sabato 23 marzo 2013

Dice che ai capelloni li chiamavano Nazareni


Il poco conosciuto Casino Massimo, palazzetto Seicentesco dal nome molto attuale, custodisce in un'anonima strada a due passi da S.Giovanni l'espressione più celebre di un'intera corrente artistica della prima metà dell'Ottocento. La villa nasce come residenza suburbana del Marchese Vincenzo Giustiniani, al tempo in cui l'Esquilino si presentava come zona verde popolata di orti, giardini e ville rinascimentali. E c'è da dire che scoprire l'origine quasi agreste di questa ex residenza di campagna, oggi minacciata dal cemento e incastonata tra i palazzoni in zona san Giovanni, è una lezione di urbanistica che colpisce come un cazzotto nello stomaco. Una volta che l'edificio venne acquistato dal marchese Massimo nel 1803, il nuovo proprietario azzardò un importante restyling commissionando la decorazione delle tre sale del pianterreno ad un insolito gruppo di artisti venuti dalla Germania, fortemente risoluti nel voler rivoluzionare l'espressione pittorica del tempo: i cosiddetti Nazareni. Un manipolo di simpatici tedeschi impregnati di valori religiosi e convinti assertori di un ritorno alla purezza artistica dei maestri del primo Rinascimento, in opposizione alla volgarità del nuovo stile neoclassico (e come dargli torto). Il gruppo si presentava con un originalissimo look consistente in un avvolgente mantello, barba e capelli rigorosamente lunghi. E così come al quindicenne capellone di oggi sarà capitato sentirsi dire dalla nonna "ma come te sei conciato? pari Gesù Cristo" (il tutto accompagnato dallo scuotimento rassegnato della testa), anche i nostri amici tedeschi subirono probabilmente la stessa sorte e vennero quindi marchiati come Nazareni per via del loro aspetto e della loro chioma, guadagnandosi di diritto un posto nella lista delle categorizzazioni di stile subito dopo gli "emo", i "metallari", i "punkabbestia" e i "pariolini".


Sotto la guida del loro leader Friedrich Overbeck, i Nazareni si unirono nella cosiddetta lega di San Luca e si trasferirono come una specie di comune hippy nel convento abbandonato di Sant'Isidoro, gentilmente concessogli dal direttore dell'accademia di Francia. Qui convissero in pieno spirito di peace and love confrontandosi, dibattendo e ritraendosi a vicenda (non chiedetemi se si facessero anche le canne perchè non lo so). Al centro della loro dottrina artistica c'era la predominanza dei temi religiosi, un ritorno alle origini della pittura Quattrocentesca, e una non meglio identificata ricerca della verità. Ai membri originari si unirono nel tempo alcuni nuovi adepti, ed è proprio a questi ultimi, insieme al capostipite Overbeck, che si deve la straordinaria decorazione del Casino Massimo su commissione dell'omonimo marchese. Tre stanze per la rappresentazione pittorica di tre grandi opere letterarie, avvolte da un cromatismo brillante fatto di pennellate uniformi come solo Beato Angelico e Filippo Lippi avrebbero saputo regalarci agli albori del Rinascimento Italiano: la Divina Commedia di Dante, la Gerusalemme liberata di Torquato Tasso e l'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. E così, insieme agli appassionati d'arte, si sentiranno debitori nei confronti dei Nazareni persino quei giovani studenti fancazzisti che, non ricordando assolutamente nulla di queste opere cardine della letteratura Italiana, avranno modo di rinfrescarsi la memoria prima di un interrogazione, dando un occhiata alle pareti del Casino Massimo divenuto per l'occasione strategico Bignami. Non tutti i critici d'arte convergono sul valore estetico dell'opera, ma per chi non ama dare credito alla spocchia dei critici ed è abituato a giudicare l'arte con lo stomaco, l'impatto con queste stanze si rivelerà sicuramente notevole; sarà per la prospettiva delle porte allineate in sequenza che sembrano introdurci di volta in volta in una nuova scatola tridimensionale, sarà per un moto d'orgoglio patriottico (lo so, i pittori sono tedeschi, ma i temi sono parte del nostro patrimonio e DNA) o semplicemente perchè le scene ci appaiono luminose e pulite come per le pennellate di un Raffaello prima maniera.


In questo planetario della letteratura è bello alzare la testa perdendosi nei dettagli e ricostruire le storie che ci hanno accompagnato (o che abbiamo rifuggito) sui libri di scuola. E sicuramente non potrà che colpirci quella contrapposizione Dantesca tra inferno e paradiso, ormai perfettamente interiorizzata da ogni cittadino Italiano minimamente consapevole, con quell'apocalittica scena dell'inferno a fare da cornice ad una porta che non siamo certo tentati di voler attraversare. Il lavoro venne portato avanti, lasciato incompleto e infine concluso da diversi appartenenti alla setta pittorica: Peter Cornelius, Joseph Anton Koch, Johann Friedrich Overback, Philip Veitt, Julius Von Carolsfeld, si alternarono e sostituirono in un'opera globale che oggi ci appare quanto mai uniforme. In particolare il giovane Carolsfeld si occupò da solo della stanza di Ariosto, regalandoci momenti di puro lirismo come nella scena di Angelica e Medoro, con lei che incide sull'albero il nome dell'innamorato. Alla fine della visita ci sembrerà di essere usciti da un quadro. Ad aspettarci non ci sono più le campagne bucoliche dell'Esquilino che fu, ma il rumoroso traffico di S.Giovanni, e ripiombati nell'inferno di lamiere non potremo fare a meno di pensare che alla fine il vero "casino massimo" è tutto per strada appena fuori di lì..


Il Casino Massimo si trova in Via Matteo Boiardo 16 ed è visitabile il martedì e il giovedì dalle 9:00 alle 12:00 e dalle 16:00 alle 18:00 e la domenica dalle 10:00 alle 12:00.