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giovedì 1 novembre 2012

Dice che a Roma ce stanno le palme sotto terra


Nell'immaginario collettivo le catacombe sono sempre state erroneamente considerate il nascondiglio segreto dei Cristiani ai tempi delle persecuzioni. Dico erroneamente perché in effetti risulta difficile credere che i Romani, conquistatori di un impero immenso per estensione e complessità, e i cui confini si estendevano dal Medio Oriente alla Britannia, fossero così imbecilli da non accorgersi di quello che avveniva nel frattempo in casa propria, sotto i loro stessi piedi "calzarati". Se dunque non volessimo sottovalutare l'intelligenza dei nostri antenati, dovremmo rassegnarci al fatto che le catacombe altro non fossero che semplici cimiteri sotterranei, che solo in rare occasioni venivano utilizzati per officiare "in segreto" la liturgia Cristiana (attività che normalmente si svolgeva privatamente nelle domus dei patrizi convertiti alla nuova religione, in un contesto decisamente meno umido). Ad ogni modo questo genere di sepoltura sotterranea non va certo considerata come esclusiva dei Cristiani, in quanto la ritroviamo molto in voga sia tra i concorrenti  "pagani", sia tra le prime comunità ebraiche presenti a Roma. E proprio di queste ultime ci occuperemo in questo post.


Le catacombe di Vigna Randanini risultano le più conservate tra le 6 catacombe ebraiche attualmente conosciute nel nostro territorio, e sono situate all'interno della proprietà privata della nobile famiglia dei Gallo di Roccagiovine. Riuscire ad approfittare delle rare aperture speciali del sito è un'ottima occasione per godersi un'avventura casareccia da affrontare all'interno dei confini del raccordo, in particolare quando muniti di lampada e caschetto, ci trasformeremo in breve nell'alter ego provinciale e un pò coatto del sempre mitico Indiana Jones. La prima caratteristica che decreterà la vittoria di catacombe ebraiche contro catacombe cristiane 1-0, in particolar modo per il pubblico dei claustrofobici, è l'apprezzabile larghezza dei corridoi rispetto ai rispettivi delle anguste colleghe cristiane. Ai lati di questi spaziosi viali sotterranei si alternano i classici loculi con le relative targhe, che oltre a fornirci lo spunto per intrattenerci con l'interpretazione delle epigrafi, ci presentano una carrellata dei simboli tipici delle sepolture ebraiche, tra cui ricorrono in particolare il frutto del cedro, la pergamena (nel caso di sepoltura di un "grammatico"), e il mazzetto di erbe aromatiche.


In ogni angolo troneggia sempre e comunque la Menorah, il famoso candelabro a sette bracci simbolo della religione ebraica, trafugato dal tempio di Gerusalemme dall'imperatore Tito come trofeo di guerra per sancire la propria schiacciante vittoria in Giudea. L'episodio venne celebrato con un bassorilievo sull'arco di Tito, celebre monumento dei nostri Fori Romani, rispetto al quale divenne obbligo morale e consuetudine per ogni ebreo romano il categorico rifiuto di passarvi sotto. La millenaria tradizione si è interrotta solo nel recente 1997, con la clamorosa decisione del rabbino capo Toaff di celebrare la Chanukkà con l'accensione della prima fiammella esattamente sotto quell'arco, odiato simbolo della prima grande disfatta del popolo Ebraico. La misteriosa sparizione della Menorah, secondo alcuni andata distrutta, secondo altri nascosta in qualche luogo segreto, rimane avvolta dalla leggenda. Ma noi, da bravi romani quali siamo, vogliamo fidarci di quanto racconta il Belli in un sonetto:

"Mò nun c’è più sto Cannelabbro ar monno.
Per èsse, c’è; ma nu lo gode un cane,
perché sta giù ner fiume a fonno a fonno.
Lo vòi sapé lo vòi dov’arimane?
Vicino a Ponte rotto; e si lo vonno,
se tira su per un tozzo de pane."

Proseguendo il nostro percorso lungo le gallerie, avremo modo di apprezzare, con un tocco di esotismo mortuario, un genere di sepoltura di origine orientale detta Kokh, scavata perpendicolarmente verso il basso rispetto al più classico loculo. Sembrerebbe che in realtà i Kokhim servissero solo come camera di decomposizione, prima che le ossa rimaste fossero successivamente riposte in un più consono ossuario.
Come incidente di percorso ci si presenta improvvisamente il più classico tra gli ostacoli o trappole generalmente presenti in ogni film di Indiana Jones che si rispetti. All'altezza di un pozzo-lucernario ci attende infatti la temibile tribù dei ragni grillo, un incrocio nefasto che unisce alla naturale repulsione per ogni forma di vita aracnide, l'elemento ansiogeno del salto a tradimento. La guida ha la delicatezza di comunicarcelo in un misto tra indifferenza e perverso piacere con un monocorde "qui fate attenzione ai ragni-grillo, che potrebbero saltarvi addosso" (mentre nella mia testa un accorato "MORIREMO TUTTI!" sarebbe stato più consono alla situazione).


A riprenderci dallo sgomento si apre ai nostri occhi la vista della prima delle due camere sepolcrali affrescate. La decorazione, in questo caso piuttosto danneggiata, ci riporta alle origini del popolo ebraico, con una curiosa rappresentazione di palme da dattero disposte sui quattro lati del cubicolo. Ed è proprio in presenza di questi piccoli dettagli che si rimane catturati dal fascino della continua scoperta e della complessità di una storia millenaria, che solo Roma riesce a regalarci senza mai smettere di stupire: ci troviamo probabilmente sotto il giardino di una delle meravigliose ed inavvicinabili ville dell'Appia antica, o all'altezza di un incrocio della trafficata via Ardeatina, e proprio qui, nel silenzio del sottosuolo, ci ritroviamo ad ammirare quattro palme da dattero dipinte più o meno duemila anni prima, e che ancora riescono a trasmettere tutta la nostalgia di un popolo per gli elementi naturali della propria terra d'origine. Purtroppo il resto dell'ambiente risulta danneggiato da interventi successivi di allargamento, e dopo una rapida occhiata a quello che rimane delle altre decorazioni, riprendiamo il nostro percorso.

L'itinerario prosegue, ed è forte la tentazione di defilarsi per esplorare una delle tante diramazioni, immaginando di poter testimoniare chissà quali scoperte. Il punto di arrivo e il culmine della visita è rappresentato dall'ultima camera sepolcrale, divisa in due ambienti distinti. La ricchissima decorazione sembra convergere verso gli elementi centrali delle volte, rappresentati nel primo ambiente da una vittoria alata nell'atto di incoronare un giovane nudo, e nel secondo da Fortuna con una cornucopia in mano (preferivate la foto del primo?). Tutto intorno si dispiega un'alternanza di figure animali e floreali che si concentrano sul tema dei volatili nella prima camera e dei pesci nella seconda. Questo insolito impianto decorativo, composto da simbologie piuttosto classiche e in parte legate a ritualità politeiste, ha fatto pensare ad un preesistente utilizzo pagano di questa sezione della catacomba, ma in realtà è lecito ritenere che si tratti semplicemente di una moda dell'epoca, ripresa dagli ebrei a puro scopo decorativo (un pò come quando arrediamo casa appendendo maschere africane, senza che questo implichi necessariamente il nostro coinvolgimento in riti animisti e danze tribali nel soggiorno di casa). L'intera superficie delle pareti è coperta da graffiti di visitatori risalenti agli anni '30 del secolo scorso, con le classiche diciture di nome, data e attestazione di presenza sul genere "anche noi siamo stati qui". Dopo l'iniziale sconcerto per un tale scempio, che farebbe apparire al confronto un qualsiasi writer metropolitano come l'incarnazione della civiltà e del rispetto del decoro urbano, cominciamo infine a guardare con interesse anche a questa ulteriore testimonianza storica di un periodo recente, in cui il concetto di preservazione dei beni culturali non era stato evidentemente ancora assorbito.
Alla fine, non paghi dell'attacco dei ragni grillo, abbiamo deciso di non farci mancare nemmeno i fantasmi. E per concludere in pieno stile "puntata di Mistero" ( probabilmente con la medesima "autorevolezza" di Raz Degan e Daniele Bossari ), sottopongo anche a voi lettori l'inquietante fotografia scattata nei sotterranei, dove alla destra del ragazzo col giubbotto nero (ultimo della fila), si riconosce la minacciosa presenza di tre figure umane. Fantasmi, effetto ottico o bastardissima applicazione dell' I-phone? Probabilmente non lo sapremo mai.


L'ingresso alle Catacombe ebraiche di Vigna Randanini si trova su via Appia Pignatelli 4. Per visitarle è necessario fare affidamento ad una delle tante associazioni culturali romane che periodicamente organizzano visite guidate (tra le altre vi consiglio www.sotterraneidiroma.it).