giovedì 19 luglio 2012

Dice che all'EUR c'è una Roma "tarocca"

Come potremmo immaginare un museo di storia della civiltà romana in una moderna metropoli del 2012, in piena era multimediale? Proiezioni di filmati in 3D, percorsi interattivi multisensoriali, schermi touch screen ('tacci de chi?) di ultima generazione, ologrammi di Giulio Cesare in persona e "aò ce stanno pure le applicazioni da scaricare per lo smart phone?". Ma se andassimo a sostituire la definizione di "moderna metropoli del 2012" con "Roma", non dovremmo allora sorprenderci nel ritrovarci piuttosto all'interno di polverosi saloni di un museo dove il tempo sembrerebbe essersi fermato agli anni Sessanta, e in cui la storia di un'intera civiltà ci viene raccontata attraverso copie e calchi in gesso di monumenti celebri e minuziose ricostruzioni in scala realizzate all'inizio del secolo scorso. E sapete una cosa? Tutto ciò è infinitamente più entusiasmante! E se anche non proverete l'ebbrezza di ritrovarvi catapultati nelle atmosfere dell'antica Roma con l'ausilio di qualche proiezione in 4D, potrete comunque consolarvi con un salto alla fine degli anni '50 del secolo scorso, per un viaggio nel tempo decisamente più realistico.

Ci troviamo in uno dei musei dell' EUR, quartiere Mussoliniano per eccellenza progettato in occasione dell'esposizione universale del 1942 ed espressione più rappresentativa dell'architettura razionalista, i cui lavori furono interrotti in occasione della seconda guerra mondiale. L'edificio dallo scenografico colonnato venne dunque completato solo nel 1952 ed inaugurato ufficialmente tre anni dopo come Museo della Civiltà Romana. In questa sorta di  imponente magazzino finale confluirono dunque tutta una serie di copie tarocche sottoforma di calchi in gesso, riproduzioni plastiche e modellini in scala frutto di due precedenti allestimenti. Una parte dei materiali proviene infatti dalla grande esposizione universale del 1911, che vide Roma in un fermento senza precedenti (o forse dovrei dire senza posteriori) nella realizzazione di imponenti scenografie all'aperto, tra le quali spiccava una celebrazione della Roma antica alle terme di Diocleziano. Il materiale venne successivamente depositato nei magazzini dell'ex pastificio Pantanella a Circo Massimo prima di essere riordinato nell'attuale museo. Il secondo allestimento riguardava invece la Mostra Augustea della Romanità (1937) al Palazzo delle Esposizioni di Roma, che secondo il consueto e delirante accostamento tra imperialismo fascista e imperialismo Augusteo, esaltava a scopi propagandistico-autoreferenziali la figura dell'algido imperatore di Roma in occasione del bimillenario della sua nascita.

La collezione si sviluppa lungo due percorsi tematici consecutivi: la prima parte prevede una sintesi della storia di Roma a partire dalle sue origini, dove riproduzioni parziali a grandezza naturale (il pronao del tempio di Augusto ad Ankara) si alternano a modellini in scala dei monumenti più rappresentativi, dal plastico della fastosa Villa Adriana di Tivoli, passando per un Circo Massimo e un Colosseo a misura di casa delle bambole, con la conseguente suggestione di un utilizzo meno didattico da parte dei più piccoli (ad esempio come dependance della casa di Barbie per qualche macabro gioco che veda le bionde amiche della Mattel sbranate dai criceti al centro dell'arena). Molto interessante la ricostruzione delle battaglie più famose attraverso una serie di raffigurazioni e modellini che farebbero sbavare qualsiasi appassionato di giochi di ruolo vecchia maniera. La seconda parte del percorso presenta invece una panoramica dei vari aspetti della vita quotidiana, dalla letteratura, alle abitudini alimentari, al commercio, con la riproposizione di ambienti e strumenti d'uso comune minuziosamente riprodotti. L'onnipresente font "Mostra" (il carattere utilizzato nella stampa fascista) ci accompagna lungo tutto l'allestimento in questo percorso con doppia chiave di lettura, dove potrete scegliere di seguire il filone della conoscenza della civiltà romana, così come suggerisce il nome stesso del museo, o quello, parimenti affascinante, della scoperta di questa curiosa produzione di architettura tarocca da esposizione universale di inizio secolo.

In questa eccezionale carrellata di falsi e ricostruzioni, eseguiti perlopiù con materiali poveri, spicca una serie di calchi della colonna di Traiano, frutto di una serie di riproduzioni volute da Napoleone III e successivamente disposti a fini espositivi lungo l'inquietante corridoio sotterraneo al neon (al di sotto del colonnato esterno). Un vero e proprio fumetto post-industriale dove avremo l'opportunità di leggere l'eccezionale descrizione della battaglia di Dacia.
Un altro elemento che ci riporta a qualche decina di anni addietro è la situazione strutturale del complesso, che in prossimità di un intervento di recupero già iniziato, ci avvolge in una nostalgica atmosfera di trascuratezza, tra tinteggiature smorte alle pareti e una totale assenza di aria condizionata (geniale la mia idea di visitarlo in piena ondata Minosse, in uno scenario estivo da Roma deserta alla "un sacco bello" di Verdone). In questo contesto si inserisce perfettamente l'aneddoto di un invasione di termiti in pieno stile B-movie che a metà degli anni Ottanta divorò gran parte dell'esposizione lignea.

Ad ogni modo il pezzo forte di tutta la collezione, quello che spazzerà via tutti i nostri sogni coltivati fino a quel momento di portarci a casa la riproduzione del Circo Massimo come pista per le automobiline o l'intera ricostruzione in scala della Roma arcaica come base per un presepe da competizione, è certamente l'imponente plastico in scala 1:250 della Roma dei tempi di Costantino. Eccoci finalmente al cospetto di un'opera d'arte originale, nata dalla collaborazione fra l'architetto Italo Gismondi e l'esecutore artigiano Pierino Di Carlo, visibile percorrendo un ballatoio sopraelevato che ne abbraccia l'intero perimetro. L'accurata ricostruzione si basa sulle fonti dell'eccezionale Forma Urbis dell'archeologo Rodolfo Lanciani, e si vocifera che venga tuttora aggiornata sulla base degli ultimi ritrovamenti (detto fra noi ce credo poco). Ad ogni modo l'impatto è di grande effetto e questo volo d'angelo sulla Roma Imperiale riuscirà ad entusiasmarci nonostante l'avvilente contorno di pareti giallognole sul genere palestra di scuola media. Una fantastica esperienza per gli amanti della visuale dal finestrino dell'aereo, con il valore aggiunto di un salto nel passato: prendetevi tutto il tempo per ammirarla e scoprirla in ogni suo dettaglio.

All'uscita, dopo aver scavalcato i custodi comprensibilmente rifugiatisi nel portico di ingresso per sfuggire alle temperature proibitive dell'interno, mi ritrovo nuovamente sull'assolata piazza G.Agnelli, sovrastato dalle strutture razionaliste del monumentale palazzo commissionato dalla FIAT (appunto, piazza Agnelli). Una famiglia di Olandesi, giunta misteriosamente fin qui, è in attesa di entrare mentre il capofamiglia sistema il parasole sul parabrezza della macchina (gran paraculata, penso pregustando i 60 gradi che mi aspettano all'interno del mio abitacolo). Mi chiedo se riusciranno a cogliere l'atmosfera e il contenuto di questa visita o ne usciranno semplicemente delusi per tanta trascuratezza, dopo un'impietosa comparazione con gli scintillanti musei del Nord Europa. Io, neanche a dirlo, ne esco sudato ma entusiasta.
E se posso darvi un consiglio, datevi una mossa prima che un riuscitissimo intervento ristrutturale lo trasformi nell'ennesimo efficientissimo museo.


Il Museo della Civiltà Romana si trova in Piazza G.Agnelli 10 all'EUR ed è aperto dal martedì alla domenica dalle 10:00 alle 14:00

lunedì 2 luglio 2012

Dice che nel Tevere si nasconde un anaconda


Sperare di imbattersi in uno scorcio poetico lungo le corsie del diabolico anello d'asfalto che risponde al nome di Grande Raccordo Anulare, potrebbe risultare impresa folle e quanto meno disperata (chi invece sembrò esserne felicemente ispirato fu Corrado Guzzanti nei panni di un improbabile Venditti "...e allora vieni con me, amore, sur grande raccordo anulare, che circonda la capitale, e nelle soste faremo l'amore, e se nasce una bambina poi la chiameremo: "Rrrrrrooooomaa"). Eppure basterebbe approfondire cosa si nasconde al di sotto delle nostre quattro incazzatissime ruote per scoprire uno scenario del tutto inaspettato. Ci troviamo sul tratto di GRA all'altezza della via Ostiense che, all' insaputa di noi miseri condannati che ne percorriamo ogni giorno la superficie bovinamente incolonnati, scavalca il fiume Tevere guadagnandosi immeritatamente lo status di ultimo ponte sul fiume ai confini della città. Ed è proprio sotto gli archi di questo tratto di raccordo che faremo la conoscenza di un insolito ristorante, categoria piuttosto rara tra le pagine di un blog che predilige scorci e passeggiate, ma che trova la sua meritata collocazione nel momento in cui l'esperienza gastronomica, a mio parere quasi sempre soggettiva, si accompagna all'autenticità della scoperta del nostro territorio e di una tradizione sempre più rara. E questo tratto di fiume Tevere, con la sua preziosa riserva naturale che custodisce gli ultimi baluardi della tradizionale pesca fiumarola, non poteva certamente essere ignorato.


Il passaggio segreto che dall'inferno di lamiere vi trasporterà direttamente in questo angolo di poetica decadenza è un'uscita appena accennata sulla rampa di collegamento tra la via Ostiense e il raccordo in direzione Fiumicino, immediatamente dopo l'uscita per l'ACEA. E proprio quando inizierete a sospettare di essere stati condotti con l'inganno nel bel mezzo di una perfetta scenografia da leggenda metropolitana, dove in un campo Rom sulle rive del Tevere verranno perse per sempre le vostre tracce, ecco aprirsi ai vostri occhi uno scenario naturalistico di imprevista serenità, in cui l'implacabile flusso di macchine sopra le vostre teste si trasformerà immediatamente nel rumore di fondo di una vita precedente. Un breve sterrato ci guida fino alla riva del fiume, dove troveremo ormeggiata la colorata struttura in legno e lamiera dell'Anaconda. Una struttura a due facce: da un lato ristorante, dall'altro punto d'approdo, partenza e preparazione dei fratelli Alfredo e Cesare Bergamini, gli ultimi (o forse sarebbe meglio dire gli unici) esponenti della pesca fiumarola delle anguille. Pescatori di terza generazione e custodi dei segreti del biondo Tevere, fedele compagno di una vita, i fratelli si sono organizzati in una piccola cooperativa familiare che dagli "ameni" lidi di Castel Giubileo si è infine spostata sulle rive selvagge di Mezzocamino. La pesca fiumarola si articola in due fasi: il pomeriggio vengono calati i cosiddetti "martavelli", reti-trappole d'artigianato frutto di una tecnica sapientemente tramandata di padre in figlio, mentre la mattina è dedicata alla raccolta e al recupero di reti e pescato: le famose ciriole (anguille in romanesco) destinate infine al ripopolamento degli allevamenti di anguille nelle vasche di Comacchio. Specifico la destinazione d'uso per dissipare il dubbio di chi si stesse chiedendo con una smorfia di terrore se il ristorante includa nel menù i frutti della pesca del fiume Tevere (e la mente corre al mitologico pesce-ratto di Fantozziana memoria). E in ogni caso non azzardatevi a parlare di Tevere inquinato ai fratelli Bergamini!


E' facile incontrare i fratelli al loro ritorno nel tardo pomeriggio, quando la luce del sole raggiunge la sua perfezione cromatica e l'arrivo delle barchette all'approdo dell'Anaconda ci riporta ad un malinconico passato, con i gatti che accorrono in cerca di ricompense, mentre Aironi Cinerini e Martin Pescatori volteggiano impavidi tra scarichi abusivi e cementificazione selvaggia, che in questo tratto di fiume ci appare miracolosamente e illusoriamente lontana ( o forse è solo ben nascosta dalla vegetazione sulla riva). Stupisce infine la presenza delle Nutrie, che molti ricorderanno nei pomeriggi di infanzia al laghetto di Villa Pamphili, dal quale vennero misteriosamente deportate con conseguente disperazione dei centinaia di bambini abituati a cadere nell'acqua nel tentativo di nutrirle. Questa ambigua parente del castoro riappare a noi nell'età del disincanto in cui è facile scambiarla per una zoccola di fogna ingigantita dagli effetti dell'inquinamento, finchè la vista del suo simpatico musetto ci riporta gradualmente a sfumare dall'iniziale "mortacci sua che sorcio!", alla nostalgia e alla curiosità. La contemplazione di questo acquerello romano anticipa la cena nel ristorante delle simpatiche sorelle, che hanno da poco preso in gestione questo angolo di anacronistica bellezza. A loro va sicuramente il merito di aver valorizzato la storia di una tradizione, e tra aneddoti e vecchi articoli sparsi ovunque c'è sempre qualcosa da imparare. La cucina e il personale sono rigorosamente romaneschi, perchè in fondo non sta scritto da nessuna parte che in un ristorante sul fiume non si possa mangiare una carbonara o due salsicce (e meno male, direbbe lo stesso di prima, preoccupato di un'eventuale cucina di fiume...Tevere).

Alcune sere l'Anaconda sembra quasi trasformarsi in una balera di fiume, con la musica dal vivo che sulle note di un agghiacciante repertorio nazional popolare che spazia dalla Pausini a Cocciante, ci riporta all'atmosfera delle feste di piazza in occasione della sagra della porchetta. Ma il raccordo è sempre sulle nostre teste, a ricordarci l'inesorabilità dell'indomani mattina, quando stressati, svogliati e incazzati dovremo transitare nuovamente tra le sue corsie, e ripensando alle facce serene di Cesare e Alfredo viene spontaneo pensare per un momento che forse, per questa vita, non c'abbiamo capito proprio un cazzo.