradizionale pesca fiumarola, non poteva certamente essere ignorato. <br />
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Il passaggio segreto che dall'inferno di lamiere vi trasporterà direttamente in questo angolo di poetica decadenza è un'uscita appena accennata sulla rampa di collegamento tra la via Ostiense e il raccordo in direzione Fiumicino, immediatamente dopo l'uscita per l'ACEA. E proprio quando inizierete a sospettare di essere stati condotti con l'inganno nel bel mezzo di una perfetta scenografia da leggenda metropolitana, dove in un campo Rom sulle rive del Tevere verranno perse per sempre le vostre tracce, ecco aprirsi ai vostri occhi uno scenario naturalistico di imprevista serenità, in cui l'implacabile flusso di macchine sopra le vostre teste si trasformerà immediatamente nel rumore di fondo di una vita precedente. Un breve sterrato ci guida fino alla riva del fiume, dove troveremo ormeggiata la colorata struttura in legno e lamiera dell'Anaconda. Una struttura a due facce: da un lato ristorante, dall'altro punto d'approdo, partenza e preparazione dei fratelli Alfredo e Cesare Bergamini, gli ultimi (o forse sarebbe meglio dire gli unici) esponenti della pesca fiumarola delle anguille. Pescatori di terza generazione e custodi dei segreti del biondo Tevere, fedele compagno di una vita, i fratelli si sono organizzati in una piccola cooperativa familiare che dagli "ameni" lidi di Castel Giubileo si è infine spostata sulle rive selvagge di Mezzocamino. La pesca fiumarola si articola in due fasi: il pomeriggio vengono calati i cosiddetti "martavelli", reti-trappole d'artigianato frutto di una tecnica sapientemente tramandata di padre in figlio, mentre la mattina è dedicata alla raccolta e al recupero di reti e pescato: le famose ciriole (anguille in romanesco) destinate infine al ripopolamento degli allevamenti di anguille nelle vasche di Comacchio. Specifico la destinazione d'uso per dissipare il dubbio di chi si stesse chiedendo con una smorfia di terrore se il ristorante includa nel menù i frutti della pesca del fiume Tevere (e la mente corre al mitologico pesce-ratto di Fantozziana memoria). E in ogni caso non azzardatevi a parlare di Tevere inquinato ai fratelli Bergamini!<br />
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E' facile incontrare i fratelli al loro ritorno nel tardo pomeriggio, quando la luce del sole raggiunge la sua perfezione cromatica e l'arrivo delle barchette all'approdo dell'Anaconda ci riporta ad un malinconico passato, con i gatti che accorrono in cerca di ricompense, mentre Aironi Cinerini e Martin Pescatori volteggiano impavidi tra scarichi abusivi e cementificazione selvaggia, che in questo tratto di fiume ci appare miracolosamente e illusoriamente lontana ( o forse è solo ben nascosta dalla vegetazione sulla riva). Stupisce infine la presenza delle Nutrie, che molti ricorderanno nei pomeriggi di infanzia al laghetto di Villa Pamphili, dal quale vennero misteriosamente deportate con conseguente disperazione dei centinaia di bambini abituati a cadere nell'acqua nel tentativo di nutrirle. Questa ambigua parente del castoro riappare a noi nell'età del disincanto in cui è facile scambiarla per una zoccola di fogna ingigantita dagli effetti dell'inquinamento, finchè la vista del suo simpatico musetto ci riporta gradualmente a sfumare dall'iniziale "mortacci sua che sorcio!", alla nostalgia e alla curiosità. La contemplazione di questo acquerello romano anticipa la cena nel ristorante delle simpatiche sorelle, che hanno da poco preso in gestione questo angolo di anacronistica bellezza. A loro va sicuramente il merito di aver valorizzato la storia di una tradizione, e tra aneddoti e vecchi articoli sparsi ovunque c'è sempre qualcosa da imparare. La cucina e il personale sono rigorosamente romaneschi, perchè in fondo non sta scritto da nessuna parte che in un ristorante sul fiume non si possa mangiare una carbonara o due salsicce (e meno male, direbbe lo stesso di prima, preoccupato di un'eventuale cucina di fiume...Tevere).</div>
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Alcune sere l'Anaconda sembra quasi trasformarsi in una balera di fiume, con la musica dal vivo che sulle note di un agghiacciante repertorio nazional popolare che spazia dalla Pausini a Cocciante, ci riporta all'atmosfera delle feste di piazza in occasione della sagra della porchetta. Ma il raccordo è sempre sulle nostre teste, a ricordarci l'inesorabilità dell'indomani mattina, quando stressati, svogliati e incazzati dovremo transitare nuovamente tra le sue corsie, e ripensando alle facce serene di Cesare e Alfredo viene spontaneo pensare per un momento che forse, per questa vita, non c'abbiamo capito proprio un cazzo.</div>
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Andreahttp://www.blogger.com/profile/01370370459288512757noreply@blogger.com34