mercoledì 30 gennaio 2013

Dice che a messa ce stanno un pò più de quattro gatti


Se durante la messa domenicale in un mattino di pioggia il profumo di incenso venisse improvvisamente sovrastato dall'odore di cane bagnato, se un latrato dovesse riecheggiare più in alto del coro liturgico e se le acquasantiere iniziassero a moltiplicarsi ospitando al loro interno pesci rossi e tartarughine d'acqua dolce, non resterebbero che due sole spiegazioni: o siete sotto l'effetto di qualche allucinogeno, oppure state assistendo alla messa di benedizione degli animali in onore di S.Antonio Abate, nella chiesa di S.Eusebio all'Esquilino. S.Antonio è considerato uno dei più illustri eremiti della storia della chiesa, e per quanto nei suoi lunghi soggiorni in solitudine avesse rifuggito la compagnia di qualsiasi presenza sia umana che animale, l'iconografia classica medievale ce lo consegna circondato da animali da cortile, dove tra tutti spicca immancabilmente il maiale, il cui grasso veniva tradizionalmente usato per la cura delle malattie della pelle che rientravano sotto l'infausta categoria "fuoco di S.Antonio". In virtù di questo utilizzo a scopo curativo, l'allevamento del maiale veniva eccezionalmente ammesso all'interno delle mura delle città in cui fosse presente una sede dell'ordine monastico degli Antoniani. Ed è proprio da questa associazione che nacque la figura di S.Antonio come protettore degli animali.


Il 17 gennaio, giorno dedicato al Santo, ha dunque luogo la cerimonia di benedizione degli animali, precedentemente (e più logicamente) operata nella chiesa di S.Antonio Abate, e in seguito trasferita per motivi di traffico nella più riparata S.Eusebio. La data diventa quindi un'occasione unica per scoprire una tradizione ancora in vita e soprattutto per fare conoscenza con la più variegata umanità del rione.
Mentre le "gattare" continuano a confermarsi come la "animaliste" più invasate, a sorprenderci contribuiscono tutta una serie di personaggi tra i quali è doveroso stilare una personale classifica in quanto ad originalità e stravaganza. Nella categoria del più impavido e paziente vince a mani basse la signora con la ciotola della tartarughine acquatiche. A parte la complicazione di trasportare in loco un ciotolone pieno d'acqua (ma io non faccio testo, rovescerei un bicchiere d'acqua per un tragitto appena più lungo di 15 metri), il coefficiente di difficoltà viene in questo caso enormemente accresciuto dalla contingente situazione metereologica. E a questo punto sorge una domanda: avrebbe avuto senso riparare le tartarughine con l'ombrello?


Il premio al più tradizionalista va alla bambina con il coniglio. In un passato non troppo remoto ad essere benedetti erano infatti tutti quegli animali da cortile o da trasporto che possedevano un valore concreto nella vita dell'uomo, come fonte primaria di sostentamento e in certi casi di ricchezza (dalle mucche ai cavalli), ed è solo recentemente che il pubblico delle benedizioni ha virato verso più gestibili animali domestici e da compagnia. Non nascondo che avrei sperato di scorgere almeno un maiale o un ovino, ma tutto sommato non posso negare che anche il coniglio abbia fatto la sua porca figura (il riferimento al maiale è d'obbligo) come degno rappresentante degli animali da cortile. Tra i personaggi più ambigui e sospetti spadroneggia al primo posto il bambino con una gabbietta contenente un insetto stecco mimetizzato tra due ramoscelli. Dobbiamo credere che fosse realmente mimetizzato o possiamo supporre che il fanciullo ci stesse prendendo tutti sapientemente per il culo? La palma per la più esibizionista va indubbiamente alla signora con la coppia di furetti che, per aver posato davanti agli obiettivi con più impegno di Nicole Kidman sul red carpet, ha dato legittimamente adito al sospetto che li avesse affittati per l'occasione.
Il premio al più fantasioso? La bambina col dinosauro di peluche, anch'esso immancabilmente benedetto dal sacerdote.
Non manca il più devoto che, alla faccia di chi sostiene che i pesci rossi rechino meno soddisfazione affettiva delle piante, è colui che ho appunto ribattezzato il ragazzo del pesce rosso, perennemente contrito in uno stato di adorazione mistica nei confronti della propria vaschetta durante tutta la celebrazione.
Infine in mezzo ad una corposa legazione di volatili pennuti, i quali avranno probabilmente sbadigliato di noia a sentir parlare di un comunissimo e da noi bipedi banalmente agognato regno dei cieli, c'è la vera rappresentanza di massa: e mai come in questo caso l'espressione inglese "piovono cani e gatti" avrebbe potuto rivelarsi più azzeccata  per fare riferimento al pubblico di questa particolare messa con diluvio. Stupisce il comportamento "educato" e tutto sommato poco rumoroso del popolo quadrupede, con la sola eccezione del momento dello scambio del segno di pace, quando i padroni osano avere un contatto fisico con gli estranei scatenando le gelosie e il dissenso della rappresentanza canina. Per il resto tutto procede regolarmente nella ritualità di una messa dove a distinguersi è solo il pubblico d'occasione. Il momento più atteso, come in ogni rappresentazione che si rispetti, arriva proprio sul finale, quando preti, sacerdoti e chierichetti si dividono il compito benedicendo uno ad uno gli animali vestiti a festa per l'occasione, fino ad giungere all'esterno, dove decine di fedeli attendono il momento ufficiale della benedizione di massa.
All'esterno tutto assume i contorni di una festa rionale, con tanto di banda dei carabinieri pronta ad esibirsi sotto i portici di Piazza Vittorio.


La chiesa si è svuotata ed è arrivato il momento di scoprire un tesoro sconosciuto nascosto sul retro dell'altare. S.Eusebio custodisce infatti un meraviglioso coro ligneo intagliato a figure grottesche, unico esempio presente a Roma. Ed è proprio il caso di dire che un simile tesoro lo conoscono veramente in quattro gatti.


mercoledì 9 gennaio 2013

Dice che a Dragona ce trovi pure l'uovo di dinosauro


Quest'oggi ho deciso di accompagnarvi in un'insolita gita fuori porta, dove per "porta" intendiamo i confini del Grande Raccordo Anulare, e per "fuori" tutte le possibili accezioni di tale espressione, a partire da un sempre stimolante "fuori" dalla quotidianità, dalla logica e dalla nostra dimensione, per concludere infine con un meno rassicurante "fuori" di testa. Ci troviamo a Dragona, nome che riporta alla mente le atmosfere magiche di una letteratura fantasy da Terra di Mezzo, in realtà comunissima frazione del più sterile hinterland metropolitano, fatto di anonime stradine residenziali martoriate dalle classiche buche di ordinanza made in Rome. Ed è proprio tra le palazzine di Dragona che si nasconde il Museo Agostinelli, luogo che nonostante la categorizzazione museale sfugge a qualsiasi definizione e che ci viene presentato nell'omonima brochure come "la più ampia raccolta al mondo di Arti, Tradizioni e non solo...", confermando in questo modo l'evidente difficoltà di classificazione della nostra meta.


Il museo nasce dalla mente del proprio fondatore, Domenico Agostinelli, commerciante d'arte e restauratore che, nel corso dei suoi viaggi intorno al mondo a partire dagli anni Cinquanta, ha lasciato che la sua canonica attività professionale degenerasse in una compulsiva raccolta e catalogazione di ogni sorta di oggetto o testimonianza, dando il via ad un mostruoso numero di collezioni dei generi più disparati, che come in un processo di implosione del big bang sono confluite nel piano terra di questa palazzina di Via Donato Bartolomeo. Le circa quattrocento collezioni dichiarate sembrerebbero riassumere tutte le conquiste del genere umano, dalle monete alla carta igienica, passando per flipper, immagini sacre, orologi e mappamondi. Tra marionette e raccolte di necrologi anche l'occulto trova il suo spazio in una nicchia popolata di teschi e bambole vodoo, mentre nella stanza della musica un'orgia di strumenti, spartiti e busti di compositori celebri vi stordirà con un silenzioso, ma piuttosto caotico concerto visivo. Ed è per questo che ho amato subito questo (non) luogo. L'impressione è quella di oscillare tra l'ingresso nel paese delle meraviglie di Lewis Carrol e quello in un incubo di Dario Argento, e non potrete che lasciarvi entusiasmare e tramortire dalla molteplicità di stimoli di un mondo dove sembra non esserci rimasto un solo centimentro quadrato di spazio libero di superficie.


A me piace immaginarlo come il paradiso degli oggetti smarriti, un romantico limbo dove potrete infine riabbracciare e ricongiungervi con i circa centodiciotto ombrelli sperduti irrimediabilmente in giro durante tutto il corso della vostra esistenza. E se è vero che nella mente di un genio c'è sempre un fondo di follia, non possiamo che definire geniale questa raccolta: nell'apparente disordine ogni cosa è in realtà meticolosamente catalogata per scomparti, e solo dopo essere stati catapultati in questo vortice a prima vista insensato, la vostra mente, come per un meccanismo di autodifesa, e con lo stesso processo per cui gli occhi si abituano lentamente al buio, inizierà a distinguere un filo conduttore. E così tra cartelli scritti a mano, scatole e cassetti tutto sembra ricomporsi in una logica sfuggente, per poi scomporsi improvvisamente in una nuova ricerca senza riferimenti,  fino a quando rivivrete quella stessa paranoica sensazione (di quella volta ad Amsterdam) che siano gli oggetti a trovare voi. Si narra che in questo caos siano custodite delle autentiche chicche, come un uovo di dinosauro, i capelli di Garibaldi e una lettera autografata di Maria Antonietta. Devo ammettere di non aver chiesto lumi ai gentili proprietari per individuarne la collocazione nonostante fossi partito già informato sui fatti e deciso a prenderne visione, ma devo riconoscere come la cosa sia passata in secondo piano una volta scoperto che l'eccezionalità del posto non era certo dovuta alla presenza di questi sparuti cimeli, ma all'esistenza stessa di questa creatura multiforme nella sua interezza, dove tra meteoriti e animali imbalsamati, l'autenticità di un singolo oggetto diventa l'ultima delle preoccupazioni.


Questo passare dall'incredulità all'entusiasmo, per poi concludere con una leggera nota malinconica e una raucedine da polvere, rende la scoperta del museo Agostinelli una vera e propria esperienza multisensoriale. In questo generale sbandamento anche lo spazio diventa un concetto relativo, e quelle che da fuori sembrano due o tre sale di un piano terra delle dimensioni di un negozio, si trasformano all'interno in uno sconfinato susseguirsi di ambienti dove il concetto di vuoto è bandito da ogni categorizzazione mentale. Alcune zone rimangono off-limits, mentre in altre è specificato che si può accedere solo accompagnati. Il motivo sta nella presenza di numerosi oggetti potenzialmente fragili o pericolosi, come una collezione di taglienti bisturi chirurgici che, come spiega la proprietaria alimentando un brivido sulla schiena e una goccia di gelido sudore sulla fronte, nel caso qualcuno ne afferrasse uno e ZAC (accompagnato da un convincente mimo del taglio della gola) potrebbe trasformarsi in un problema. Se tutto questo sembra avere poco senso, in realtà il museo Agostinelli rappresenta anche una miniera di materiali ad uso e consumo di registi teatrali e cinematografici (si fanno i nomi di Avati, Zeffirelli e Tornatore), una specie di cilindro magico dove è possibile reperire gli strumenti per dare vita con verosimiglianza a qualsiasi tipo di scenografia.


I membri della famiglia estremamente gentili e disponibili, l'ingresso gratuito e la possibilità per gli appassionati di scatenarsi in un delirio fotografico senza restrizioni rendono questa visita, oltre che speciale nel suo genere, anche estremamente piacevole e rilassata. Sempre che essere fissati da decine e decine di bambole di porcellana appostate ad ogni angolo non rappresenti un problema per la serenità della vostra successiva attività onirica. Unico effetto collaterale al momento dell'uscita è una certa spossatezza come da postumi di un viaggio nel tempo, con il cervello sul punto di soccombere alla molteplicità di informazioni diverse, coattivamente assorbite nel giro di un paio d'ore...o forse erano solo pochi minuti?

Il museo Agostinelli si trova a Dragona in via Donato Bartolomeo 48 ed è visitabile dalle 8:30 alle 13:00 e dalle 16:00 alle 19:00 (chiuso sabato pomeriggio, festivi e ad agosto). Tel: 06/5215532