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domenica 11 marzo 2012

Dice che è meglio andà al museo che andà in galera


Se siete a digiuno di omicidi irrisolti (con sommo sollievo delle potenziali vittime) e indugiate sempre più spesso davanti al televisore in fremente attesa del prossimo giallo da sviscerare grazie al morboso contributo di Bruno Vespa, vi consiglio nel frattempo una passeggiata al Museo Criminologico di Roma.
L'attuale allestimento di questa interessantissima e insolita collezione è ospitato nell'austero Palazzo del Gonfalone, ex carcere minorile e casa di correzione per "discoli" di buona famiglia, commissionato da Papa Leone XII nel 1827. Condannati e "reietti" di famiglia erano destinati a scontare la medesima "pena" a base di messe e lavoro (con l'esclusiva mansione di filatura della lana), con l'unica differenza che il tempo di permanenza dei secondi veniva stabilito a discrezione dei genitori in linea con le proprie necessità di tenere la vivace prole costruttivamente fuori dalle palle ( dando così  fondamento storico all'odierna e temuta minaccia genitoriale del "ti mando in collegio" ).
L'ingresso a tradimento in una sorta di comando di polizia (in questo caso penitenziaria) potrebbe suscitare automatiche reazioni di timore condizionato da coda di paglia, alternate a flashback celebrativi delle ultime sedici volte in cui vi siete recati a sporgere denuncia per la scomparsa del portafogli. Nessun timore: è solo l'entrata del museo attualmente gestito dall'amministrazione penitenziaria.

L'allestimento si snoda lungo un percorso di tre piani suddiviso per aree tematiche organizzate secondo un regolare ordine cronologico, e ci accompagna attraverso la storia della giustizia e dei sistemi penali tra documenti fotografici, autentici corpi di reato e notevoli spunti scientifico-didattici.
Questo viaggio nella storia del crimine avrà inizio nella prima sala dedicata al Medioevo, dove verremo accolti da una macabra esposizione dei più classici strumenti di tortura. E quando tra gogne e ghigliottine inizierete a sospettare contrariati di essere entrati in una deludente copia dell'ennesimo "museo delle torture" di paese, l'improvvisa scoperta di autentici cimeli intrisi di storia leggendaria invertirà la rotta dei vostri pensieri, regalandovi quella rara e appagante "emozione del vissuto" solitamente riservata alla vista di esclusivi pezzi unici.


La spada con cui venne decapitata nel 1599 la tristemente celebre Beatrice Cenci è certamente uno di questi. La storia della bella parricida, immortalata nel famoso dipinto attribuito a Guido Reni, fece immenso scalpore all'epoca dei fatti ( e certamente ne parleremo più approfonditamente in un prossimo post), secondo quel sempre attualissimo meccanismo della bella e giovane fanciulla di buona famiglia (vittima o carnefice non conta), il cui tragico destino smuove immancabilmente l'emotività collettiva, l'accanimento delle masse e, in tempi più attuali, i fatturati di Bruno Vespa e Barbara D'Urso. La storia del processo e della condanna ci sono stati tramandati con dovizia di particolari, e apprendiamo così che Papa Clemente VIII diede personalmente il suo contributo attraverso l'emanazione di un atto papale ad hoc, necessario per procedere con la tortura della giovane durante il processo; tortura che, senza tale apposito Motu papale, non sarebbe stata altrimenti ammessa per cittadini di condizione sociale elevata quali erano i Cenci. Dalle prigioni di Castel S. Angelo al patibolo il percorso fu rapido e inesorabile e si concluse per mano e per spada (proprio quella spada!) del boia Mastro Bracca. Si narra che il corpo decapitato venne portato in processione con tutti gli onori lungo via Giulia dallo stesso popolo di Roma, che dopo tanto sadico compiacimento, pianse infine l' "incolpevole" e giustificata vittima di un padre violento e brutale, facendola così passare alla storia.


La seconda celebrità ad attenderci nella sala successiva è lo storico boia romano Mastro Titta, all'anagrafe Giambattista Bugatti, le cui preziose "annotazioni" ci raccontano di una lunghissima carriera costellata di efferate esecuzioni di condanne a morte (ben 516!). Il virtuoso delle decapitazioni e degli squartamenti pubblici, che prima di mettersi all'opera indossando il suo caratteristico mantello rosso (proprio quel mantello in esposizione) si confessava e sacramentava con religiosa sollecitudine, venne messo in pensione da papa Pio IX alla veneranda età di 85 anni ( vi prego non ditelo a Monti) a fronte di una premiante corresponsione di 30 scudi mensili. Tutto intorno un interessantissimo dispiegamento di cimeli ci racconta la storia delle  Confraternite, fra tutte l'Arciconfraternita di San Giovanni decollato, dedite all'accompagnamento, al conforto e all'assistenza post-mortem in forma di preghiere di suffraggio, di tutti i condannati a morte di ogni ordine e grado.


L'esposizione continua al secondo piano, dedicato all'Ottocento, dove assisteremo al passaggio dalla concezione di pena intesa come punizione definitiva ai sistemi di detenzione con finalità "educative". Oltre a una serie di oggetti, documenti e testimonianze di vita quotidiana relativi al mondo delle colonie penali, passando per un breve excursus sulla nascita dei manicomi giudiziali, troveremo anche un interessante panoramica sugli studi di antropologia criminale dell'epoca. Il protagonista è ovviamente Cesare Lombroso e le sue fanta-scientifico teorie sulla natura delinquenziale dell'uomo, le cui tendenze criminali sarebbero letteralmente scolpite nella propria irrimediabile conformazione fisica; teorie oggi completamente sconfessate, da cui al tempo derivarono tutta una serie di correnti degenerative che facevano risalire la personalità deviante dell'essere umano ai suoi stessi tratti somatici. Prendetele dunque con una certa leggerezza ed eviterete così di denunciare il vostro pizzicagnolo di fiducia per omicidio a causa di quella sua arcata sopraccigliare sospettosamente troppo marcata.

Il terzo e ultimo piano dedicato al Novecento è infine una vera a propria "celebrazione" del crimine in tutte le sue forme (dal banditismo, allo spionaggio, passando per il gioco d'azzardo e la criminalità organizzata). Molto interessante è la sezione riservata ai delitti che fecero scalpore nel primo dopoguerra: un compendio di omicidi dall'indubbio fascino mediatico che sarebbero in grado di fornire materiale per ore e ore di dibattiti pomeridiani nei salotti televisivi tra menti illuminate e opinionisti dell'ultima ora. Tra queste anche la storia della "saponificatrice di Correggio", una tranquilla casalinga Emiliana che pensò bene di trasformare le sue amiche in saponette e pasticcini, dopo attenta dissezione e bollitura. Molto apprezzata dalla donna la riuscita di tale Virginia Cacioppo, terza vittima della disturbata signora nonchè ex cantante lirica, a proposito della quale ebbe l'ardire di riconoscere con malcelata soddisfazione che alla fine "..ne vennero fuori delle saponette cremose accettabili" e "..anche i dolci furono migliori". E concluse: "quella donna era veramente dolce".

A questo punto vorrei consigliarvi una buona pasticceria in via Giulia per concludere la passeggiata, ma qualcosa mi dice che non accettereste il mio suggerimento.
Il museo Criminologico si trova in via del Gonfalone 29 ed è visitabile dal martedì al sabato dalla ore 9:00 alle 13:00 e il martedì e giovedì dalle 14:30 alle 18:30 (chiuso domenica e festivi).