C'era una volta una bellissima ostessa. Nella sua locanda, adagiata sulla cima di uno sperone roccioso a sovrastare la basilica di S.Paolo, la fascinosa donna soleva accogliere con premura e dedizione i numerosi pellegrini che durante il celebre pellegrinaggio delle "sette chiese", decidevano di concedersi una sosta profana inebriandosi del vino e delle grazie dell'ostessa per riprendersi dalle loro sante fatiche. Si dice che la donna fosse a tal punto gentile e cortese che venne in breve soprannominata la "garbata ostella", ed è proprio a memoria delle sue garbate gesta (nel servire alla tavola come a letto) che la zona dove un tempo sorgeva l'osteria prese il nome di Garbatella.
E' un posto strano la Garbatella: la Roma e la romanità più autentica in un luogo che architettonicamente è quanto di più lontano ci sia dalla città che siamo abituati a conoscere. Passeggiare per il quartiere è una piacevolissima esperienza fatta di scoperte e familiarità. Ci si imbatte ancora nei veri Romani, con le trattorie veraci, i panni stesi, i bambini che giocano a pallone nei cortili, le signore affacciate alla finestra, e una genuina sinfonia di "aò" e "mortacci tua" come nostalgica colonna sonora di una Roma altrove sparita.
Il cuore del quartiere, la sua prima pietra e la genesi di uno stile architettonico soprannominato barocchetto Romano si ritrovano nell'incantevole piazzetta Brin. E' proprio qui che nacque la Garbatella, per ospitare operai e futuri lavoratori portuali in vista del grandioso progetto (mai realizzato) di costruzione di un canale navigabile parallelo al Tevere, che avrebbe dato vita a un importante porto commerciale alle porte della città (nell'attuale zona del Gazometro).
L'idea era quello di creare una sorta di città giardino fatta di villini, orti e cortili, dove gli abitanti potessero rivivere in perfetto equilibrio con gli spazi e le proprie dinamiche sociali, a metà strada tra il modello delle nuove periferie inglesi e la vita nelle campagne da cui i nuovi lavoratori sarebbero venuti.
Lo stile iniziale di questo quartiere, inizialmente concepito come un piccolo borgo marinaro, risulta sorprendentemente ricercato, con elementi decorativi di gusto medievale che si fondono a richiami barocchi, vestendosi di povero solamente nella scelta e nell'utilizzo di stucchi e materiali economici.
Propongo di partire proprio da Piazza Brin, dove tutto è iniziato il 18 febbraio del 1920 e dove il re Vittorio Emanuele III pose la prima pietra del quartiere, così come recita la targa posta sulla facciata del bellissimo palazzetto ocra, archetipo del già citato barocchetto romano «Per la mano augusta di S.M. il Re Vittorio Emanuele III l'Ente autonomo per lo sviluppo marittimo e industriale e l'Istituto delle case popolari di Roma con la collaborazione delle cooperative di lavoro ad offrire quieta e sana stanza agli artefici del rinascimento economico della capitale. Questo aprico quartiere fondano oggi. XVIII Febbraio MCMXX.». Dalla piazza iniziate il percorso verso sinistra costeggiando i giardini con la pista di pattinaggio fino all'incrocio con via delle Sette Chiese. Dopo aver cambiato idea circa una quindicina di volte su quale villino vorreste possedere, arrivati all'incrocio avviatevi in discesa lungo questo piacevole tratto pedonale. La strada costeggia un parchetto che, dietro il suo anonimo aspetto di giardinetto di periferia concepito al solo scopo di sollazzare cani e cannaroli, nasconde all'interno di un'insospettabile casupola dal tetto rosso erroneamente identificabile come cesso pubblico, l'ingresso ad un vero e proprio tesoro sotterraneo: le catacombe di Commodilla. Il sito archeologico è normalmente visitabile su appuntamento, ma considerato che il nostro itinerario di oggi nasce con l'unico intento di una disimpegnata passeggiata tra i cortili e l'obiettivo di un'abbuffata in trattoria, rimando a futuri post di più elevato livello culturale-storico la descrizione di questo sorprendente monumento sotterraneo.
Girate di nuovo a sinistra per via della Garbatella (all'angolo c'è la mia personalissima scelta di villino dei sogni) e poi subito a destra discendendo per via Luigi Orlando, percorrendo la quale, mentre curioserete tra giardini e cortili evitando possibilmente di collezionare il numero massimo consentito di "che cazzo te guardi?," raggiungerete in breve piazza Bartolomeo Romano al cospetto del celebre teatro Palladium.
A questo punto un breve salto temporale ci trasporterà dall'amena concezione di città giardino del 1920, alle incombenti necessità abitative in pieno periodo fascista, quando lo sventramento del centro storico e il conseguente dislocamento di parte della popolazione in zone periferiche, assecondò una diversa funzionalità architettonica nello sviluppo di palazzine più grandi, in grado di accogliere un maggior numero di famiglie e dove il verde degli orti individuali venne sostituito da cortili comuni, stenditoi e asili nidi. L'esasperazione di questo processo lo ritroviamo nella costruzione dei famosi alberghi di piazza Michele da Carbonara, di cui parleremo nella seconda parte di questo lungo itinerario.
Il Palladium nacque come cinema rionale di quartiere nel momento in cui la Garbatella, sempre più meta di sfollati trapiantati dal centro storico, cominciò a sentire l'esigenza di sviluppare servizi pubblici e luoghi di intrattenimento sociale. Da cinema di quartiere è stato riconvertito nel tempo in sala concerti, discoteca rock e oggi teatro. Potrei vantarmi di avervi assisitito a un fantastica esibizione live dei Muse, ma a quel punto per onestà intellettuale sarei anche costretto ad ammettere di aver presenziato in tempi non sospetti ad uno dei primissimi concerti degli articolo 31. Erano ancora agli inizi, avevo solo 17 anni, J Ax non era ancora lobotomizzato..e per evitare di continuare a lungo, sull'eco delle mie inutili e balbettate giustificazioni vi invito a proseguire in salita per via Francesco Passino fino all'incrocio con via Vittorio Cuniberti.
Percorrete tutta la strada attraversando la silenziosa e suggestiva piazzetta Giovanni Masdea, e all'incrocio con Via Magnaghi, vi suggerisco una breve deviazione a destra verso Piazza Sauli. Una volta attraversati gli archi potrete infatti ammirare un interessantissimo esempio di architettura razionalista "di stato" nell'affascinante edificio che ospita la scuola "Cesare Battisti", con la sua bella torre traforata (che fa molto New York anni '30) e le quattro aquile littorie, superstiti sentinelle di un tempo fortunatamente andato, rimaste a sorvegliare quello che è oggi uno dei quartieri storicamente più "rossi" della nostra città.
Tornando indietro per via Magnaghi, ripassando nuovamente sotto gli archi, continuate il precedente percorso girando a destra su via Giovanni da Montecorvino, da dove proseguirete fino a scendere i pochi gradini con vista che vi condurranno in Piazza Giovanni da Triora. Per dovere di cronaca, e in pieno tradimento di me stesso e della mia ripromessa di non nominare la sciagurata famiglia televisiva, mi trovo costretto ad informarvi che il Roma club Garbatella in fondo alle scale è conosciuto (e riconvertito) ahimè come bar dei Cesaroni, simpatici a me personalmente quanto un gatto attaccato ai coglioni (licenza poetica in rima ispirata dall'atmosfera goliardica del quartiere), e questo per via del suo utilizzo come location per l'omonima serie televisiva. Dimenticate in fretta questo scomodo dettaglio e proseguite per via Giustino de Jacobis fino a piazza Sant'Eurosia.
A questo punto è arrivato il momento di fermarsi per un aperitivo all'aperto nel wine-bar della piazza (l'Acino Brillo), magari contemplando il suggestivo arco di ingresso di via Rubino, in attesa che da un momento all'altro spunti Nanni Moretti in sella alla sua vespa (lo so è un clichè, ma glielo dovevo come par condicio per aver nominato i Cesaroni). Siamo giunti a metà del nostro percorso e non abbiamo ancora messo niente sullo stomaco.
Il tempo di qualche campari e un paio di prosecchi, e quando la fame si farà sentire, tornerò con la seconda parte di questo itinerario.
La visita alle Catacombe di Commodilla, situate in Via delle Sette Chiese 42, è possibile previo appuntamento con permesso della Pontificia Commissione di Archeologia sacra ( mei cojoni ci sta tutto) al numero di tel. 06/735824
Sempre in via delle Sette Chiese, al numero 68, vi consiglio la pizzeria "i tre gatti". Aprendo il menù potreste sperimentare l'impulso di produrvi in una vile fuga accompagnata da imprecazioni varie alla vista dei prezzi delle pizze. In realtà scoprirete trattarsi di maxi pizze (tra l'altro molto buone) bi o più gusti per 2/3 persone. Se poi aggiungete la cortesia della proprietaria, degli ottimi antipasti misti (scordatevi i fritti, qui parliamo di cose serie tipo ricotta fresca e trippa al sugo) e un conto più che onesto allora mi ringrazierete per la dritta.