martedì 15 febbraio 2011

Dice che le tartarughe vanno via come er pane

Il filo conduttore di questa nuova passeggiata può riassumersi nel continuo inganno della storia, dei nostri stessi sensi e di ciò che pensavamo di conoscere. Insomma una fregatura dietro l'altra. A partire dal quartiere in cui ci troviamo.

Siamo in pieno ghetto Ebraico, e più precisamente in piazza Mattei..ma siamo davvero così sicuri che questa piazza sia effettivamente parte dell'antico ghetto Romano abitato dagli Ebrei? Torneremo a parlare di questo affascinante quartiere, che in pochissimi metri quadrati raccoglie una parte importantissima della storia della nostra città, ma per adesso ci basti sapere che il ghetto, così come venne originariamente concepito, si estendeva solamente tra via del portico di Ottavia e le rive del Tevere (prima dello sventramento che portò alla costruzione degli attuali argini). La piazza di cui stiamo parlando era infatti al tempo una vera e propria insula di proprietà della ricca famiglia Mattei: Cristiani, mercanti e (data la prossimità alle porte che un tempo delimitavano i confini del quartiere) affidatari delle chiavi con cui ogni sera al tramonto venivano serrate le porte dell'antico ghetto. Quindi non solo non ci troviamo nel quartiere Ebraico, ma dobbiamo immaginare di esserne idealmente chiusi fuori a chiave dalla potente famiglia Cristiana del luogo.
L'oggetto della nostra visita è la bellissima fontana al centro della Piazza Mattei, conosciuta come fontana delle tartarughe. La fontana venne originariamente progettata da Giacomo Della Porta per l'antica piazza Giudia (che ora non esiste più) secondo un programma di riqualificazione e di miglioramento delle condizioni igieniche all'interno delle mura del ghetto.

Muzio Mattei, avendone apprezzato il progetto, decise che avrebbe fatto una migliore figura in bella vista di fronte alle sue cristiane proprietà, e fece quindi pressioni affinchè fosse costruita nell'omonima piazza. Le famose tartarughe furono un aggiunta successiva ad opera del Bernini, e vennero poste a riempimento di un vuoto creatosi tra le mani dei quattro efebi in bronzo disposti ai lati della fontana e i bordi della vasca superiore, formatosi in conseguenza di un precedente lavoro di restauro. In poche parole una specie di rattoppo last minute! Sarebbe interessante capire perchè furono scelte come soggetto proprio delle tartarughe, ma è curioso pensare che ciò che oggi caratterizza la fontana anche nel nome fu solo un'aggiunta casuale, funzionale e soprattutto dettata da una scelta pressochè arbitraria. Sta di fatto che le tartarughe in questione vennero rubate più volte, prima con un rapimento di massa nel 1944 (poi rilasciate) e una seconda volta con la sparizione di una singola testuggine nel 1979. Ed è così che probabilmente qualcuno ha avuto la felice idea di sostituire i cari vecchi nani da giardino con una bella tartaruga del Bernini nel proprio cortile. In seguito a questi avvenimenti le tre tartarughe superstiti vennero definitivamente relegate nei musei Capitolini, e quelle che rimangono oggi a lasciarsi ammirare, ed eventualmente rubare dal prossimo decoratore di esterni, non sono altro che delle semplici copie.
Insomma il ghetto che non è il ghetto, una fontana che non sarebbe dovuta essere dove si trova e soprattutto delle tartarughe finte e messe li quasi per caso dopo oltre un secolo dalla realizzazione della fontana. Cosa c'è di autentico in tutto questo? A parte lo straordinario splendore di questa che è a mio parere una delle fontane più belle di Roma, di assolutamente realistico c'è come sempre la leggenda popolare che racconta la storia di questa geniale opera d'arte.

Si dice che il giovane duca Giacomo Mattei avesse qualche problemino con il gioco e come ci racconta il già citato Luigi Zanazzo nella sua raccolta di leggende popolari "nun faceva antro che ggiocasse l'animaccia sua notte e ggiorno". In una di quelle nottate brave riuscì a perdere tutto nel giro di una sola notte, e il padre della futura sposa, venuto a conoscenza del fatto, decise a quel punto di rifiutargli la mano di sua figlia. Il duca Mattei, offesissimo per essersi sentito dare dello spiantato e dello scioperato (e secondo me un sacco di altre cose), con una pensata alla Fabrizio Corona decise che per dimostrare di essere ancora ricco e potente avrebbe fatto tirare su in una sola notte una magnifica fontana di fronte alle sue proprietà. Il mattino dopo invitò padre e figlia a palazzo e spalancando la finestra di fronte a quella meraviglia, dimostrò ad entrambi di cosa potesse essere ancora capace. Ovviamente seguirono frasi coatte sul tipo "anvedi un pò uno spiantato come me che robba è è riuscito a 'ffa tirà su in una nottata?". Inutile dire che ricevette in cambio le dovute scuse e la disponibilità della fanciulla.

Da quel giorno, come celebrazione del fatto e affinchè l'episodio rimanesse unico nella memoria, stabilì che nessuno più si sarebbe affacciato da quella finestra, decidendo così di farla murare. Ed ecco perchè oggi possiamo ancora vedere una finta finestra murata sulla facciata di Palazzo Mattei di fronte alla fontana. Insomma ancora una volta ci scontriamo con qualcosa che non è come sembra! Ad inficiare la leggenda ci sono degli anacronismi, primo fra tutti la successività del palazzo rispetto alla data di costruzione della fontana. Ma per quelli che come me riuscirebbero a trovare anche le prove dell'esistenza di Babbo Natale, resta la convinzione che la fontana ( e questo spiegherebbe anche come sia stato possibile costruirla tanto in fretta) venne solo spostata durante la notte, magari proprio dall'originaria collocazione di piazza Giudia.

Torneremo presto a raccontare la storia di questo meraviglioso quartiere.
Nel frattempo vi consiglio di bere un drink al barocchissimo BarTaruga, giusto di fronte alla fontana. I prezzi non sono certo alla mano, ma visto il tema dell'inganno e dell'apparenza potrete sempre provare ad ammollare al proprietario una banconota del monopoli. In bocca al lupo!

mercoledì 2 febbraio 2011

Dice che il diavolo c'ha la mira scarsa

E' sempre una grande soddisfazione quando in una vecchia leggenda o storia popolare troviamo la possibilità di riscontrare le prove toccandole con mano, senza doverci limitare al classico “dice che.." ed è per questo motivo che ho deciso di portarvi in cima al colle Aventino, oltre che per una passeggiata in una delle zone più belle della città, per andare a cercare le testimonianze tangibili di due storie piuttosto curiose.


La nostra meta è la basilica di Santa Sabina, una delle chiese paleocristiane più antiche e meglio conservate di Roma, legata al culto dei frati Domenicani e in particolare alla figura di S.Domenico. Nonostante sia solito lasciare l'approfondimento dell' aspetto artistico dei monumenti a fonti e guide decisamente più autorevoli, in favore di piccole curiosità e cazzeggi vari, questa volta non posso fare a meno di soffermarmi sul meraviglioso portale ligneo di ingresso (non essendo la basilica dotata di facciata si accede al portale principale aggirandola alla vostra sinistra) risalente al V secolo e sorprendentemente conservato fino ad oggi. Tra i 18 riquadri scolpiti nel legno di cipresso rimasti a rappresentare scene del vecchio e nuovo testamento ritroviamo infatti la più antica rappresentazione plastica della crocifissione giunta fino a noi. Quello che possiamo definire il vero e proprio antenato del classico crocifisso, per quanto ancora lontano dai canoni successivi di rappresentazione della sofferenza.


Proprio di fronte al portale noterete una specie di oblò da cui sarà possibile scorgere un albero di arancio. Non ci trovate nulla di speciale? In effetti il bello di questa città è proprio la sua capacità di sorprenderci in maniera inaspettata, ed è così che vi scoprirete ad ammirare aldilà del muro il primo esemplare di albero d'arancio trapiantato in Italia, una pianta miracolosa che dopo più di otto secoli continua indisturbata a dare i suoi frutti. San Domenico portò con se dalla Spagna un pollone di questa specie nel 1220 e lo piantò nel chiostro del convento. Per chi come me non riesce a far sopravvivere nemmeno un cactus per più di 45 secondi , la miracolosità dell'evento è palese e non avrebbe bisogno di ulteriori indagini. Sembrerebbe  che la pianta continui a rinnovarsi ogni volta su se stessa perpetuando la sua fioritura a distanza di oltre otto secoli. I frutti vengono ovviamente considerati miracolosi e a questo punto sorge il sospetto che la tattica dell'oblò serva solo a scongiurare orde di invasati che possano depredare l'albero delle sue miracolose arance, magari con l'intento di avviare un business di spremute d'arancia in concorrenza diretta con quello della più celebre acqua di Lourdes. Sempre dallo stesso albero si dice che siano state colte le famose cinque arance poi candite che vennero donate da S.Caterina da Siena a Papa Urbano VI nel 1379: le stesse vennero candite per dimostrare al suddetto Papa, ritenuto di carattere impetuoso e violento, come anche un frutto aspro potesse all’occorrenza riempirsi di dolcezza. Una sorta di messaggio in codice per il Papa contenente l'invito ad addolcirsi. Detto questo spero che non vi risentirete quando un vostro ospite si presenterà a cena da voi annunciando di aver portato il ciambellone allo yogurt. Non è infatti detto che come S. Caterina abbia utilizzato questo subdolo trucco di omaggiarvi con un dolce con l'intento di affermare che siete solo dei maledettissimi acidi del cazzo.


A questo punto potrete varcare l'imponente portale e portarvi all'interno della chiesa. Se guardate alla vostra sinistra, appoggiata come se fosse stata dimenticata sopra una colonnina in un angolo, noterete una grossa pietra nera di forma rotonda. Eccovi dunque al cospetto della temibile LAPIS DIABOLI, la cosiddetta pietra del diavolo. Narra la leggenda che mentre S.Domenico fosse intento a pregare sopra una lastra marmorea posta a protezione delle ossa di alcuni martiri, il diavolo in persona, irritato da tanta devozione e mosso dallo stesso istinto che vi avrebbe portato a scagliare uno zaino in testa al secchione della classe ai tempi della scuola, raccolse dal tetto un'enorme pietra di basalto e la lanciò con tutta la sua forza contro il santo. Essendo evidentemente dotato di scarsissima mira, lisciò clamorosamente il sant'uomo, mandando comunque in frantumi la suddetta lastra di marmo ( sembra che in realtà la lapide venne spezzata dall'architetto Domenico Fontana durante un restauro del 1527, per quanto noi rimaniamo sempre sostenitori accaniti della leggenda). Come in tutte le storie di cortile che si rispettino, in cui una pallonata finisce regolarmente a disintegrare la finestra della vicina, la grossa pietra nera, sulla quale si possono ben notare i segni degli artigli del demonio che la strinsero con forza, venne dunque sequestrata e riposta sopra la colonnina tortile al lato dell'ingresso (anche qui la noiosa realtà sembra far coincidere la pietra con il peso di una bilancia romana ritrovato nei sotterranei). Inutile aggiungere che S. Domenico ne uscì illeso e soddisfatto.
L'ultima curiosità del luogo è che proprio S.Sabina fu sede di un curioso conclave nel 1287. Quando i cardinali si riunirono all'interno della basilica per eleggere il nuovo pontefice alla morte di papa Onorio IV, scoppiò a Roma una terribile epidemia di malaria che non risparmiò nemmeno alcuni tra i cardinali chiusi in conclave. Quando tutti fuggirono dalla città per evitare il contagio, solo uno di loro rimase sul posto, e come in una sorta di antico reality show dove solamente un vincitore riesce a superare la prova settimanale e ad accaparrarsi il titolo di leader, quando il pericolo cessò fu proprio lui, Girolamo Masci, che in onore del suo stoicismo e senza l'aiuto del televoto, fu eletto all'unanimità papa Niccolò IV.


Aldilà di queste storie, S.Sabina e l'Aventino meritano veramente il piacere di una passeggiata.
A fianco della chiesa potrete inoltre fare una sosta nell'incantevole giardino degli aranci: una piccola e suggestiva terrazza su Roma, dove circondati di alberi d'arancio e con una spettacolare vista sulla città, avrete lo scenario perfetto per una romantica passeggiata in solitudine o con la vostra metà.
Non essendoci punti di ristoro nei dintorni vi consigliamo di portare il panino con la porchetta direttamente da casa.

S.Sabina è aperta tutti i giorni dalle 7:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 19:00