La chiesa di S.Maria dell'Orto, nome bizzarro dal retrogusto campagnolo, nasce dalla venerazione per un'immagine sacra originariamente presente sul muro di un orto di Trastevere, ritenuta miracolosa in virtù di una "procurata guarigione" concessa su richiesta a un contadino malato. A differenza della maggior parte delle altre chiese, sfoggio artistico e celebrativo della potenza di vescovi e cardinali, possiamo considerare S.Maria dell'Orto come una vera e propria opera del "popolo". Ad occuparsi della costruzione e delle committenze artistiche furono infatti le corporazioni di arti e mestieri che, avvalendosi esclusivamente dei propri mezzi economici, fecero praticamente a gara fra loro per arricchire la chiesa di maestose opere d'arte. Al suo interno una carrellata di targhe marmoree esplicitano di volta in volta la committenza delle varie Università di fruttaroli, pollaroli, molinari, ortolani e pizzicaroli (detto proprio alla romana), dove il termine università non sta più ad indicare gli infausti luoghi dove imploravamo i nostri esaminatori per la conquista di un 18, ma riprende il suo significato originario di aggregazione, in questo caso di lavoratori. E se la denominazione pizzicaroli fa sorridere i non romani, allora date un occhiata alla "resurrezione" del transetto di destra, dove un "resurexit aleluja aleluja" scritto senza neanche una doppia, celebra la nostra parlata in tutta la sua meravigliosa strascicatezza.
Le stesse corporazioni di mestiere avevano sede nella chiesa (praticamente una confindustria) e diedero successivamente origine alla costituzione di una confraternita religiosa. Uno dei suoi compiti era quello di occuparsi della gestione dell'adiacente ospedale, i cui locali vennero successivamente chiusi e convertiti in una manifattura di tabacchi: mossa paradossale almeno quanto potrebbe esserlo trasformare un centro culturale nella casa del grande fratello. I simboli delle università sono nascosti un pò ovunque in una riuscitissima commistione tra sacro e gastronomico e si esplicitano principalmente all'interno della meravigliosa tarsia in marmo policromo nella volta centrale, circondata da un festone di frutta fresca. Ma il vero capolavoro comunicativo è il simbolo dell'Ave Maria che campeggia sulla vetrata dell'abside, dove le lettere A e M sono composte da un trionfo di pomodori e peperoni, per una sacralità che metaforicamente..se ripropone.
La confraternita è tuttora esistente e si occupa della manutenzione della chiesa e delle sue opere d'arte, ma soprattutto del recupero e della diffusione della propria tradizione storica. Ed è proprio grazie a loro se oggi possiamo ancora assistere all'anacronistica magia di un giovedì santo illuminato dalle candele di un'antica tradizione ormai perduta: la macchina delle quarantore. Espressione che non fa riferimento all'usanza odierna di sostare "quarantore" in macchina al casello della Roma-l'Aquila la domenica pomeriggio, ma alle famose quaranta ore di veglia tra il mezzogiorno del venerdì santo e l'alba della resurrezione di Cristo (evitiamo battute con alba e resurrezione e citazioni di George Romero). Le macchine in questione, scenografici catafalchi lignei destinati a sorreggere centinaia di candele, erano tradizionalmente conosciute come "opere effimere", ovvero montate solo in occasione dell'evento per pochissimi giorni l'anno e subito dopo smontate, senza per questo perdere la loro attrattiva di eccezionali opere d'arte e di ingegno. Quella di S.Maria dell'Orto, struttura Ottocentesca di legno intagliato e dorato, è l'unica del genere ad essere ancora allestita nella nostra città. Durante una suggestiva cerimonia le 213 candele vengono accese dai confratelli stessi che, vestiti delle loro tuniche azzurre, si aggirano tra i bracci di un enorme candelabro in equilibrio tra scale e insidiose propaggini lignee, ardua impresa che suscita tutta l'ammirazione di chi, come me, avrebbe bisogno di una dispensa papale ad hoc che sdogani l'improperio ecclesiastico in caso (certo) di inciampo a caduta libera sull'altare. La macchina viene poi lasciata accesa fino alla mezzanotte in una chiesa aperta fino a tardi e avvolta nel chiarore di un atmosfera di grande fascino.
Ma di ligneo e prezioso non c'è solo la macchina. Alcune guide riportano la presenza di un curioso tacchino ligneo, insensato manufatto più volte citato come bizzarra attrazione. Dopo aver fatto tre volte il giro della varie cappelle alla ricerca del pennuto simulacro, mi sono deciso a chiedere lumi al un gruppetto di confratelli addetti alla distribuzione di brochure informative a offerta libera. Prima risposta: "eh no! quello sta in restauro, l'hanno portato via". A seguire: "Sta in una stanza, però non si può entrare, dovrebbe chiedere un permesso..." (qualcuno non me la racconta giusta) si inserisce nella conversazione un terzo confratello "ma lei che cosa sta cercando scusi?" , dove l'oggetto della domanda passa in secondo piano rispetto al senso globale del "cerchi rogne?". Conclude un altro: "in realtà non c'è niente da vedere, è brutto". Insomma nell'ordine, si nicchia sulla presenza effettiva del manufatto, ci si contraddice con una presunta inaccessibilità, e si chiosa con un chiaro invito a desistere. Insomma questo fottuto tacchino sembrerebbe una sorta di misterioso Santo Graal di cui si vuole occultare l'esistenza al genere umano, il che non fa che accrescere la mia curiosità in maniera ancora più morbosa. O forse semplicemente un confratello l'ha fatto cadere spolverando le mensole in sacrestia e stanno cercando di parargli il culo (come diciamo a Roma, insieme a resurexit aleluja co 'na R sola). Chiaramente il primo sospettato è ai miei occhi colui che l'ha definito brutto, cosa che avrei fatto anch'io al suo posto. Resta il fatto che adesso in cima alla mia lista personale delle cose da fare prima di morire troneggia: vedere il tacchino ligneo. Cito dall'opuscolo ufficiale, che tra l'altro descrive l'oggetto della mia ossessione mentre "fa la ruota con un'apertura alare di circa 150 cm": "attualmente il tacchino ligneo è temporaneamente ospitato in un altro locale". Indeterminatezza di tempi e di luoghi che non fa altro che infittire il mistero.
Nella magia di questa luce anche i peperoni della vetrata acquistano un che di mistico, talmente mistico che usciti da lì a tarda ora, nel cuore di Trastevere, non possiamo fare a meno di concludere la nostra veglia in trattoria. Peccato che in seguito la digestione richiederà qualcosa in più delle canoniche quarantore.
la chiesa di S.Maria dell'Orto si trova a Trastevere in via Anicia 10 ed è aperta nei giorni feriali dalle 08:00 alle 13:00 e la domenica e festivi dalle 10:00 alle 12:00.
la chiesa di S.Maria dell'Orto si trova a Trastevere in via Anicia 10 ed è aperta nei giorni feriali dalle 08:00 alle 13:00 e la domenica e festivi dalle 10:00 alle 12:00.