lunedì 30 aprile 2012

Dice che a Trastevere c'è un varco temporale

Per gli irriducibili sostenitori dei rimedi della nonna, complottisti dello strapotere delle lobbies farmaceutiche e del loro lucido progetto di sterminio del genere umano, una visita all'antica spezieria di S.Maria della Scala a Trastevere non potrà che riconciliare gli animi con l'antica e nobile arte dei trattamenti naturali. Un gioiello settecentesco cristallizzato nel passato che, celato all'interno del convento dei Carmelitani Scalzi al centro della molesta movida trasteverina, ci tramanda la storia della più antica farmacia romana, originata da un semplice orticello nato ad esclusivo uso e consumo della comunità dei frati e ben presto trasformatasi in punto di riferimento medico-sanitario dell'intera comunità cittadina e internazionale (oltre che meta delle prestigiose visite di cardinali, principi e re). L'autorevole reputazione del luogo era certamente dovuta alla figura di Fra Basilio della Concezione, medico e botanico celebrato nell'affresco di ingresso, del quale si conserva nella farmacia  il prezioso volume intitolato "trattato delli semplici": un erbario finemente rilegato in cui sono conservati tra le pagine gli esemplari essiccati di ogni pianta, con relativa descrizione delle proprietà benefiche. Un pregevole lavoro di botanica che, dietro la curiosa apparenza di lavoretto delle medie redatto da un occhialuto scolaretto nerd,  rappresenta la sintesi della preparazione e della conoscenza di un indiscutibile maestro. Fu proprio Fra Basilio l'ideatore di due rimedi tra i più celebri messi in produzione dai solerti frati farmacisti: l'acqua pestilenziale, ritenuta efficace contro la trasmissione e il contagio della peste, vero e proprio flagello del passato, e la più "rassicurante" acqua di melissa, definita come "calmante sovrano negli accidenti isterici" in virtù dei suoi effetti sedativi sul sistema nervoso; in poche parole la pozione che non dovrebbe mai mancare nel cruscotto di ogni automobilista romano.

A partire da papa Pio VIII, le stesse famiglie pontificie presero l'abitudine di affidarsi ai preparati farmaceutici di Santa Maria della Scala, e il crescente apprezzamento degli alti vertici ecclesiali nei confronti delle erbe di Fra' Basilio, fece guadagnare in breve tempo alla spezieria l'appellativo di "farmacia dei papi", nonchè la totale e agognata esenzione dal pagamento delle tasse. Detto questo, mi sento in dovere di invitarvi a scartare l'idea di mettervi a "rollare" una canna d'erba per il nostro Benedetto XVI, nella vana speranza di guadagnarvi in questo modo l'esenzione dall' IMU prossimo venturo: l'apprezzamento a cui mi riferivo era infatti quasi certamente rivolto ad altro genere di erbe.Per avere accesso alla spezieria è necessario telefonare allo 065806233 e prenotare un appuntamento per il sabato mattina, esclusivo giorno di visite. All'orario convenuto verrete accolti da uno dei frati, solitamente un giovane Indiano, il quale, non è chiaro se a causa di personalissimi vuoti lessicali o per tenere desta l'attenzione dei visitatori mattutini, durante il corso della spiegazione vi inviterà a terminare le frasi con i vocaboli che di volta in volta non gli sovvengono, innescando in questo modo il germe di una feroce competizione fra i visitatori in una sorta di quiz televisivo a sfondo medico. All'apertura delle porte non potrete fare a meno di esibirvi in un lungo "oooh" di meraviglia alla vista di un autentico locale settecentesco dove ogni più piccolo e insignificante dettaglio sembra essere rimasto esattamente al proprio posto da più di due secoli a questa parte, regalandoci l'impagabile illusione di vestire i panni di privilegiati viaggiatori del tempo.

All'ombra di un finto drappeggio affrescato che corre lungo il perimetro del soffitto nella sua morbida illusione barocca, torchi, setacci, imbottigliatrici e torrette di distillazione sono tutti ordinatamente riposti negli antichi scaffali lignei, mentre l'interno di una vetrina che farebbe impallidire "l'opera" del più quotato "visual merchandiser" milanese (er vetrinista..pe' capisse) ci presenta un'articolata esposizione dall'andamento "ramificato" di barattoli officinali che, progettata allo scopo di non celare alcun articolo alla vista, può leggersi allo stesso tempo come una simbolica rappresentazione dell'albero della vita, richiamo all'affascinante connubio fra natura e alchimia. All'interno di un enorme vaso in ceramica sotto la finestra, accanto all'ingresso del piccolissimo laboratorio, è conservata niente di meno che la mitica Theriaca, potente antidoto contro i veleni la cui formulazione risale addirittura ad Andromaco il Vecchio, medico di Nerone; una miscela di ben 54 ingredienti tra i quali si distingue quello di "carne di vipera maschio", informazione che ci spinge a non approfondire la natura dei rimanenti 53. Al lato del bancone della vendita, dietro il quale un ritratto di S.Teresa D'Avila sorveglia a vista i movimenti di cassa, si apre una sorta di ufficio amministrativo dove possiamo ammirare tra le altre cose un pregevole armadio dalla raffinata decorazione pittorica, al cui interno una collezione di scatole in legno di sandalo (paraculissima trovata antitarlo) custodisce le diverse erbe atte alla preparazione dei medicamenti nella loro forma naturale originaria. L'esterno delle ante è decorato con i ritratti celebrativi dei grandi padri della medicina (Ippocrate, Galeno, Avicenna), mentre l'interno nasconde le effigi dei visitatori più vip, i cui altisonanti nomi di Vittorio Emanuele I e consorte, Umberto I principe di Piemonte ed Elena duchessa d'Aosta, contribuirono indubbiamente ad accrescere il prestigio dell'elegante laboratorio settecentesco. Anche qui la sensazione è che ogni cosa sia stata lasciata al proprio posto, nell'illusoria attesa della riapertura al giorno successivo.

Nei locali esterni è possibile infine visitare la distilleria risalente all'Ottocento dove, in virtù dell'antico sodalizio tra frati e liquori, la produzione di alcolici dalle conclamate proprietà digestive avveniva secondo i consueti ritmi certamente più consoni a una distilleria clandestina dei tempi del proibizionismo americano che a un convento di Carmelitani Scalzi.
Al termine della visita, finalmente usciti in strada, vi ritroverete nuovamente catapultati nella piacevole atmosfera di un sabato mattina trasteverino, e inondati da un sole che avreste certamente apprezzato ad un'ora più tarda e con la testa che ancora vi batte in conseguenza dei bagordi del venerdì sera, vi pentirete infine di non aver posto alla vostra guida la domanda più importante di tutte: per caso Fra Basilio aveva trovato anche il rimedio definitivo per il dopo sbornia mattutino?

Concludo come sempre con il suggerimento di acquistare e regalare ai vostri amici (tanto voi già me leggete aggratise, anche se il libro si sà, è tutta un altra cosa..) il volume fotografico "Roma Fuoripista", una selezione dei migliori itinerari dal blog, che potrete trovare a Roma presso la "libreria del viaggiatore" in via del Pellegrino, La libreria "Altroquando" in via del Governo Vecchio e l'"Art Studio Cafè" in Via dei Gracchi. I "fuori porta" possono invece ordinarlo sul sito http://www.romafuoripista.com/  e riceverlo direttamente a casa con dedica su richiesta (dice "che me frega mica sei Baricco").
Buon primo maggio!

domenica 15 aprile 2012

Dice "prendete e mangiatene tutti"


Se fino a questo momento la nostra esperienza con le confraternite romane si era limitata all'esplorazione di cripte polverose popolate di teschi, sarete indubbiamente sollevati nello scoprire che la consueta accoppiata “tibie e femori” verrà sostituita  in questo caso dall’infinitamente più rassicurante binomio “porchetta e coratella”: stiamo infatti per fare conoscenza con la confraternita dei macellai di Roma. L’occasione ci viene offerta dalle celebrazioni officiate dai confratelli nel corso della domenica delle palme, quando una solenne messa nello splendido cortile barocco di Palazzo Spada, a due passi dal loro quartier generale in Piazza della Quercia, anticipa la sentita (mini)processione che vede i macellai riportare il gonfalone con l’effigie della Madonna della Quercia nell’omonima chiesetta a lei dedicata. Un momento di devozione e partecipazione religiosa che esploderà nell’estasi multisensoriale di un ricco banchetto offerto dai confratelli in Piazza della Quercia , dove tra porchetta, salame, colomba e coratella, l’anticipo della colazione pasquale rappresenta una vera e propria celebrazione pagana del gusto e dei sapori più tradizionali.


L’origine della confraternita risale agli albori dell'era comunale, quando i rappresentanti delle professioni e dei mestieri iniziarono a riunirsi in associazioni e corporazioni (con fini e conseguenze di tipo economico e politico), dando vita alle cosiddette Università d’arti e mestieri. Quella dei macellai ebbe il suo momento di gloria e protagonismo quando, in occasione della devastazione messa in atto dai Normanni di Roberto il Guiscardo nel 1084, riuscì a difendere e mettere in salvo la sacra icona del SS. Salvatore Acherotipo conservata a S.Giovanni, e portata annualmente in processione tra il Laterano e S. Maria Maggiore. A riconoscimento dell’impresa i macellai vennero assurti a bodyguard ufficiali della preziosa icona, con lo scopo di preservarla dall’esaltazione violenta dei fan in delirio nel corso della stessa processione. Avvalendosi dell’uso di bastoni infuocati per tenere lontani i fedeli (i cosiddetti "stizzi", da cui il secondo appellativo di compagnia degli stizzi), e con quella grazia che è propria di ogni guardia del corpo, furono tuttavia gli stessi macellai a provocare tumulti e risse da processione, e quando per poco non "ci scappò il morto" e la sacra icona rischiò di essere abbrustolita da uno "stizzo", i nostri amici vennero infine licenziati e sostituiti da 39 nobili romani (in seguito la processione venne abolita).


Essendo principalmente di origine maremmana, fu grazie a loro che venne importato nella capitale il culto della Madonna della Quercia, molto diffuso nell'alto Lazio: un’immagine sacra lignea di semplice fattura e dagli attributi miracolosi, così chiamata in virtù dell’originaria collocazione tra i rami di una quercia nella campagna viterbese.  Fu così che Papa Giulio II affidò loro una fatiscente chiesetta per trasformarla in luogo di culto dove venerare la sacra icona, da cui la chiesa prese il nome (la quercia tuttora presente nell’omonimo piazzale sembra essere li semplicemente per confondere le idee). Con il passare del tempo si affiancò all'Università anche la confraternita religiosa, con la funzione di sopperire agli aspetti più umanitari e caritatevoli nei confronti degli associati. Rinnovata nei suoi statuti e nei patrimoni, la confraternita è sopravvissuta alla soppressione dell'Università ed è arrivata fino ai giorni nostri, perseguendo quegli stessi scopi originari di assistenza ai confratelli più bisognosi, con inoltre l’incarico di provvedere alla manutenzione della chiesa di loro proprietà e di "svolgere attività di rappresentanza della categoria degli esercenti macellai di Roma”.

Ed è proprio in questo mix di sacro e promozionale che si svolge la celebrazione della domenica delle palme. E mentre i più devoti assistono al rito nel sontuoso cortile di Palazzo Spada alla presenza di autorità civili, militari e religiose, i peccatori di gola si radunano all’esterno con ostentata nonchalance, intorno alle transenne che delimitano la tavolata già imbandita di ogni bene.  L’avvio della brevissima processione che dal cortile porta alla chiesa, rappresenta il metaforico campanellino del cane di Pavlov che annuncia l'imminenza del banchetto, e a quel punto dalla Madonna a Bacco il passo sarà breve e repentino.


I simpatici confratelli al centro dell’arena distribuiscono piatti alla folla che si accalca, rimpiangendo in cuor loro l’antica consuetudine di poter brandire gli stizzi infuocati, nel tentativo di gestire la perenne insoddisfazione degli astanti: “M’hai dato er piatto senza l’ovo sodo!!”, “Ma le posate nun ce stanno?”, “La coratella nun me ce piace..” (A signò lo vole o nun lo vole?). Con l'immancabile sarcasmo che rende speciale ogni autentico bottegaio romano, si destreggiano fra battute e insofferenza, e di fronte alla signora che chiede delusa come mai manchi la carne, si rivolgono alla volta di una fantomatica cucina: “Aò, so pronti gli straccetti der  tavolo 7?” (ma anvedi questa!). Anche il vino è abbondantemente offerto, in perfetta sintonia con lo spirito assistenziale sancito dagli statuti, e quando tutti hanno infine ottenuto l’agognato piatto, il banchetto collettivo si assesta finalmente all’ombra della quercia, la stessa che da secoli si contende con la Madonna l'origine toponomastica della piazza. La vista di eleganti e dignitose signore che riempiono le loro borse di salame e porchetta, accende per un momento quella scintilla di ribellione, sconforto e solidarietà sociale verso le nuove vittime della maledetta crisi, scintilla che dura giusto il tempo di mettere a fuoco le griffe delle suddette borse e riconoscere nei loro discorsi le privilegiate residenti del centro storico, con la conseguenza che la stretta al cuore lascia immediatamente spazio al desiderio di una stretta al collo. Il banchetto è terminato e anche la mattinata è giunta alla sua conclusione, e tra la folla dei “fedeli” che si disperdono si sente qualcuno che osa: "vabbè s’è fatta ora de pranzo, conosco una trattoria qua vicino…”




giovedì 5 aprile 2012

Dice che inizia la caccia al tesoro

In attesa del prossimo itinerario, e in occasione dell'uscita del libro "Roma Fuoripista", propongo una divertente caccia al tesoro a indizi, il cui premio in palio sarà proprio una copia del libro (una selezione di 24 itinerari alternativi accompagnati dalle bellissime foto di Bruno Lomasto).
Gli indizi sono tre, e ognuno fa riferimento a un personaggio romano che si è guadagnato nei secoli una posizione di tutto rispetto nell'immaginario popolare.
A ciascuno di loro è legato un luogo o un oggetto, che dovrete indovinare completando la rima.
Il primo che durante una delle prossime passeggiate per il centro riuscirà a scovarli e a pubblicare una prova fotografica (niente virtuosismi, la classica fotaccia col cellulare va benissimo) sulla pagina facebook di Dice che a Roma, si aggiudicherà una copia di "Roma Fuoripista". Per evitare pigre ricerche fotografiche su internet e a dimostrazione dell'autenticità della prova è necessario che sulla foto compariate anche voi (in tutto o in parte a seconda dei vostri livelli di protagonismo).Con l'occasione avrete inoltre modo di scoprire tre vere "chicche" della nostra città! (chiedo venia ai non romani che non abbiano la possibilità di partecipare per ovvi motivi...magari sguinzagliate qualche amico romano per voi ;) )
Per non scoraggiarvi, vi anticipo che tutti i posti sono raggiungibili a piedi fra loro...
Buon divertimento..e buona passeggiata!



1. VANNOZZA CATTANEI (madre di Lucrezia Borgia)

Ner daje “di-letto” ar Pontefice Borgia
Vannozza s’acchitta una ricca locanda
Do’ tra fiasche de vino e i bagordi de n’orgia
La ma' de Lucrezia gestisce e comanda

E se mò l’hai capita ‘sta rima bislacca
Dimme ‘ndò stà  la locanda…………..


2. MARCHESE DEL GRILLO

Si annate a ‘ffà un saluto ar Sor Marchese
E la gente pe strada ve prende pe’ pazzo
Rispondeteje pure senza tante pretese
Aò, “io so io, e voi non siete un cazzo”

Appizza le recchie, 'sta notiza è 'na bomba:
Il marchese esisteva, ho trovato……!


3. BEATRICE CENCI

La bella Beatrice j’ha fatto la festa
Ar padre violento, quer testa de rapa,
E sotto ar castello c’ha perso la testa
Per dubbia giustizia e volere der papa

Se avete capito, giù lungo la strada
Der boia più infame troverete ……








Per tutti gli altri potete acquistare il libro on-line sul sito http://www.romafuoripista.com/ dove sono elencate anche le librerie di Roma in cui è già possibile trovarlo!
E con questo chiudiamo il martellamento pubblicitario per riprendere prossimamente con i consueti itinerari!

A presto con il prossimo post sulla "Confraternita dei Macellai" (eh sì avete capito bene)!

domenica 1 aprile 2012

Dice che gli affreschi c'hanno i sottotitoli in romanesco

Non tutti sanno che accanto ai celeberrimi Pietro e Paolo, santi patroni ufficiali della città di Roma, viene annoverata anche una certa Francesca Romana nel ruolo di compatrona e santa protettrice degli automobilisti. E mentre tutti riconosciamo la legittimità dei patroni del ponte di Giugno in virtù dell’agognata chiusura di scuole e uffici, e di una festa un po’ paesana sulle rive del Tevere illuminata da scenografici fuochi d’artificio, con evidente ingratitudine ci dimentichiamo di rendere omaggio alla povera Francesca in occasione del ben più sobrio e purtroppo lavorativo 9 Marzo. Un'innocente discriminazione dovuta al fatto che da sempre, e senza eccezione per i santi, a noi romani ci si conquista con "fancazzismum", panem et circensem. In realtà, proprio in occasione del 9 marzo, ricorrenza della morte della pia donna, il monastero delle Oblate a Tor de' Specchi apre ogni anno le sue porte al pubblico per svelare un pezzo di storia a cavallo tra Medioevo e Rinascimento: una storia fatta di santità, vita quotidiana del tempo e un pizzico di antico dialetto volgare Romanesco.

La vita di Francesca è la vita di una donna che in giovanissima età, e nonostante la sua fortissima e precoce vocazione, venne data in sposa a un ricco bovattiero di Trastevere, il quale ebbe la sfortuna di rimanere infermo a seguito di una ferita procuratasi nel corso di una delle tante faide che caratterizzavano la vivace vita cittadina dell’epoca (come sempre sponsorizzate dalle famiglie Orsini e Colonna). Durante tutta la sua vita, tra l'altro funestata dalla perdita di ben due figli, Francesca si destreggiò tra dedizione familiare, doveri casalinghi e una totale devozione a Dio (con la sola eccezione di una disastrosa performance in economia domestica, esemplificata dall’episodio in cui decide di svuotare i granai del suocero per sfamare i poveri della città, supponiamo con sommo disappunto del parente). Gli effetti collaterali di una vita in perenne tensione tra compulsivo senso del dovere familiare e perenne insoddisfazione degli istinti vocazionali, si esemplificarono probabilmente nelle celebri visioni e cosiddetti stati d’estasi che ci vengono tramandati dalla sua ricca agiografia. Il nodo di questo difficile equilibrio tra vita coniugale e richiami ascetici, venne finalmente sciolto quando, dopo 28 anni di unione, il marito Lorenzo Ponziani si arrese alla castità della moglie aprendole in questo modo la strada per l'agognata carriera monastica. Il monastero delle Oblate è il risultato dello sviluppo della casa-torre che Francesca acquistò per ritirarsi infine con le sue prime 13 adepte-consorelle. Le opere che vi attendono all’interno valgono certamente lo sforzo di una lunga coda all’ingresso in occasione dell'apertura speciale, quando con  un misto di scocciatura e sorpresa vi chiederete in maniera più che legittima: "ma solo io nun conoscevo 'sta Francesca?".

Superato l’atrio di ingresso, dove un antico sarcofago romano fungeva da mangiatoia per il mulo della santa (alla faccia nostra che ancora mangiamo nei piatti di Ikea!), il passaggio attraverso la cosiddetta Scala Santa costituirà l'illusorio attraversamento di un suggestivo varco temporale, che nel giro di pochi gradini ci trasporterà direttamente in pieno XV secolo. Immediatamente alla nostra sinistra scopriremo l’antico oratorio del Monastero, un vero e proprio gioiello di arte Medievale in cui lungo tutte le pareti, sovrastate da un soffitto ligneo originale di mirabile fattura, si snodano una serie di affreschi attribuiti ad Antoniazzo Romano sulla vita e le opere della Santa, in cui i primi accenni di prospettiva cominciano a sancire il passaggio verso un nuovo modo di rappresentare il mondo. La narrazione delle opere di Francesca ci offre un prezioso spaccato dell’epoca circoscritto all’ambito cittadino della Roma del Quattrocento, in cui le didascalie in antico dialetto volgare romanesco, oltre a fornirci l'occasione per un divertentissimo esercizio interpretativo che ci accompagnerà nella lettura di ogni singolo episodio, ci rivelano al tempo stesso il contesto culturale di un mondo e di un'epoca perfettamente rappresentata nei piccoli dettagli della vita quotidiana.

Oltre a miracoli più canonici e di elevato spessore morale come la resuscitazione di un neonato “affocato” durante la notte, Francesca si dedica anche a esercizi meno impegnativi come curare il bullo colpito alla testa dopo una rissa o sanare il giovane con il piede in cancrena a seguito di un colpo d'ascia autoinflittosi durante l'operazione del taglio della legna..e chissà che anche lei non abbia pensato fra sè e sè: ma guarda che coglione! (Uno chiamato Iuliano tagliando le legna se tagliavo quasi tucto lo pede difra spatio de cinque mesi lo pede selli fractoavo recomandandose alla beata Francesca essa toccandolo subito fu sanato). Il miracolo del vino, cavallo di battaglia di Gesù magistralmente eseguito in occasione delle celebri nozze di Cana, viene ripetuto dalla Santa in una versione leggermente diversa, e probabilmente persino più efficace: a fronte di un Gesù che "si limita" infatti a trasformare l'acqua in vino, Francesca si spinge oltre facendo direttamente apparire dal nulla il dolce nettare all'interno di una botte testè svuotata (Avendo la beata Francesca data alli poveri una bocte de vino. puoi miracolosamente fu trovata la dicta bocte piena de buono et optimo vino). Spicca infine una coloratissima rappresentazione dell' inferno strutturato secondo i canoni danteschi della divina commedia, protagonizzato da una grottesca figura demoniaca accomodata a ricevere "quelli che so presentati a Satanasso".

Una volta tornati sulla scala santa, gli ultimi tre gradini sanciranno il passaggio dalle didascaliche descrizioni del quotidiano all'immaginario paranormale delle lotte della santa contro i demoni, rappresentate lungo la parete dell'antico refettorio. La scelta stilistica di una monocromia in grigio-verde, con l’unica eccezione del rosso acceso delle fiamme sprigionate dalla bocca e dalle orecchie dei diavoli, si presenta ai nostri occhi come del tutto moderna e raffinata.
Le storie sono sempre accompagnate dalle solite didascalie che ci raccontano episodi sul genere di “Como li maligni spiti stracciarono alla beata Francesca certi libri de oratione et da puoi strascinaro essa beata con grande terore fore della sua cella”. Elemento ricorrente è la figura dell’angelo custode, che nonostante venga costantemente raffigurato in inutile immobilismo sulla scena del sopruso, con un intervento finale salva Francesca quando le cose iniziano a mettersi male: Como la beata Francesca stando in oratione nella soa cella li vennero certi demonii e con certi nervi de animali la battierono tanto crudelmente in muodo che se non fussi lo angelo perche continuamente con essa era assai piu la molestavano (un po’ la stessa struttura narrativa che ritroviamo nei telefilm e nei cartoni animati con lo yattaman di turno che interviene all’ultimo minuto per salvare i "buoni" dai "cattivi").
Come in tutti i pellegrinaggi che si rispettino è quasi d'obbligo un giro nella cella della santa dove sono custodite la macabra reliquia di uno stinco e qualche colorato capo d’abbigliamento. Purtroppo il chiostro, i giardini e il refettorio rinascimentale non sono stati in questa occasione aperti al pubblico: un motivo in più per tentare di contattare le Oblate per telefono o via mail con la richiesta di una visita privata più esaustiva e possibilmente meno affollata (oblate@tordescpecchi.it, tel. e fax: 06 6797135).

Chiudiamo con una piccola curiosità: tra le varie caratteristiche attribuite a S. Francesca Romana le viene riconosciuto anche il dono dell’ubiquità, in virtù della propria capacità di conciliare alla perfezione i suoi doveri di madre, moglie e benefattrice. E proprio per questo motivo è stata assurta in tempi più recenti al ruolo di santa protettrice delle automobili e dei mezzi di locomozione in genere (la conquista della nuova velocità assimilata alla capacità di essere ovunque nello stesso momento). In realtà, quotidianamente bloccati nel traffico della tangenziale alla velocità di 4 metri orari, oggigiorno non possiamo fare a meno di pensare che più che da una santa con il dono dell’ubiquità, noi automobilisti romani saremmo più correttamente rappresentati da una santa affetta da bradipismo letargico acuto.