lunedì 28 marzo 2011

Dice che la scampagnata la famo in città

Con l'arrivo della primavera e il risveglio degli appetiti (in realtà mai sopiti) siamo entrati ufficialmente nella stagione delle gite fuori porta. Ci sono solo alcune lievi controindicazioni: l'alzataccia domenicale per raggiungere a tempo debito il ristorante in questione e l'inevitabile incolonnamento di macchine al ritorno su una consolare a caso, con l'aggravante della pesantezza post digestiva e l'effetto subdolo del vinello di campagna a minare i nostri più elementari processi psicomotori. Eppure a volte ci dimentichiamo che Roma ha il privilegio di ospitare all'interno della sua stessa area metropolitana intere zone di campagna incontaminata, dove a un passo dallo skyline periferico dei nuovi quartieri satellite, è possibile illudersi di rivivere il mito perduto dell' Arcadia tra pecore, cavalli, merde di vacca e sapori genuini (infelice accostamento, mi rendo conto).

Questa parte dell'agro Romano che vi invito a conoscere è la riserva di Decima-Malafede, una sorprendente area naturale protetta, istituita nel 1996 ed interamente compresa nel comune di Roma. E finchè il nostro rispettabilissimo palazzinaro Roberto Carlino (proprio lui, quello che non vende sogni ma solide realtà), dall'alto della sua carica di presidente alla commissione ambiente della regione Lazio, non deciderà di metterci le mani per qualche rifinitissimo complesso immerso nel (fu) verde, vi consiglio una passeggiata alla scoperta di una parte della nostra città e del nostro passato agricolo capaci di conservarsi ancora immutati nel tempo (Il che vi sarà di aiuto anche per riprendervi dallo sgomento di sapere tale immobiliarista a capo della commissione ambiente della nostra regione,  che sarebbe un pò come mettere la Franzoni alla commissione famiglia o Manuela Arcuri alla cultura). Per raggiungere la riserva dovrete prendere la Pontina nella carreggiata più esterna in direzione di Pomezia, fino a che, un paio di kilometri dopo aver superato il raccordo (all'altezza di Spinaceto), svoltando a sinistra tra una serie di brutture architettoniche e capannoni commerciali vi ritroverete catapultati in pochi secondi in uno scenario completamente diverso e inaspettato, con un contrasto così forte e immediato da lasciare quasi un senso di nostalgia per quello che temiamo di poter ancora perdere del nostro sempre più precario patrimonio naturalistico.
Proseguendo su via di valle Perna, ormai in aperta campagna, e con l'aiuto di qualche cartello, arriverete fino al complesso "agricoltura nuova" e alla storica torre di Perna, dove se avrete saggiamente evitato quelle fatidiche giornate da esodo di massa tipo pasquetta, 25 aprile o "prima domenica di sole dell'anno", sarete persino in grado di parcheggiare la macchina fuori da un fosso ed accingervi ad esplorare la zona circostante.

Agricoltura nuova è un interessante esempio di cooperativa Agricola, nata da un occupazione abusiva di terreni infine ottenuti in concessione, e il cui scopo, oltre a quello di tutelare l'area dall'edificazione selvaggia, consiste nel portare avanti un progetto agricolo tanto semplice quanto prezioso come quello di produrre alimenti sani e genuini direttamente per il consumatore finale. Ed è così che oggi,  in questo piccolo villaggio-fattoria nato sotto l'ombra della torre di Perna, possiamo ritrovarci a fare acquisti in un piccolo supermercato di prodotti a Km zero, a deambulare barcollando dopo aver pranzato nelle grandi sale stile mensa sociale dell'ottimo ristorante, o a scegliere un cavallo per una passeggiata presso il maneggio del posto.
La Torre di Perna, nata come torre di avvistamento a protezione e controllo delle strade che portavano al vicino castello di Decima, divenne nel 1600 una sorta di castelletto-casale inserito nell'omonima tenuta di Perna, di proprietà di Pompeo Colonna, ed è oggi la sede della Casa del Parco.
Il consiglio è di arrivare in mattinata per godersi una passeggiata lungo il sentiero natura, che partendo dalla fattoria vi guiderà giù lungo la valle, accompagnati da una serie di cartelli esplicativi che vi illustreranno le caratteristiche della flora e della fauna del posto.

Il sentiero parte attraverso un allevamento di api in arnie, dove, soprattutto se avrete evitato di spalmarvi la crema di cera d'api per rimediare agli effetti distruttivi dei bagordi del sabato, vi renderete conto di come la natura possa rivelarsi del tutto rassicurante quando è possibile sperimentarla nel suo contesto; e se anche siete soliti scatenare scene di panico con morti e feriti per colpa di un'ape infame entrata dal finestrino della macchina, riuscirete ad attraversare beatamente il ronzio di migliaia di api intente nel loro lavoro, ormai distanti anni luce dal familiare, ma ben più inquietante sottofondo di motori dalla strada. Dopo essere scesi nella valle il percorso risale attraverso un bosco di querce fino a raggiungere una collinetta ben arata. Da lì lasciate spaziare lo sguardo tra la valle sottostante, la torre di Decima in lontananza, l'odiata statale pontina e il profilo dei casermoni di Spinaceto, che sono li a ricordarci che in fondo questa campagna sconfinata è stata solo un'illusione, e che proprio per questo vale la pena che venga preservata più a lungo possibile.
Il ritorno e la salita sono il preludio al tipico pranzo della domenica. L'antipasto è già in tavola e il menù è fisso e abbondante. Alla fine appesantiti da un paio di chili e alleggeriti di 25 euro vino compreso, non resta che buttarsi nell'erba, sollevati al pensiero che tanto la strada per tornare a Roma non è lunga, perchè anche se non sembra, a Roma ci siamo già.
Alla faccia di Roberto Carlino e di tutti i palazzinari.

Il sito dell'agriturismo è http://www.agricolturanuova.it/ , dove trovate anche le indicazioni per raggiungere il posto e i menù della domenica! Se andate senza prenotare siete senza speranza.

martedì 8 marzo 2011

Dice che a S.Clemente si dicono le parolacce

Vuole leggenda metropolitana (e in questo senso mai termine fu più azzeccato) che la causa principale dell'inadeguatezza del nostro sistema di trasporto sotterraneo (la metropolitana appunto) sia rappresentata dall'estrema difficoltà nell'effettuare lavori nel sottosuolo, perchè a Roma "appena fai un buco trovi 'n sacco de robba".
Come sempre, da bravi Romani lo prendiamo come un dato di fatto, ce ne freghiamo fino a un certo punto e ci ributtiamo nel traffico infernale senza più chiederci perchè non ci sia concessa in alternativa una rete di trasporti pubblici decente. E quando un giorno scopriamo che sotto una basilica qualunque è possibile esplorare una serie di livelli sotterranei che ci raccontano la storia di ben tre epoche diverse, ci viene infine da pensare che la storia del metrò non sia poi tanto una cazzata.



Stiamo parlando della chiesa di S.Clemente al Celio, un monumento che ci racconta 2000 anni di storia trasportandoci in un labirinto sotterraneo dove culti pagani e basiliche cristiane si susseguono in una suggestiva storia verticale fatta di scale, case patrizie, affreschi paleocristiani e un peculiare microclima tale da farvi alternare i vari "che meraviglia" ad una serie di "cazzo quant'è umido qua sotto".

Anche in questo caso ci soffermeremo sugli aspetti più curiosi e divertenti, lasciando a ben più illustri guide il compito di illuminarvi sullo splendore artistico dei mosaici dell'abside centrale della basilica superiore.

Resta comunque necessaria un'introduzione sulla struttura di questo complesso su tre livelli sovrapposti, per tentare di comprenderne le origini e la storia. La parte per così dire visibile è l'attuale basilica dedicata a papa Clemente I. La stessa venne costruita sui resti di una precedente basilica più antica risalente al 4 secolo D.C., la quale fu interrata in seguito alla distruzione operata dai Normanni di Roberto il Guiscardo. Ulteriormente al di sotto dell'antica basilica troviamo invece i resti di alcuni ambienti di abitazioni patrizie Romane del I e II secolo d.c., ma soprattutto scopriremo il fascino di un conservatissimo Mitreo, vero e proprio tempio pagano dedicato al culto della divinità orientale Mitra, molto diffuso a Roma nel III secolo d.c.

Tornando al primo livello inferiore, quello che andremo a scoprire oggi, tra una serie di affreschi di datazione Paleocristiana che raccontano la storia di alcuni miracoli attribuiti a S.Clemente, sarà l'origine scritta della lingua Italiana volgare in quello che può definirsi il più antico fumetto della storia. L'affresco in questione è "la leggenda di S.Clemente", la quale ci illumina sulla divertente storiella del prefetto Romano Sisinnio e del suo incontro/scontro con il sant'uomo, colpevole di aver traviato la moglie con il Cristianesimo.
L'affresco è diviso in due parti. Nella parte superiore ci viene narrato di come Sisinnio sorprenda la moglie nel deplorevole atto di frequentare una messa celebrata dal Santo. Raccapricciato dalla conferma dei suoi sospetti (la moglie andava a messa!!)  ne ordina dunque l'arresto, ma ecco che un tempestivo intervento divino sulla falsa riga del vale tutto, rende improvvisamente ciechi Sisinnio e i suoi soldati che si ritrovano quindi impossibilitati a compiere la missione.

Nella parte inferiore la storia si fa più interessante. Clemente si reca dal prefetto per fare pace, ma Sisinnio, giustamente ancora incazzatissimo per la procurata cecità, ordina ai suoi tre soldati, Gosmari, Albertello e Carboncello, di catturare il santo e trascinarlo via. A questo punto ci sono due versioni discordi: una sposa la tesi che Clemente, al pari di un improbabile antenato di Barpapà, si fosse tramutato miracolosamente in colonna, mentre un'altra "più verosimile" racconta di come la cecità che aveva colpito i soldati, avesse confuso gli stessi a tal punto da fargli scambiare il santo per un  blocco di pietra. In conclusione la scena raffigura i tre servi intenti con immani sforzi a trascinare una pesantissima colonna credendola essere appunto S.Clemente. Il tutto è raccontato attraverso una serie di divertenti dialoghi scritti secondo una curiosa tecnica protofumettistica, consistenti in esortazioni e insulti da parte di Sisinnio.  Sulla sinistra ci appare il servo Carboncello con un bastone e l'incoraggiamento del prefetto "Falite detero co lo palo Carvoncelle" (spingi da dietro con il palo, Carboncello).
Sul lato destro ci appare invece Sisinnio vestito di porpora che sprona con grande raffinatezza gli altri due al suono di "Fili de le Pute, traite" (Figli di puttana, tirate). In pratica il nostro prefetto Sisinnio ha ha avuto l'onore di pronunciare una parolaccia all'interno di una basilica, la quale per giunta è rimasta impressa per secoli fino ai giorni nostri! In tutto questo interviene anche il Santo, che da gran signore quale è si rivela l'unico ad esprimersi in latino e non in volgare, e che con una didattica presa per il culo sentenzia "Duritiam cordis vestris saxa traere meruistis" (a causa della durezza del vostro cuore, meritaste di trascinare un masso). Purtroppo i colori , anche a causa dell'umidità, sono notevolmente sbiaditi, ma con l'aiuto dei cartelli esplicativi, una volta compresa la composizione delle frasi e delle lettere, sarà facile riconoscerle sull'affresco originale.

Con quel "figli di puttana" che ancora vi rimbomba nelle orecchie, sarete adesso pronti per scendere al livello inferiore e lasciarvi suggestionare dalle mistiche atmosfere pagane del culto misterico del dio Mitra.  Al di sotto della basilica inferiore sono infatti presenti numerose strutture di epoca Romana. In particolare, tra i resti di alcuni ambienti privati di cui si riconoscono ancora le volte decorate da stucchi, spicca la zona sacra dedicata al Mitreo.

Il Mitraismo venne importato dall'Oriente ed ebbe larga diffusione in particolare in ambiente militare. A causa della segretezza dei suoi rituali, riservati solo agli adepti e agli iniziati, non ci è dato sapere con esattezza come fosse strutturato il culto e in che modo venissero officiate le celebrazioni. I luoghi di incontro erano caratterizzati da questa ricorrente struttura architettonica riproducente una sorta di grotta naturale o come in questo caso artificiale, di dimensioni modeste e con al centro un altare raffigurante il dio Mitra nell'atto di uccidere un toro (episodio mitologico legato alla leggenda del dio).

Ai lati due panche in muratura erano destinate agli officianti per il consueto banchetto rituale. In questo caso possiamo notare anche la statuetta del dio posta all'interno di una nicchia dietro l'altare e il soffitto a volta decorato da stelle, così come richiesto dalla tradizione. Le uniche certezze che abbiamo sulla natura di questo culto sono che fosse riservato a soli uomini e che prevedesse un percorso di sette gradi di iniziazione. Per il resto possiamo solo immaginare cosa facessero un gruppo di soldati esaltati lasciandoci trasportare dalla suggestione dell'ipnotico rumore dello scorrere d'acqua, elemento dall'importante ruolo purificatore nel rituale Mitraico, e che non a caso sgorga ancora dopo millenni dalla stessa sorgente sotterranea appena dietro l'angolo. L'ascesa verso la superficie ci porta a ripercorrere al contrario questi duemila anni di storia, finchè all'uscita una cassetta delle offerte ci inviterà a contribuire per sostenere gli scavi del luogo. Avevo dimenticato di dirvi che la visita prevede l'acquisto di un biglietto del costo di 5 euro (tranquilli, li vale tutti), il che mi porta ragionevolmente a concludere con la citazione del il mio amico Luca alla vista dell'ulteriore richiesta di denaro "tacci vostra già c'avete scucito cinque euro..mò "fili de le pute, scavate!".

La basilica di S. Clemente si trova in via Labicana 95 e gli scavi sono visitabili nei giorni feriali dalle 9:00 alle 12:30 e dalle 15:00 alle 18:00. Nei giorni festivi l'ingresso è invece tra le 12:00 e le 18:00.