Nella placida atmosfera residenziale del quartiere Trieste, a due passi dal celebre Piper, può capitare di ritrovarsi improvvisamente catapultati nell'atmosfera metafisica di un incrocio di strade, dove le regole architettoniche e gli stili più disparati sembrano fondersi nell'illogicità apparente di una vera e propria scenografia fuori dal tempo. Ci troviamo nel cuore del cosiddetto quartiere Coppedè, dal nome del suo progettista e realizzatore Gino Coppedè. Come in tutte le archittetture sui generis che si rispettino, non poteva mancare anche in questo caso l'inevitabile leggenda metropolitana del misterioso suicidio del "folle" architetto, scomparso (guarda caso) "in odore" di satanismo. La versione ufficiale propende in realtà per una meno suggestiva cancrena polmonare, versione che rispetto alla leggenda perde però quel suo alone di morbosità, che nel tempo ha dato adito alle tante affascinanti congetture legate all'arcana simbologia rappresentata ed espressa sulle facciate dei suoi palazzi. Il progetto venne commissionato nel 1915 ad un già conosciuto e apprezzatissimo Coppedè dalla Società Anonima Edilizia (da non confondersi con il genere "edili anonimi" del tipo "ciao, mi chiamo Roberto Carlino e sono un palazzinaro"), e venne da lui personalmente seguito fino alla già discussa morte avvenuta nel 1927.
L'ingresso più scenografico è indubbiamente dal lato di via Tagliamento, dove l' imponente arco (richiamo all'antichità classica e ai suoi archi di trionfo), che unisce fra loro i cosiddetti palazzi degli ambasciatori, vi accoglierà incorniciando questo sorprendente paesaggio architettonico come ad indicare una simbolica via di passaggio verso un tempo sospeso. Il maestoso lampadario in ferro battuto, complemento d'arredo piuttosto insolito per una collocazione in esterni, ci suggerisce immediatamente che non ci troviamo in una strada qualunque. Alla destra dell'arco verrete accolti da un'edicola sacra dove la classica madonnina sembra protendere un Gesù bambino versione rugbysta, rappresentato in fase di placcaggio per atterrare al suo ingresso l'incauto visitatore. Colpisce immediatamente la straordinaria ricchezza di decorazioni, simboli e fregi, che nel caso specifico dei palazzi degli ambasciatori si distinguono per la loro peculiare asimmetricità. Il risultato complessivo risulta comunque stranamente armonioso e piacevole alla vista. Al centro di Piazza Mincio, una volta passato l'arco, troneggia la cosiddetta fontana delle rane, che con un notevole sforzo intuitivo potrete arrivare ad immaginare come caratterizzata dalla presenza di rane (di pietra ovviamente). Tutto intorno si dispiega il delirio architettonico e stilistico:
L'ingresso del palazzo al civico 2 è una fedele rappresentazione della scenografia di "Cabiria", kolossal cinematografico Italiano del cinema muto (1915) dagli imponenti allestimenti scenici, a cui persino Gabriele D'Annunzio contribuì in veste di sceneggiatore.
Lo spirito visionario del film, frutto delle allucinazioni del regista Giovanni Pastrone, meritò evidentemente la concretezza di un tale omaggio dal suo degno estimatore Coppedè. Esattamente di fronte, dall'altro lato della fontana, si erge il cosiddetto palazzo del ragno. L'origine del nome è chiaramente deducibile dall'inquietante raffigurazione di un ragno che sovrasta il portone, che se proprio volessimo andare al di là del suo essere aracnide, potremmo dotarlo di una miriade di significati simbolici: a partire dalla Grande Madre che tesse il destino degli umani, fino ad un più terra terra "ragno porta guadagno", ributtandoci così nuovamente a capofitto nella misteriosa indecifrabilità della simbologia del nostro Coppedè.
Chi altri se non il nostro Coppedè riuscirebbe ad accostare decorazioni murali raffiguranti Dante e Petrarca, processioni di monaci, vedute di Firenze, falconieri, donne in peplo, il leone Veneziano di S. Marco, segni zodiacali, la lupa di Romolo e Remo e frasi latine in una vera e propria orgia decorativa (praticamente manca solo l'effigie di Che Guevara e il logo della Apple) sulle facciate di un unico complesso architettonico? Il tutto allo scopo di abbellire un fiabesco castelletto Medievale, dove tra logge e torrette, gli elementi del fantasy e del manierismo si fondono alle allora attualissime suggestioni del liberty e dell'art decò.
In ogni caso l'elemento che realmente capovolge tutte le regole della fisica e della razionalità è l'inaspettata disponibilità dei portieri, che al nostro timido incedere all'interno degli androni armati di macchina fotografica, quando nelle nostre orecchie già risuona l'eco di un "' 'ndo cazzo vai è proprietà privata", ci accolgono con un sorriso gentile per lasciarci assaporare questo squarcio di atmosfere anni '30, dove, perlomeno negli interni, il liberty e l'art decò la fanno da padrone con inaspettata coerenza.
Non sorprende che Dario Argento, altro visionario maestro del cinema Italiano, abbia scelto l'atmosfera gotica e surreale di questo quartiere per l'ambientazione di alcune scene di due celebri film: "L'uccello dalle piume di cristallo" e "Inferno". In particolare nella seconda pellicola, autentico delirio narrativo, si rimarca l'accostamento simbolico tra palazzi misteriosi e occulto, e proprio uno degli edifici Coppedè di Piazza Mincio viene scelto come residenza Romana della "Mater lacrimorum", una delle tre temibili madri degli inferi dislocate nelle loro residenze di Friburgo, New York e appunto Roma (lo stesso palazzo era stato in precedenza utilizzato anche per il film "The Omen, il presagio"!).
Insomma le suggestioni non mancano di certo e l'intera piazza e le sue strade si presentano come un libro aperto a mille interpretazioni: dalla fiaba, al romanzo gotico, passando per il polpettone storico di "Cabiria" e chiudendo, come sempre, con l'horror e il mistero. Perchè alla fine ciò che rende affascinante questo angolo di Roma è proprio quella sottile inquietudine che accompagna la sua indecifrabilità, il frutto di un genio che con la sua opera ha creato uno stile che, in suo onore e per ovvie impossibilità classificative, è riconosciuto ancora oggi con il nome di "stile Coppedè".
Insomma le suggestioni non mancano di certo e l'intera piazza e le sue strade si presentano come un libro aperto a mille interpretazioni: dalla fiaba, al romanzo gotico, passando per il polpettone storico di "Cabiria" e chiudendo, come sempre, con l'horror e il mistero. Perchè alla fine ciò che rende affascinante questo angolo di Roma è proprio quella sottile inquietudine che accompagna la sua indecifrabilità, il frutto di un genio che con la sua opera ha creato uno stile che, in suo onore e per ovvie impossibilità classificative, è riconosciuto ancora oggi con il nome di "stile Coppedè".