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lunedì 10 marzo 2014

Dice che se non è stata la Madonna allora so' stati gli ufo (il miracolo della neve d'agosto)

Tra le varie leggende romane legate alla fondazione di chiese o basiliche, "il miracolo della neve d'agosto" è senza dubbio la più originale. La storia ci viene raccontata nel meraviglioso ciclo musivo realizzato da Filippo Rusuti nel tredicesimo secolo sulla facciata della basilica di S.Maria Maggiore. Gli splendidi mosaici del Rusuti costituiscono una delle pochissime tracce superstiti della produzione artistica medievale romana, fortunatamente sopravvissuti all'intervento Settecentesco dell'architetto Ferdinando Fuga che, in un inconsapevole slancio conservativo, e in palese controtendenza rispetto alle smanie demolitive dei papi dal Rinascimento in poi, li risparmiò dalla distruzione durante i lavori di rifacimento della facciata della basilica. La soluzione del Fuga prevedeva infatti la sovrapposizione della nuova facciata alla precedente, con l'apertura di una loggia che lasciasse parzialmente visibile l'opera musiva trecentesca. La loggia è oggi accessibile con un ingresso extra a pagamento nell'ambito di una visita alla basilica.

La leggenda racconta di una coppia di ricchi patrizi romani che, essendo un pò avanti negli anni e senza figli a cui lasciare i propri beni, decisero di beneficiare la chiesa del loro patrimonio al fine di garantirsi una piacevole permanenza nella vita ultraterrena. Con un perfetto tempismo e invidiabile spirito imprenditoriale la madonna apparve dunque in sogno al ricco patrizio, suggerendo lo stanziamento di tali fondi per la costruzione di una basilica a lei dedicata, nel luogo dove l'indomani si sarebbe verificato un evento miracoloso. Secondo la versione tramandataci dai mosaici del Rusuti, il patrizio si recò da papa Liberio per raccontare il suo sogno, il quale gli confermò di aver avuto esattamente la stessa visione nel corso della notte precedente ("vuoi finanziare la costruzione di una nuova basilica perchè te l'ha suggerito in sogno la vergine Maria? Considera che è passata anche da me per ribadire la cosa, quindi direi ormai te tocca pe forza"). Ma quale sarebbe stato il segno che avrebbe indicato il luogo esatto? Ebbene proprio quella mattina del 5 Agosto 352 d.c., nonostante fosse piena estate, la cima dell'Esquilino si imbiancò di neve. Quando il papa e il patrizio Giovanni si recarono sul posto richiamati dall'insolito evento non ebbero più dubbi, e fu così che lo stesso papa Liberio tracciò con un bastone sul manto di neve il perimetro di quella che sarebbe stata la nuova Basilica di S.Maria Maggiore.

I mosaici di Filippo Rusuti (sulla cui paternità non abbiamo dubbi, almeno per quanto riguarda la sezione superiore, nella quale ci lascia un'inequivocabile firma), costituiscono un'importante testimonianza di quel prezioso patrimonio artistico di epoca medievale, sistematicamente cancellato dalla storia della nostra città, la cui riscoperta ci costringe a rivedere il nostro classico pregiudizio su un Medioevo privo di guizzi artistici di alto livello. Mentre la parte superiore riprende i temi della classica iconografia bizantina, con il Cristo comodamente seduto sul trono gemmato, circondato da tutta la sua corte di angeli, madonne e apostoli, la sezione inferiore, le cui differenze di stile fanno sorgere qualche dubbio sull'attribuzione dell'opera, ci racconta attraverso una curiosa tecnica pre-fumettistica la storia del miracolo della neve. In particolare nella rappresentazione del sogno del patrizio Giovanni, fa sorridere ritrovare il prototipo della classica nuvoletta dei fumetti, realizzata attraverso la raffigurazione di un tubo (o di un raggio) che, dipartendosi dalla testa dell'uomo dormiente, si ricollega ad un clipeo contenente la protagonista del sogno nella sua veste di consulente immobiliare.


Successivamente assistiamo alla rappresentazione del confronto dei due protagonisti mentre si raccontano a vicenda la propria esperienza onirica ( la coincidenza di contenuti giustifica questo dialogo come unica eccezione ammissibile alla noiosissima abitudine di raccontare a qualcuno il proprio sogno..e qui Zerocalcare docet), per poi infine giungere alla conclusione della narrazione con l'evento clou dell'intera leggenda: i protagonisti e la folla riuniti sotto la miracolosa nevicata, con il papa improvvisatosi architetto progettista con la sola imposizione di un bastone. Trovo meravigliosa e quasi commovente nella sua ingenuità figurativa di stampo medievale, la rappresentazione della neve che si trasforma in una specie di mantello e che, come una coperta stesa da una finestra del Corviale, viene calata sulla folla stupefatta e incredula. Ogni dettaglio dell'intero ciclo musivo è una piccola scoperta su questa bellissima interpretazione del mondo, ma il tutto diventa ancora più entusiasmante quando si scopre che ogni singola scena è arricchita da una didascalia accompagnata da un'annotazione musicale, al fine di permettere ai fedeli di cantare il relativo avvenimento. Un vero e proprio karaoke ante-litteram dove a fare da megaschermo sono le bellissime sfumature dorate dell'antica facciata della basilica (prima che venissero seminascoste dalla controfacciata del Fuga). 


Ma quale potrebbe essere la vera origine di questa leggenda che ha avuto una così grande risonanza nel corso dei secoli? Una grandinata estiva? Un'allucinazione collettiva? Una delle ipotesi più affascinanti ci viene suggerita da una rappresentazione tardiva dello stesso episodio rappresentata nell'opera intitolata "il miracolo della neve" (1428) del grande Masolino da Panicale, oggi conservata nella galleria di Capodimonte a Napoli.
Questo dipinto è stato oggetto di interesse per tutti gli appassionati di ufologia a partire dagli anni Settanta, in quanto considerato prova di un avvistamento di oggetti volanti non identificati avvenuto e (conseguentemente interpretato in chiave religiosa) in un passato non proprio recente. La definizione dei contorni delle nuvole e il loro modo di procedere da dietro le montagne in un ordinatissimo schema di coppia, sulla scorta di una grande nave madre in stile "Visitors", sembrerebbe in effetti suggerire qualcosa di più di un banale episodio meteorologico. Per il resto non mancano la neve e papa Liberio che, in un impeccabile stile da provetto giocatore di golf, realizza il tracciato della basilica.

Per capire questo legame tra la neve e un possibile "incontro ravvicinato" ci viene subito in mente un altro storico episodio, avvenuto in questo caso a Firenze nel ben più recente 1954. La data è ricordata come quella del più importante avvistamento ufologico della storia nazionale, avvenimento che venne riportato in prima pagina da tutte le cronache dell'epoca e al quale assistettero migliaia di testimoni, tra cui diversi giornalisti e lo stesso capocronista della Nazione. E se perfino una partita di calcio (Fiorentina-Pistoiese) venne interrotta per venti minuti, quando anche i giocatori furono distratti dalle evoluzioni di alcuni oggetti volanti luminosi sopra lo stadio, allora abbiamo la conferma del fatto che si trattò effettivamente di un evento epocale.

La cosa interessante è che, in concomitanza con gli avvistamenti, Firenze venne interessata dal misterioso fenomeno di una "nevicata" di materiale vetroso simile alla bambagia, che imbiancò alcuni punti della città per poi dissolversi velocemente al contatto con il terreno. Tale materiale venne ribattezzato "bambagia silicea", in quanto, una volta analizzati alcuni campioni, risultò essere costituito perlopiù da boro e silicio. Residui industriali di una qualche azienda tessile portati dal vento? Scarti produttivi di una vetreria della zona? O addirittura, come si ipotizzò con una certa convinzione, un fenomeno scientifico connesso alla migrazione di una specie di ragni, che producono in natura questo materiale simile alle ragnatele, per poi attaccarvisi e lasciarsi trasportare dal vento nel loro percorso migratorio? Ancora oggi le diverse ipotesi rimangono aperte. Ma è possibile che qualcosa di simile potesse essere avvenuto anche a Roma in quella mattina d'agosto del 352? E' ovvio che in un'epoca totalmente intrisa di cultura religiosa non ci sarebbe stato spazio per alcuna ipotesi di migrazione aracnide, e l'unica spiegazione possibile avrebbe coinciso con la manifestazione di un segno divino. Se dunque si fosse trattato di neve, grandine o bambagia silicia possiamo solo immaginarlo. Quel che è certo è che ancora oggi, nella celebrazione della rievocazione del miracolo durante la messa del 5 di Agosto, possiamo ancora assistere all'interno di S.Maria Maggiore ad una "vera" nevicata di petali di rosa che, lasciati cadere dal meraviglioso soffitto a cassettoni della basilica, realizzato con il primo oro giunto dalle Americhe alla fine del Cinquecento, riesce ancora a lasciarci a bocca aperta. L'evento viene ripetuto anche all'esterno con il supporto di effetti speciali, ma forse in questo caso tanta tecnologia non è sempre del tutto gradita alla Madonna, se pensiamo che nel 2012 uno dei camion con l'attrezzatura venne rubato costringendo l'organizzazione alla cancellazione dell'evento. Ma almeno in questo caso possiamo dire di avere una certezza: gli alieni questa volta non c'entravano un cazzo!

I mosaici della loggia sono visitabili tutti i giorni della settimana dalle 9:00 alle 18:30 al costo di 5 euro a persona.


sabato 21 settembre 2013

Dice che Poussin si è portato il segreto nella tomba. Letteralmente.

In una Roma che può essere a ragione considerata anche capitale dei misteri, persino un semplice monumento funerario custodito all'interno di una chiesa, così come ce ne sono a centinaia, può trasformarsi in una meta affascinante alla fine di un percorso lungo secoli. Percorso intriso al tempo stesso di arte, umanesimo e improbabili congetture fantastoriche. La nostra tappa sarà la chiesa di San Lorenzo in Lucina, dove in questo caso saremo costretti a distogliere lo sguardo da tutte le sue bellezze artistiche, per concentrarci sul misteriosissimo sepolcro posto sulla destra della navata principale. Trattasi della tomba del grande artista Francese Nicolas Poussin, la cui visione potrebbe procurare un improvviso deja-vu agli appassionati di arte del Seicento, o molto più realisticamente e terra terra a tutti quegli indomiti e impenitenti spettatori del programma televisivo "Voyager". Di fronte a noi un sepolcro, un'iscrizione e un bassorilievo a rappresentare l'opera piu' celebre del nostro pittore: ET IN ARCADIA EGO! Ma da dove parte questa storia?

Nel 1625 giunge a Roma la regina Cristina di Svezia, in seguito alla sua decisione di abdicare al trono come conseguenza della sua conversione al cristianesimo. Nonostante il suo apparente fervore religioso racchiuso in questa scelta, Cristina di Svezia si rivela in breve un personaggio ambiguo e allo stesso tempo "illuminato", e ben presto il suo salotto della residenza romana di palazzo Riario inizia ad essere frequentato dal fior fiore della cultura del tempo, cultura intrisa di esoterismo ed interessi alchemici, dove l'arte e la letteratura si mescolano a dissertazioni che in tempi neanche troppo lontani erano già stati causa della combustione di più di qualcuno (vedi Giordano Bruno). Ed è proprio all'interno di questo circolo culturale che successivamente, nel 1690, viene formandosi l'idea di costituire una vera e propria accademia artistico-letteraria in onore della defunta regina: l'Accademia dell'Arcadia. Il nome Arcadia è un tributo alla regione agreste del Peloponneso in Grecia che, ispirandosi al poeta Teocrito e alle bucoliche di Virgilio, diventa scenario ideale per una poesia classicheggiante, con per protagonisti pastori lamentosi che declamano idilli d'amore sprofondati nell'incanto di un'amena campagna. Una replica a sfregio al gusto barocco dell'epoca, considerato volgare e chiassoso, ma anche un ritorno alle origini di un paganesimo imbevuto di ermetismo e filosofie esoteriche. Ed ecco allora che tra pecore e sbadigli comincia a farsi strada un elemento sotterraneo, elemento legato all'Arcadia che fa la sua prima comparsa nel celebre quadro di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino, in largo anticipo sulla costituzione dell'accademia (potete ammirarlo a Roma nella galleria Barberini).


Il soggetto rappresenta due pastori che, apparentemente smarriti in una selva oscura (beccateve la citazione), si imbattono in un sepolcro dove campeggia la scritta "Et in Arcadia ego". Un teschio in primo piano e varie bestie notturne fanno da corollario al concetto mortuario che, con la violenza di uno schiaffo, si inserisce a tradimento nell'atmosfera bucolica della campagna. A lungo i "complottisti" si sono interrogati sul significato simbolico del dipinto e di questa scritta, e taluni hanno maldestramente tentato la strada di un riferimento al misterioso sepolcro della Maddalena, secondo alcune mirabolanti teorie approdata in Europa e divenuta capostipite della stirpe dei re Merovingi in Francia (per chi avesse letto il codice Da Vinci sa di cosa parlo). A convalidare la delirante teoria il presunto foro sul teschio, praticato secondo la ritualità dei Merovingi come uscita di sicurezza dell'anima in punto di morte. Ebbene il foro si rivela ad un analisi neanche troppo accurata essere niente altro che una maledettissima mosca, tra l'altro magistralmente dipinta. Una versione più accreditata traduce la scritta con "E anche io (sono) in Arcadia" o meglio, "anche io, (la morte), sono in Arcadia", ovvero "anche in questo bel posticino prima o poi stirerete le zampe", quindi godetevela o comunque non illudetevi. Insomma il classico memento mori che rovina la festa. A questo punto vi starete chiedendo cosa c'entra Poussin e il suo sepolcro. Ebbene anche Nicolas Poussin, artista francese giunto a Roma, annovera nel suo curriculum artistico ben due versioni di "et in arcadia ego", sulla stessa linea del Guercino.






Anche sul presunto significato simbolico di queste opere si e' scatenato un vero e proprio marasma di congetture che rimandano nuovamente al tema dell'esistenza di una presunta tomba di Cristo e della Maddalena in quel di Provenza, in particolare nel piccolo e inquietante villaggio di Rennes Le Château (la Twin Peaks dei Pirenei), il cui paesaggio in molti hanno voluto riconoscere sullo sfondo della seconda versione del quadro. Secondo queste ipotesi "et in Arcadia ego" sarebbe un'anagramma di " I! Tego arcana dei!", ovvero "Te ne devi annà (vabbè concedetemi una nota romanesca)! Io celo i misteri di dio". Aldila' di tutto questo circo, dal quale Dan Brown ha attinto a piene mani per il suo "codice Da Vinci", e' comunque indiscutibile la presenza di una simbologia appartenente alla tradizione esoterica. Mettendo a confronto le due versioni, noterete come nella seconda i pastori appaiano meno sgomenti, la donna, ora in abiti classicheggianti, sembra quasi rassicurare i suoi compagni, ma soprattutto la fonte di Alfeo (il personaggio di spalle in basso a destra nella prima versione, che rovescia acqua da un vaso), fonte che secondo la tradizione esoterica molto in voga nel Seicento sta a rappresentare il fiume della conoscenza segreta, risulta essere ormai esaurita! (si nota comunque la frattura del terreno dove precedentemente si nascondeva). Significa forse che il segreto e' stato ormai rivelato? E chi era il custode di questo segreto? Il fatto piu' strano e recente intorno a tutta questa storia riguarda un certo Bérenger Saunière, abate del borgo di Rennes Le Château dal 1885 e secondo una certa letteratura fantastorica presunto scopritore del mistero del Graal. Questo ambiguo personaggio manifestò un interesse ossessivo per questo dipinto, tanto da volersene procurare ad ogni costo una copia in una specie di "caccia al tesoro" che gli fruttò una ricchezza improvvisa e mai spiegata. Ad oggi possiamo ancora notare gli sconvolgenti ed inquietanti cambiamenti effettuati proprio nel suo piccolo villaggio in seguito alla presunta scoperta di tale rivelazione.

Tornando al periodo di Poussin, ecco che ad  infittire il mistero entra in scena un nuovo personaggio, Nicolas Fouquet, intendente alle finanze alla corte del Re Sole in Francia. Grazie alla presenza di un suo fratello abate a Roma, tale Louis Fouquet, Nicolas si occupava tra l'altro di reperire in Italia opere d'arte destinate alla corte di Francia. Ecco il testo di una misteriosa lettera che l'abate Louis gli inviò da Roma:
Roma, 17 aprile 1656
"Ho reso al signor Poussin la lettera che voi gli avete fatto l’onore di scrivergli… lui ed io abbiamo progettato certe cose delle quali potremmo intrattenervi a fondo tra poco e che vi doneranno, tramite il signor Poussin, dei vantaggi (se voi non vorrete disprezzarli) che i re durerebbero grande fatica ad ottenere da lui e che, dopo di lui, nessuno al mondo scoprirà nei secoli futuri; e quello che più conta, ciò sarebbe senza molte spese e potrebbe perfino tornare a profitto, e si tratta di cose da ricercare così fortemente che nulla di quanto esiste sulla terra potrà avere migliore fortuna od esservi uguale".
Lo sventurato Nicolas fece in seguito una brutta fine, incarcerato a vita dallo stesso re Luigi XIV per presunti scandali finanziari (che coincidenza, vero?), mentre il re riusci' comunque ad entrare in possesso del quadro di Poussin, che venne conservato negli appartamenti privati di Versailles fino alla fatidica rivoluzione francese (oggi e' esposto al Louvre).

Quale segreto a conoscenza di Poussin avrebbe potuto procurare questi enormi vantaggi? E soprattutto, si faceva riferimento a vantaggi materiali, o all'acquisizione di conoscenze? (non dimentichiamoci il clima culturale dell'epoca, gli interessi esoterici e soprattutto alchemici). Di sicuro Poussin era consapevole di essere il custode di una qualche conoscenza, e ce lo dichiara apertamente in un suo celebre autoritratto, dove compare sullo sfondo l'immagine di una donna che indossa un copricapo sul quale campeggia il famigerato terzo occhio, simbolo della "conoscenza esoterica". Un sapere di tipo alchemico, o un segreto ancora piu rivoluzionario, che secondo le teorie che ruotano intorno al mistero di Rennes Le Château, avrebbe potuto scardinare gli equilibri della religione occidentale?
Ebbene proprio in questa chiesa, lungo quella stessa linea d'ombra attraverso la quale l'antica meridiana dell'imperatore Augusto indicava l'ora nona, a distanza di un secolo dalla sua morte e' stato eretto il monumento funebre in onore di Poussin. Il committente fu l'allora ambasciatore di Francia a Roma, Francois Rene' de Chateaubriand, Cavaliere dell'ordine del Santo Sepolcro (e te pareva che non uscivano fuori i Templari). La traduzione dell'epitaffio latino, attribuito a Pietro Bellori, bibliotecario di Cristina di Svezia, non potrebbe essere piu' eloquente: "Trattieni il pianto sincero, in questa tomba vive Poussin, che aveva dato la vita ignorando egli stesso di morire. Qui egli tace eppure, se vuoi sentirlo parlare, è sorprendente (come) VIVE E PARLA NEI (suoi) QUADRI".
Ed ecco ancora una volta "et in Arcadia ego" e i suoi pastori, stavolta in versione di bassorilievo, a trasformare il sepolcro di Poussin in quello stesso sepolcro scovato nei boschi dell'Arcadia, probabilmente custode di quegli stessi segreti. Il mistero è ancora aperto!

Per ripercorrere i passi di questa storia potete visitare:
Palazzo Riario, con gli appartamenti della regina Cristina di Svezia
La galleria nazionale di arte antica a Palazzo Barberini, con la tela del Guercino "et in Arcadia ego"
e chiaramente la chiesa di S.Lorenzo in Lucina con il sepolcro di Poussin.



martedì 9 luglio 2013

Dice che a S.Pietro assisteremo a un parto

"Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini" ovvero "quello che non fecero i Barbari, lo fecero i Barberini", e che si parli di devastazione risulta abbastanza evidente dalla natura del primo soggetto.
Con questa celebre "Pasquinata" si andava a colpire lo scellerato modus operandi della famiglia Barberini, consistente nello spoliare i più celebri monumenti dell'antichità, riutilizzandone i materiali per la costruzione di chiese e palazzi cardinalizi. In poche parole una trasformazione in sacro dell'elemento pagano, il tutto con una semplice operazione di riciclo palazzinaro (a loro discolpa si può dire che non furono i primi né gli ultimi).


L'attacco si rivolgeva in particolare a papa Urbano VIII, per gli amici Maffeo Barberini, il quale commissionò al suo artista di fiducia Gianlorenzo Bernini la fusione degli antichi bronzi che rivestivano la struttura del pronao del Pantheon, per farne un monumentale baldacchino da schiaffare nel cuore della nuova basilica Vaticana, proprio all'altezza del sepolcro dell'apostolo Pietro. Potremmo a questo punto giurare che il materiale bronzeo rappresenti l'unica componente di origine pagana dell'insigne opera d'arte? Per scoprirlo vi invito a (ri)visitare uno dei luoghi più conosciuti al mondo (confessate che non mettevate piede a S.Pietro più o meno dalla quinta elementare), questa volta con il proposito di  provare a "Guardare" veramente, per riuscire infine a scovare il lato "insolito" di un celebre monumento, celato nel pieno di un flusso turistico ai limiti del sopportabile. E se ritenete che la scena di un parto rappresentata nel cuore della basilica della cristianità universale sia una cosa sufficientemente insolita, allora avrete fatto bene a fidarvi.

Allontanando lo sguardo dall'architettura centrale del baldacchino e scorrendo la decorazione dei quattro piedistalli alla base delle colonne, ci accorgeremo infatti di come gli scudi con lo stemma del pontefice, esattamente come in una sequenza cinematografica, rivelino la sorprendente cronaca per immagini di un vero e proprio parto nelle sue diverse fasi. La lettura ha inizio dalla colonna frontale di sinistra e, seguendo il senso orario, si conclude sulla colonna frontale di destra. Un volto di donna, nascosto tra lo stemma e le chiavi di San Pietro, racconta di scena in scena il proprio travaglio attraverso le sue realistiche espressioni: dal volto contratto, alla sofferenza, al grido di dolore (con le probabili smadonne che le lettrici in particolare non faranno fatica ad immaginare), fino al sollievo post faticata con tanto di capelli appiccicati sulla fronte, mentre sull'ultimo bassorilievo troveremo al suo posto il volto paffuto di un cherubino, il bambino appena nato. Lo stesso scudo, stemma del pontefice Barberini guarnito con le sue immancabili api, diventa metafora di un ventre femminile, che coerentemente con l'espulsione sembra "sgonfiarsi" nel corso della sequenza (guardate l'ultimo e il primo in prospettiva tra loro). E non finisce qui! Un grottesco mascherone alla base nasconde la rappresentazione anatomicamente accurata degli stessi organi di riproduzione femminili.

Per secoli l'intera sequenza è stata snobbata, tanto che le prime osservazioni su questa presenza anomala si riscontrano solo a partire dal diciannovesimo secolo. Ma quale potrebbe essere il significato di questo racconto all'apparenza molto poco consono con il luogo? In soccorso arriva immancabilmente una certa aneddotica di stampo popolare, secondo cui il Bernini avrebbe messo incinta una nipote del Papa (nipote a quei tempi uguale figlia illegittima), il quale a sua volta si rifiutò di benedire l'unione provocando nello scultore il desiderio di questa piccola vendetta a sfregio. Alla versione "radio serva" si affianca l'ipotesi lacrimevole  di un poco credibile Urbano VIII, che volle celebrare la felice riuscita del parto, considerato a rischio, di una sua stretta parente. C'è infine la versione più tecnica, che fa riferimento a un parallelismo con i nove mesi di tempo occorsi al Bernini per realizzare lo splendido monumento. Ma era necessario tutto questo sfoggio di arte solo per dire" 'sto baldacchino è stato un parto"? In conclusione le storielle appaiono molto poco convincenti, mentre piuttosto risulterebbe sensato riportare il tutto ad una lettura più profonda.

In particolare faccio riferimento ad una precisa simbologia di stampo medievale, parte integrante del complesso rituale di insediamento del neoeletto pontefice in vigore fino agli inizi del Secolo XVI, in funzione della quale venivano utilizzati tre distinti sedili di epoca imperiale. Tra questi una sedia da parto (quindi forata al centro), sulla quale si dice che il papa dovesse accomodarsi assumendo la posizione da partoriente, al fine di simboleggiare il concetto di Mater Ecclesia (Madre Chiesa). Tutta questa pantomima, che ci appare indubbiamente grottesca e ridicola, va ricollegata in realtà a quell'universo simbolico tipicamente Medievale che oggi potremmo tranquillamente definire "terra terra". Le "raffinate" tecniche di comunicazione di massa utilizzate oggi (l'uso del "raffinato" è volutamente ironico), in assenza dei più efficaci mass media, avevano infatti al tempo la necessità di essere sostituite da ridondanti cerimoniali di grande gestualità, che potessero essere decodificati con estrema facilità dal popolo. Successivamente tale consuetudine iniziò ad essere ridicolizzata, in particolare negli ambienti più critici di provenienza Luterana, tanto che i suddetti sedili di epoca imperiale finirono per essere tramandati come "sedie col buco" atte a verificare la presenza degli "attributi" papali. Il tutto in conseguenza dell'episodio della celebre papessa Giovanna: il primo papa travestito (al contrario) che ebbe la sfortuna di farsi beccare, partorendo un bambino durante un corteo. Una leggenda che ebbe enorme risonanza nel corso di tutto il medioevo, e che nasconde un chiaro intento di propaganda anticlericale. Ad ogni modo, secondo questa degenerazione della leggenda, si asseriva che le sedie da parto avrebbero avuto la funzione di permettere a un giovane diacono di infilare la mano attraverso il buco fin sotto i paramenti del papa, ivi accomodato al momento dell'elezione, per verificare che fosse effettivamente un papa con le palle e non un'ennesima Giovanna (vi avevo avvertito che il Medioevo è terra terra).


Ritornando al nostro baldacchino è dunque possibile che, decaduta questa tradizione dell'uso simbolico del sedile, il Bernini, ma più probabilmente lo stesso papa Urbano VIII, uomo colto e amante della simbologia e dell'estetica, abbia voluto celebrare in maniera un tantino più raffinata rispetto allo svaccamento sulla sedia da parto il concetto di Mater Ecclesia. Ma non essendoci nessuna certezza tra le ipotesi, possiamo a questo punto permetterci di formularne qualcuna più personale. E' possibile che il Bernini abbia voluto fare riferimento a un concetto ben più potente e rischioso? Un elemento pagano di antichissima origine: il culto primordiale che ricorre nel passato comune di tutte le religioni conosciute. Sto parlando del culto della Madre Terra, il femminino sacro che ci riconduce alla Dea Madre. Un elemento femminile che proprio lì, nel cuore della cristianità universale, nel tempio di una religione dalla struttura profondamente maschilista, sarebbe apparso e ci appare tuttora come un azzardo, soprattutto in questa rappresentazione dai tratti così realistici. Ma in fondo siamo nel Seicento, secolo in cui si riscopre la centralità dell'uomo e i culti esoterici del passato, mentre l'arte e la letteratura si arricchiscono di antiche simbologie e codici nascosti. E il Bernini non era certamente estraneo a questo mondo. E se tutto questo è possibile, allora non dovrete certo stupirvi del fatto che, anche tra migliaia di turisti in sandali e bermuda, si possa ancora svelare un pezzo di quella Roma nascosta e misteriosa che così tanto ci affascina.


p.s
La ricerca di questo dettaglio è stata l'oggetto di una divertente caccia al tesoro per indizi alla quale avete partecipato in molti. La vincitrice Rosangela (sua è l'ultima foto), si è aggiudicata una copia di "Roma Fuoripista" (gli altri lo possono acquistare su www.romafuoripista.com o nelle librerie indicate sul sito). Per le prossime cacce al tesoro continuate a seguirmi sulla pagina facebook di Dice che a Roma.

martedì 4 giugno 2013

Dice che il grande Borromini era un Proto-Massone...(proto che?)

Quanti segreti si nascondono nei palazzi romani! E con questo non mi riferisco alle migliaia di strutture abusive assolutamente  mai sfiorate da condono edilizio, ma ai ben più rari tesori artistici e architettonici, gelosamente custoditi dietro gli imponenti portoni delle più belle residenze storiche del centro.
Tra questi il non sempre accessibile Palazzo Falconieri, sede della prestigiosa accademia d'Ungheria, dove mistero e bellezza si fondono in un architettura in cui ogni cosa sembra tendere verso l'alto. A partire dai due falconi in topless, volatile omaggio femminile alle rampolle della famiglia, che posti ai lati della facciata rivolta su via Giulia, fanno da sentinelle a questa antica residenza, passata di mano in mano tra le migliori casate fino a divenire nel Seicento proprietà della ricca famiglia fiorentina dei Falconieri. Famiglia che deve la sua fortuna al monopolio sul commercio del sale, una risorsa preziosa che, così come lascia intuire la tristemente celebre espressione "'sto conto è troppo salato", è sinonimo da sempre di grande ricchezza. La scalata al successo diventa quindi metafora di un'ascesa al cielo: il falco predatore dell'aria come stemma della famiglia, i misteriosi soffitti dalle simbologie massoniche che catturano lo sguardo verso l'alto, e un'altana sospesa nel vuoto da cui dominare con lo sguardo l'intera città.

E' proprio in questo palazzo che scopriamo gli aspetti più intimi e personali del grande genio del barocco Francesco Borromini. Di lui conosciamo la pittoresca rivalità col Bernini, tramandata da un'aneddotica che sconfina nel gossip tra dispetti e gelosie da primedonne, ma che li vedeva divisi soprattutto nel carattere. Il Bernini mondano e perfettamente a suo agio nella corte pontificia, tra feste, intrighi e lecchinaggi, il secondo introverso e solitario. Poco amato dai suoi allievi e probabilmente vittima di un profondo conflitto interiore che lo vedeva scisso tra una fortissima religiosità e una pari attrazione verso l'esoterismo e la simbologia occulta, molto di moda nei circoli culturali dell'epoca. Scalpellino dall'infanzia, membro attivo della corporazione dei muratori (associazione a cui si ispirò la massoneria nel secolo successivo, sia nella struttura organizzativa che nell'immagine coordinata: il simbolo della squadra e del compasso come antico logo e il mito della divinità suprema come grande architetto dell'universo), il Borromini resta ancora oggi un rompicapo intorno al quale si danno le interpretazioni più disparate sulla simbologia nascosta nei suoi capolavori.

Ma è proprio a Palazzo Falconieri che tutto diventa ancora più evidente, in un lavoro commissionatogli alla fine della carriera e della sua vita in un ambiente più intimo e familiare, proprio dal suo amico Orazio Falconieri, con il quale condivideva gli stessi interessi nel campo della mistica esoterica. Al Borromini si deve infatti l'elaborata decorazione a stucchi dorati dei salotti del piano nobile. Salottini piccoli, appartati, intimi, poco adatti alle grandi feste e certamente più appropriati per conversazioni private, riunioni elitarie di pochi appassionati alle discussioni allora tanto in voga sui temi dell'alchimia e dell'occulto. Tre cerchi intersecati tra loro e un grande sole posto al centro dominano la scena nel soffitto della prima sala. Il tre come trinità? Come numero perfetto? Il classico trittico per tutti i gusti "corpo/anima/spirito"? Lasciate per un momento da parte i misteri alla Dan Brown e soffermatevi piuttosto sull'aspetto ludico dell'opera. E come in un quiz della settimana enigmistica di 4 secoli fa divertitevi a scovare tutti gli animali, insetti e uccelli che il genio si è dilettato a mimetizzare nella ricchissima decorazione a girali di piante. Pesci, anatre e gechi vengono fuori dagli intarsi a stucco come nei migliori trip di gioventù. L'ironia del barocco che diventa inganno e ricerca, torcicollo e vertigini.


Nella sala seguente ripiomberemo nuovamente nella simbologia più ancestrale con il grande uroboro, il serpente che si morde la coda a rappresentare un ciclo infinito dove la fine corrisponde al principio. Ai due estremi un occhio che spunta fra i raggi, un globo percorso da meridiani e paralleli e un lungo scettro che partendo dall'occhio (da Dio o dal grande architetto?) si appoggia (governa) sul mondo. Tanta carne al fuoco per una lettura dai contorni esoterici i cui temi confluiranno nella nascente massoneria, che vedrà la luce solo agli inizi del secolo successivo. E da bravi profani rimarrete affascinati dalle suggestioni di una simbologia che ci riporta al potere, al mistero, all'occulto, alla materia e al paganesimo in quell'eterno quesito che continua a tormentarci da sempre: "ma alla fine che cazzo vor dì?".

Se siete stanchi di guardare a testa in su allora è il momento di cambiare prospettiva e dall'alto volgere lo sguardo verso il basso: tre piani di scale ci portano fin sulla loggia, e ancora più su, in quell'altana sospesa su Roma. Ben più in alto dell'antistante palazzo Farnese, volutamente più in alto dei propri vicini, in un moto d'orgoglio della nuova borghesia contro la vecchia nobiltà. Trecentosessanta gradi di una Roma mozzafiato abbracciata da un terrazzino ristretto e aperto all'infinito, dove gli spazi si fondono nella continuità dello sguardo di enigmatiche erme bifronti che si rivolgono contemporaneamente all'esterno e all'interno. Mi piace immaginare un riservatissimo Borromini autocompiacersi nel vedere svettare proprio lì di fronte la sorprendente cupola a spirale di S.Ivo alla Sapienza, il suo più grande capolavoro, di cui dal basso si fatica a trovare l'ingresso, ma che caratterizza nel modo più inconfondibile e originale qualunque veduta dai tetti della città. Percorrendo la scaletta a chiocciola d'accesso, quasi vengono a mancare i punti di riferimento, e la sensazione di elevarsi nel vuoto del cielo romano metterà alla prova anche i più immuni alle vertigini.
Artista profondamente tormentato, di lì a poco Borromini avrebbe lasciato la sua città d'adozione e il mondo con una morte spettacolare ed eccessiva proprio come il suo barocco. L'ultimo inganno di un grande maestro che, anche nel gran finale, lanciandosi da solo su una spada puntata ad arte da lui stesso contro se stesso, ha giocato per l'ultima volta con un'inversione della prospettiva. Di lui ci restano le facciate più originali di Roma e un motto condiviso dalla propria corporazione muratoria: "esporre segretamente e dimostrare silenziosamente". E questa sua ultima opera, esposta segretamente nell'intimità di una dimora privata, sembra esserne la più coerente conferma.

Palazzo Falconieri ospita oggi l'accademia d'Ungheria ed è visitabile in occasione di mostre o eventi speciali. I gruppi possono prenotare una visita su appuntamento (tel 066889671). In ogni caso tenetevi pronti che a settembre sarà una delle prossime tappe dei nostri "walk&brunch" alla scoperta della "Roma Fuoripista"


lunedì 5 marzo 2012

Dice che ai Castelli la salita va in discesa

Per il classico romano doc, la gita fuori porta per antonomasia si identifica indiscutibilmente con la scampagnata ai Castelli Romani, così denominati in virtù del loro passato di fortezze appartenenti alle antiche famiglie feudali della cosidetta "nobiltà" locale, aristocraticamente violenta, corrotta e guerrafondaia. L'aria frizzantina a due passi da Roma e le famigerate "fraschette" dispensatrici di porchetta e romanella, si combinano con gli echi di quella cronaca nera da giornaletto scandalistico, popolata di ville a luci rosse per scambisti medio-borghesi e maldestri satanisti dell'ultima ora (molto in voga negli anni Novanta), gettando una luce ambigua e vagamente sinistra su questa amena realtà ai confini della metropoli, dove i piaceri semplici e genuini si incontrano con il peccato (di gola, ma non solo) nell'immaginario collettivo del romano fanfarone. Se infine volessimo buttarla sul geologico, potrei raccontarvi di come l'intera area si sia formata in seguito al collasso dell'enorme cratere dell'antico vulcano laziale, fenomeno che in tempi estremamente remoti diede origine alla formazione di ulteriori bocche più piccole, identificabili oggi con i laghi di Nemi e di Albano ( e il suo inquietante primato di 170 metri di profondità! ). In questo guazzabuglio mitologico non poteva ovviamente mancare l'elemento misterioso che, con la sua perfetta combinazione di suggestioni paranormali, fenomeni elettromagnetici e inganni ottici, vi fornirà un eccellente argomento di conversazione per una piacevole sosta etilico-gastronomica nelle vicine fraschette di Ariccia.

Il mistero in questione riguarda il famigerato tratto di strada che, percorrendo la via dei laghi in direzione di Nemi, si distacca all'altezza del quadrivio per proseguire verso Ariccia. Per qualche oscura ragione tuttora in discussione, immediatamente dopo aver percorso una prima incontestabile discesa, ci ritroveremo a procedere lungo un tratto di salita che, in maniera del tutto sorprendente per una mente ancora sobria, si comporterà esattamente all'opposto di come dovrebbe, apparentemente contro ogni legge o principio della fisica e della forza gravitazionale. Lungo l'intero tratto qualsiasi oggetto di forma rotondeggiante, che sia un pallone o una lattina, così come il contenuto di una bottiglietta d'acqua, tenderà infatti a "scorrere" in salita, allo stesso modo in cui la vostra macchina abbandonata con la marcia in folle comincerà ad arrampicarsi lentamente verso la vetta in un rigurgito di rivalsa contro il caro benzina.Vi suggerisco di arrivare sul posto già muniti dei vostri strumenti di misurazione ed evitare così di finire come il sottoscritto a raccattare rifiuti urbani di forma vagamente cilindrica sul ciglio della strada al fine di portare a termine l'esperimento (e devo ammettere che purtroppo non mancano lattine e bottiglie abbandonate adatte al caso). A questo proposito approfitto nel ricordare ad alcuni tra i solerti "Isaac Newton" de noantri che al termine delle proprie scoperte scientifiche sarebbe il caso di riportare indietro 'ste cazzo di bottigliette vuote, per riporle successivamente in un più consono cestino dei rifiuti. Considerando inoltre che ci troviamo in un tratto di strada a scorrimento veloce,  l'invasione della corsia a fini sperimentali è caldamente sconsigliata per evitare di beccarsi, nel migliore dei casi, un vaffanculo antigravitazionale dagli automobilisti della zona.

Già a partire dagli anni Settanta si svilupparono tutta una serie di studi e ricerche su questa affascinante anomalia, e persino il celebre tuttologo nazional-popolare del tubo catodico, Nostro Signore di Quark alias Piero Angela, si scomodò a suo tempo per un servizio sulla controversa salita. Con il suo consueto, impeccabile aplomb, Il nostro Piero concluse che la storia degli effetti magnetici e di una possibile discontinuità nel campo gravitazionale, altro non fossero che una gigantesca cazzata, il tutto a favore di una più classica spiegazione che ci riportasse nei ranghi del banalissimo effetto ottico. In realtà la mancanza di riferimenti fisici che possano ragionevolmente ingannare l'occhio, il fatto che l'effetto sia percepibile in entrambe le direzioni e il sospetto che gli stessi strumenti di misurazione (come ad esempio la livella) utilizzati nel contestare le affermazioni sull'oggettività della salita, possano venire compromessi nel loro funzionamento dalle medesime anomalie oggetto dello studio, lasciano tuttora forti dubbi sulle minimizzazioni del dottor Angela.

Allo stesso modo le affascinanti teorie (per molti ufficiali) che ipotizzano anomalie magnetiche e gravitazionali, imputabili alla natura vulcanica di una zona interessata sin dai tempi più remoti da fenomeni di origine tellurica, verrebbero inficiate dal corretto funzionamento dei relativi strumenti di misurazione; primo fra tutti la cara vecchia bussola della giovane marmotta. Insomma una spiegazione che metta tutti d'accordo sembra ancora ben lontana dall'essere trovata.

Ad aggiungere ulteriore suggestione c'è l'incombente presenza dell'indecifrabile Monte Cavo, con la sua selva di antenne e ripetitori dagli effetti altrettanto dubbi. L'antico vulcano dove venne innalzato il tempio di Iuppiter Latialis (nella cui direzione ci conducono i resti dell'antica via sacra), è stato sede, in tempi più recenti, di una base militare dell'aereonautica. Si vocifera ( il classico dice che..) che la stessa fosse collegata a misteriose installazioni sotterranee, seguendo la falsariga di leggende metropolitane dai contenuti fantapolitico-militari, in cui anche le cronache di avvistamenti di UFO nella zona rientrerebbero perfettamente nel quadro. Ritornando ad argomenti di più facile discernimento e alla nostra salita, per quale motivo dovremmo necessariamente far rientrare la spiegazione entro i confini di ciò che già conosciamo? Sappiamo perfettamente come funzionano gli effetti ottici o i campi magnetici, ma se ci fosse una terza soluzione legata a forze o meccanismi che non siamo ancora in grado di comprendere? Non è forse più divertente lasciare in sospeso il mistero? Per quanto mi riguarda, la spiegazione dell'effetto ottico non mi convince ancora del tutto. Ad ogni modo, quale che sia l'origine di questa forza misteriosa, lasciate che vi spinga dolcemente e a costo zero in salita verso Ariccia, e sulle note di "ma che ce frega, ma che ce importa" approderete così nella vostra fraschetta preferita, dove ad attendervi troverete la porchetta più buona del mondo e fiumi di vino rosso. E almeno su quello, che "scenda bene" non avrete dubbi!

mercoledì 16 novembre 2011

Dice che il 2 novembre apre la cripta..

Se lo scorso Halloween zucche di plastica altamente infiammabili, attempate streghette sexy e parcheggiatori abusivi più aggressivi del solito non sono bastati a soddisfare la vostra fame di terrore, per il prossimo anno vi consiglio di pazientare almeno fino al 2 Novembre, quando i sotterranei dell'isola Tiberina sveleranno il macabro segreto di un antico cimitero, dove scheletri, composizioni di ossa umane e ragnatele vi regaleranno finalmente quel brivido in più che stavate masochisticamente cercando. Non tutti sanno infatti che in un seminterrato dell'ospedale Fatebenefratelli, attiguo alla chiesa di S. Bartolomeo all'isola, esiste ancora oggi la sede con cripta annessa di un'antica Confraternita religiosa, conosciuta come Confraternita dei Sacconi Rossi per via del curioso abbigliamento consistente in un mantello con cappuccio rosso ( in ogni caso nulla a che vedere con la petulante bambina della celebre favola).

La congregazione nasce nella seconda metà del Settecento e, in virtù della posizione estremamente strategica della propria base operativa, si dedica sin dal principio alla raccolta e alla sepoltura delle salme rinvenute nelle acque del fiume. Agli sfortunati titolari dei corpi restituiti dal crudele biondo Tevere venivano dedicate messe di suffragio nell'oratorio appositamente riservato, che nel corso del tempo venne letteralmente addobbato con le loro stesse ossa e parti di scheletri, assumendo l'attuale aspetto, per certi versi piuttosto sinistro, di ideale set cinematografico per horror-movies di serie B. A causa delle continue piene del Tevere che allagavano regolarmente la cripta, e soprattutto in occasione di un epidemia di colera che fece consigliare a papa Gregorio XVI una più canonica spoltura di tutti i cadaveri al cimitero del Verano, l'allegra confraternita perse con il tempo la propria ragion d'essere e si estinse alla fine del 1800, chiudendo apparentemente per sempre lo storico sodalizio tra l'antico fiume portatore di morte e i devoti custodi delle ossa delle sue vittime.

La rinascita della congregazione è avvenuta in anni più recenti grazie all'intervento dei cosiddetti "fratelloni" della Madonna dell'orto, simpatici confratelli devoti alla madonna protettrice dei pizzicaroli e dettaglianti alimentari in genere, che in questa riuscitissima joint venture tra "frutta e verdura" e morti annegati, hanno deciso di ripristinare le antiche tradizioni dei loro lugubri colleghi. Ed è così che, forse anche per sopperire alla mancanza di quel lato macabro, aspetto imprescindibile per una qualunque confraternita nell'immaginario collettivo ( in realtà per mantenere in vita le tradizioni delle confraternite Romane, così come previsto dal loro statuto), dall'inizio degli anni '90 i "Fratelloni" si ritrovano al fianco dei Sacconi Rossi nel ripetere la magia di un'antica processione a lume di candela, che ancora oggi  si spinge sulla punta estrema dell'isola ripercorrendo le orme degli antichi compagni.

La processione prende il via subito dopo la messa celebrata nella chiesa di S.Giovanni Calibita, quando confratelli e devoti si avviano lungo lo stesso percorso che secoli prima portava i loro predecessori sulle rive del fiume alla ricerca di corpi da recuperare, accompagnati dalla suggestiva illuminazione delle torce, a cui si aggiunge oggi il moderno contributo di un tripudio di flash di fotografi degno di una prima cinematografica con red carpet. Se vi aspettate di trovarvi al cospetto di inquietanti personaggi seminascosti da mantelli rossi, sarete sorpresi di scoprire una simpatica congregazione di bionde signore fresche di parrucchiere, più adatte ad un torneo di burraco che al ripescaggio cadaveri, accompagnate da altri affabili personaggi, che dopo aver sorretto la pesantissima croce con incedere solenne fino alla punta estrema dell'isola, rivendicheranno il proprio ruolo da protagonisti chiedendovi cortesemente la spedizione delle foto perchè "aò, tutti l'anni sta fatica e a me manco 'na foto". Il corteo si chiude con un rituale dal sapore pagano, dove la sacralizzazione dell'elemento naturale diviene benedizione cristiana delle acque del Tevere, sigillato dal lancio di una corona di fiori in memoria di tutti gli annegati, alla cui lista rischia di aggiungersi un ulteriore manipolo di curiosi che si spintonano pericolosamente fra loro sui bordi del fiume per assistere meglio al momento solenne (per chi volesse evitare di finire venerato nella vicina cripta è consigliabile seguire la cosa da una distanza meno ravvicinata).

L'ultimo atto è la discesa nel piccolo cimitero sotterraneo e la benedizione da parte dei confratelli delle ossa dei defunti. In un atmosfera fortemente suggestiva, tra candele, teschi umani e macabre composizioni di ossa in lampadari di oscuro design, di fronte all'altare si scorge infine uno scheletro rivestito dell'abito tradizionale dei confratelli, una sorta di cappuccetto rosso stecchito la cui visione darebbe immensa soddisfazione al simpatico lupo della favola. Questo "gusto del macabro", caratteristica imprescindibile del nostro retaggio culturale religioso, e che da sempre attrae morbosamente ogni essere umano, si manifesta in questo luogo nel suo aspetto più ancestrale e raffinato. E così, opportunamente distanti dalle barocconate di importazione in perfetto stile Halloween, vi lascerete infine suggestionare dalla forza della tradizione, la cui ricchezza viene difesa e portata avanti da queste persone come parte importante della storia e della cultura della nostra città. Ed è per questo motivo che ai Sacconi Rossi va tutta la riconoscenza: la mia...e quella di chi ha concluso male un bagno al fiume un paio di secoli fa.

martedì 19 aprile 2011

Dice che a via Giulia vi aspettano i "fratelli della morte"

Se avete molto tempo libero e state pensando di impiegarlo iscrivendovi a un circolo o a un'associazione qualsiasi, ma il burraco e la cucina macrobiotica non fanno per voi, vi consiglio allora di tentare con qualcosa di più originale e vagamente più lugubre, come per esempio entrare a far parte dell'arciconfraternita di S.Maria dell'Orazione e Morte.

Nella centralissima Via Giulia, di fronte a palazzo Farnese, l'omonima chiesa di S.Maria dell'Orazione e Morte nasconde al suo interno un piccolo quanto singolare cimitero che, nel tramandarci la storia di questa antica confraternita, ci svela al tempo stesso una parte importante del patrimonio storico e culturale della nostra città. Ai lati del portale di ingresso, sulla cui sommità una clessidra e due teschi alati ci danno il loro non richiesto benvenuto, due bizzarre cassette per le elemosine ci offrono subito un indizio sugli scopi e le origini di questa associazione di fedeli. La cassetta sulla destra ci saluta con un "hodie mihi cras tibi", che sta per "oggi a me e domani a te" (la chiosa del "tiè" ce la metto io), mentre quella sulla sinistra ci invita ad elargire una donazione per i morti "che si pigliano in campagna". E non ci si riferisce a quei "morti" che,  invocati a gran voce, "piglierete" in campagna in questo prossimo lunedì di Pasquetta dopo aver colpito l'incazzoso gitante di turno con una pallonata in testa, ma di veri e propri cadaveri che rimanevano abbandonati nelle campagne, quando, fino al'inizio del secolo scorso, era troppo oneroso per le famiglie che abitavano fuori città provvedere ad una degna sepoltura per i propri congiunti.

" nell’anno del Signore 1538 alcuni devoti cristiani, vedendo che molti poveri, li quali o per la loro povertà, overo per la lontananza del luogo dove morivano, il più delle volte non erano sepolti in luogo sacro, overo restavano senza sepoltura, e forse cibo di animali, mossi da zelo di carità e pietà instituirono in Roma una compagnia sotto il titolo della Morte, la quale per particolare instituto facesse quest’ opera di misericordia ".
Dall'istituzionalizzazione della confraternita, approvata nel 1552 da Giulio III, si approdò nel 1576 alla consacrazione di una chiesa propria, in seguito ricostruita e rimaneggiata fino ad assumere l'aspetto attuale.
A partire da allora e fino agli inizi di questo secolo, si svolge la vera e propria epopea di questi "zelanti fratelli della morte", che sfidando la fatica e i chilometri sotto piogge torrenziali e attraverso le campagne arse dal sole, raggiungevano ogni angolo più remoto dell'agro romano a recuperare corpi spesso senza nome, per poi ritrascinarli sulle spalle o distesi su una lettiga di fortuna, verso una più dignitosa sepoltura in uno dei tanti cimiteri della città.
Tra questi esisteva anche un cimitero proprio della confraternita, allestito nei sotterranei della chiesa e meta della nostra visita di oggi. Per questo motivo, non avendo il tempo di approfondire il pur interessante interno a pianta ovale della chiesa, dove fa bella mostra di se una copia del San Michele Arcangelo di Guido Reni, procederemo direttamente oltre il pesante portone situato nel corridoio esterno sulla sinistra, recante la scritta decisamente poco equivocabile di "cementerium", per discendere i gradini verso il cuore (e le ossa) di questo luogo.

L'ambiente è altamente suggestivo, e sebbene alcuni fregi parietali e gli stessi lampadari assemblati con ossa umane, possano ricordarci la ben più conosciuta e sfarzosa cripta del cimitero dei cappuccini di Via Veneto (vedete il mio precedente post di Novembre 2010), il silenzio del luogo e l'essenzialità delle pur macabre decorazioni , regalano a questo ambiente un' atmosfera più autentica e sacrale che quasi intimorisce e conforta allo stesso tempo.
Oltre ai già citati lampadari, possiamo osservare una serie di teschi ordinatamente disposti su degli scaffali di legno, una croce latina formata da (indovinate un pò?) altri teschi e una lettiga di ferro, probabilmente utilizzata al tempo per il trasporto dei futuri lampadari dalle campagne ai loro luoghi di sepoltura cristiana.

Una curiosità è che nel cosiddetto ottavario dei morti (il periodo di otto giorni successivo al 1 Novembre), tale cimitero, che prima della costruzione degli argini del Tevere trovava la sua estensione fino al fiume, diventava palcoscenico e scenografia di oratori musicali e rappresentazioni sacre, celebri nell'Ottocento per la ricchezza delle scenografie, delle decorazioni e dei costumi, con artisti e statue di cera a grandezza naturale che si esibivano in una sorta di burlesque dell'oltretomba.
La Confraternita, che ancora oggi conta una ventina di membri, è tuttora esistente, e venuto meno il suo compito originario di recupero e assistenza dei morti, continua ad accompagnare i fedeli defunti con la pratica delle preghiere di suffragio, la gestione della chiesa e della cappella cimiteriale al Verano e, cosa di indubbio valore storico culturale, con il tramandare la storia e le tradizioni dell'associazione stessa.

Gli archivi della compagnia contengono preziosissimi documenti che in oltre 4 secoli, grazie alla minuziosa annotazione di ogni singola tumulazione dal 1552 al 1896, ci offrono uno spaccato dettagliato sulle condizioni di vita, le cause di morte e gli insediamenti geografici delle zone "periferiche" della nostra città. Scoprire questo ennesimo angolo nascosto di Roma, significa quindi riscoprire anche una parte della storia e delle caratteristiche del nostro territorio. Una volta riemersi su Via Giulia, dopo una sguardo all'ansiogena clessidra e a quell' "oggi a me, domani a te", sarà impellente la voglia di andare a bivaccare in uno dei tanti bar che si affacciano nella vicina piazza di Campo de Fiori, fumandoci un intero pacchetto di sigarette accompagnati da un numero indefinito di bicchieri di vino. In fondo se la vita è così breve è meglio godersela, e poi, se vogliamo dirla tutta, come lampadario ancora non mi ci vedo.

La Chiesa arciconfraterniale di S.Maria dell'Orazione e Morte si trova in Via Giulia 262 ed è visitabile il mattino (escluso sabato e domenica) dalle 7:30 alle 11:00 e il pomeriggio (week end compresi) dalle 16:00 alle 18:30. Per accedere alla cripta è sempre meglio chiedere.

martedì 28 dicembre 2010

Dice che il paradiso costa caro

Quante volte percorrendo lungotevere Prati avrete notato le guglie di una chiesa incastonata tra palazzi ottocenteschi, che tanto ci ricordano una miniatura del celebre duomo di Milano. Stiamo parlando della chiesa del Sacro Cuore del Suffragio, un gioiello neogotico della fine del secolo scorso che ospita al suo interno un piccolissimo e alquanto bizzarro museo: il museo delle Anime del Purgatorio, una singolare collezione che raccoglie le prove del passaggio e delle manifestazioni tra i vivi delle anime espianti dei defunti.
La storia di questo luogo ha inizio con un incendio avvenuto nel 1897, incendio che lasciò un segno indelebile su uno dei pilastri di una cappella andata distrutta e sulla psiche dello stesso sacerdote fondatore della chiesa, Victor Jouet. L'impronta lasciata dal fuoco sulla colonna sembrava infatti riprodurre le inquietanti sembianze di un volto, che subito il sacerdote interpretò essere quello di un anima sofferente del purgatorio che voleva in questo modo mettersi in contatto con i vivi. A partire da questo episodio il sacerdote iniziò la sua missione itinerante di ricerca, allo scopo di raccogliere prove e testimonianze lasciate dalle anime del purgatorio, che si fossero manifestate a parenti e conoscenti con la richiesta di preghiere di suffragio. Il meccanismo del suffragio è molto semplice: quanto più si prega per queste anime condannate, più la pena viene scontata e le stesse si avvicinano al paradiso (potrebbe essere un interessante format di gioco per la Nintendo WII in cui i giocatori si sfidano per far ascendere il proprio avatar digitale in paradiso, recitando preghiere con la massima intensità possibile).

In ogni caso padre Jouet riuscì a raccogliere durante i suoi viaggi una decina di cimeli, oggi gelosamente custoditi nell'attuale sacrestia della chiesa. L'accesso è gratuito e in genere non c'è mai anima viva (vi garantisco che questa stupida battuta è involontaria), ma sono certo che non potrete fare a meno di lasciare un offerta al custode, considerato che in questi casi anche l'essere più razionale e meno superstizioso del pianeta penserà che sia meglio essere generosi perchè comunque " nun se sa mai".


A questo punto sarete introdotti in una piccola stanzetta, dove in una vetrina appesa alla parete avrete modo di ammirare i frutti della ricerca del sacerdote. Si tratta prevalentemente di tracce lasciate dalle anime dei defunti sotto forma di impronte e bruciature su oggetti e indumenti come prova della veridicità della loro apparizione, allo scopo di convincere i propri cari a pregare per loro con maggiore frequenza e intensità. Un foglio stampato in più lingue, messo a disposizione dei visitatori, vi permetterà di conoscere la storia e la provenienza di ognuna di queste testimonianze (non tutte originali). Prima fra tutte è la fotografia che riproduce l'immagine del volto rimasto impresso dopo l'incendio del 1897 e che diede il via alla collezione. Seguono poi impronte di fuoco su libri di preghiere, tonache, bibbie, camicie e persino berretti da notte.

Singolare la storia di Suor Maria di S. Luigi Gonzaga, costretta ad espiare in purgatorio le sue colpe per aver avuto in vita un moto di impazienza causato da due anni di atroci sofferenze da tisi. Dopo la sua morte, "erroneamente" e "colpevolmente" agognata,  apparve nel 1894 a tale suor Margherita del Sacro Cuore, alla quale, nel richiedere preghiere di suffragio per abbreviare il suo soggiorno purgante, lasciò come prova della sua apparizione una bruciatura sulla federa del cuscino effettuata con il dito indice. In seguito tornò per ringraziare, avendo però questa volta l'accortezza di risparmiare la biancheria della solerte collega.


Altro oggetto interessante è la fotocopia di una banconota da 10 lire, i cui originali sono conservati presso il monastero di S. Leonardo di Montefalco. Questa banconota ci introduce la storia di un sacerdote defunto che scelse per la sua salvazione una via alternativa e molto più convincente rispetto all'opzione di lasciare bruciature in giro (e non biasimo la scelta visto che a me personalmente una ditata di bruciato sulla camicia potrebbe farmi uscire di bocca quanto di più lontano da una preghiera). La storia racconta di ben 28 manifestazioni che ebbero luogo nel monastero di S. Leonardo a Montefalco, nel corso delle quali la facoltosa anima espiante lasciò ogni volta delle banconote per le Clarisse del convento attraverso la ruota della sacrestia, richiedendo in cambio messe di suffragio e preghiere di salvazione. In poche parole una sorta di tentativo di corruzione dall'oltretomba. Gli atti originali del processo e la deposizione di 12 testimoni, tra cui la badessa del monastero, convergono tutti verso la conclusione che la manifestazione fosse degna di fede.
Sono certo che questa storia rassicurerà enormemente il nostro attuale premier riguardo la sua sorte ultraterrena, in quanto conferma della piena riproducibilità ed efficacia dei metodi a lui consoni sulla terra anche nel contesto spirituale, per ottenere l'agognata ascesa in paradiso.
 Che ci crediate o meno (e spero abbiate perdonato la mia eccessiva ironia) il luogo e l'esposizione sono indubbiamente suggestivi e ci portano nuovamente in uno di quegli angoli nascosti della nostra città pronto a raccontarci delle storie lontane anni luce dal nostro quotidiano.
E se vi state chiedendo se è proprio da qui che venga il celebre detto Romano "l'anima de li mortacci tua" apostrofato verso colui che vi brucia il sedile della macchina con la cenere di sigaretta..ebbene no.. questa è un'altra storia!

La chiesa del Sacro Cuore del Suffragio è in Lungotevere Prati 12 ed è visitabile tutti i giorni dalle 7:00 alle 11:00 e dalle 16:30 alle 19:00.

mercoledì 15 dicembre 2010

Dice che il chiostro nasconde un mistero


Avevo promesso che saremmo tornati a parlare del simbolo della triplice cinta e del suo indecifrabile significato, e l'occasione ci viene offerta questa volta dal suggestivo monastero fortificato dei SS. Quattro Coronati al Celio. Ci troviamo infatti a visitare una delle più importanti basiliche medievali della città, un isola fuori dal tempo al centro di Roma dove ancora oggi sopravvive la misteriosa e affascinante realtà della clausura. La chiesa viene già menzionata nel 595 D.C. con il suo attuale nome, ma solo a partire dal 1138, quando venne affidata ai monaci Benedettini, il complesso cominciò ad assumere l'attuale aspetto con la costruzione del monastero, del chiostro e della cappella di S. Silvestro. Tutta la struttura venne infine affidata alle suore Agostiniane che ancora oggi la custodiscono e con le quali avremo occasione di interagire nel corso della visita. A questo proposito preparate gli spicci.


Se vi state chiedendo chi siano questi Quattro Coronati, sappiate che c'è una gran confusione in merito che coinvolge l'esistenza di ben due gruppi di martiri: il primo formato da quattro soldati romani martirizzati per ordine di Diocleziano (identificati con un generico Coronati in quanto solo successivamente se ne scoprì il nome), e il secondo da cinque scultori che vennero giustiziati due anni dopo per essersi rifiutati di scolpire la statua di un idolo pagano. Entrambi i gruppi vennero seppelliti in questa stessa basilica, e mentre tutti si dimenticarono dei poveri cinque scalpellini, i quattro soldati ne presero erroneamente il posto e i meriti artistici divenendo in questo modo i santi protettori degli architetti e dell'arte muratoria. Proprio perchè veneratissimi nell'ambito delle corporazioni medievali di muratori e scultori, antiche associazioni che precedettero la costituzione della massoneria, ad oggi ritroviamo il loro culto inserito negli statuti delle attuali confraternite massoniche europee (squadra e compasso vi dicono niente?). Praticamente dei santi massoni!
Vi consiglio di attraversare il cortile lasciando l'ingresso dell'oratorio di San Silvestro alla vostra destra e di entrare direttamente all'interno della chiesa, dove vi ritroverete catapultati in pieno medioevo tra resti di affreschi del XII secolo e l' originale pavimentazione in opus alexandrinum. La porta situata a metà della navata sinistra è l'accesso privilegiato che vi condurrà all'interno del più suggestivo chiostro medievale della nostra città. Dopo aver suonato il campanello potrete attendere che la suora venga ad aprirvi intrattenendovi in buona compagnia della testa mozzata di S.Sebastiano, conservata come macabra reliquia nell'altare a lui dedicato a pochi passi da voi.


Una volta ammessi in questo meraviglioso luogo senza tempo (un fiorino) avrete modo di ammirare lo splendido chiostro duecentesco, dove troverete ad attendervi due curiosità che solo a pochi osservatori e a chi avrà letto davvero questo post dicendomi "sì sì interessantissimo!!" con cognizione di causa, salteranno all'occhio. La prima è un incisione sulla lastra di marmo fra le due colonne del chiostro poste esattamente davanti all'ingresso, riproducente una curiosa tavola numerica. Secondo ipotesi ancora discusse potrebbe trattarsi di uno schema di gioco a punteggio, dove i punti venivano probabilmente assegnati facendo ruotare un tappo di sughero sulla superficie nell'attesa che si fermasse indicando un numero (colonne a punteggio minimo si alternano a colonne a punteggio massimo). Un' altra plausibile alternativa è che possa invece trattarsi di una sorta di regolo calcolatore.


La seconda curiosità è la presenza di un incisione della famosa triplice cinta di cui già abbiamo parlato a proposito della struttura architettonica della chiesa di S.Stefano Rotondo, motivo per il quale vi consiglio di andarvi a rileggere il post!!  Come vi accennai a suo tempo, questo misterioso simbolo è stato ritrovato inciso fino al 1300 nei luoghi più disparati (piazze, usci di casa, chiese, chiostri e grotte sotterranee) senza che ne sia mai stato compreso veramente il significato e l'origine. Abbiamo parlato della simbologia del tre e delle sue possibili valenze esoteriche che ritroviamo nella progettazione di importanti strutture architettoniche circondate da una triplice cerchia di mura (castelli o città), ma soprattutto abbiamo visto come lo schema riproponga fedelmente quello del gioco del filetto, il che suggerisce anche in questo caso l' innocente ipotesi dello schema di gioco inciso sulla pietra a questo semplice scopo.


Ma noi, che siamo amanti dei misteri e dei complotti dei templari (a cui ormai attribuisco anche le le notifiche di mancato pagamento delle multe scadute per conto di equitalia), rifiuteremo con decisione la versione ludica della spiegazione di questo simbolo, che pretenderebbe di ridurre il tutto ad una partita a filetto tra frati ed operai in un momento di pausa dalle loro occupazioni. A parte il fatto che non vedo perchè un frate dovrebbe incidere il muretto del chiostro per una partita a filetto, neanche fosse uno scolaretto di seconda media che sfregia il banco col compasso, tale versione è messa in dubbio dalla presenza degli stessi simboli ritrovati anche su superfici verticali o oblique che renderebbero impossibile questo tipo di utilizzo. Più interessante l'ipotesi secondo cui tale schema di gioco potesse essere veicolato come codice criptato per la comunicazione di specifici e a noi ignoti messaggi (i templari sicuramente!). E' comunque strano che non ne venga più rilevata la presenza a partire dal 1300 e desta curiosità il fatto che molti di questi simboli vennero volutamente rimossi con il sopraggiungere del cristianesimo. Quale che sia il segreto di questo misterioso segno,  non starò qui ad indicarvi il punto esatto in cui potrete scovarlo, in primo luogo perchè spero che troverete divertente questa piccola ricerca, e in secondo luogo per non essere l'unico ad aver fatto cento giri di chiostro scrutando ogni centimetro di superficie marmorea sotto lo sguardo preoccupato della suora custode.

Una volta scoperta la triplice cinta in tempi ragionevoli e dopo esservi chiesti "e mò?" senza ottenere risposta sensata, vi invito a godere dell'irreale silenzio di questo magico luogo, rotto solo dallo scorrere dell'acqua della fontana  (una suggestiva fontana per abluzioni del XII secolo), dove ancora una volta riuscirete a sorprendervi di come al centro di questa amata e odiata metropoli possano ancora trovarsi degli angoli nascosti così fuori dal tempo.


Usciti dal chiostro e dalla chiesa sarà il momento di andare ad ammirare l'oratorio di San Silvestro, che in virtù dei suoi affreschi medievali è stato a ragione definito come la cappella sistina del medioevo.
Dopo l'ennesima scampanellata la suora receptionist dietro la grata vi passerà la chiave per accedere al suo interno (un fiorino). Dopo aver provato il piacere di entrarvi per vostra stessa mano infilando la chiave nella serratura, potrete finalmente ammirare un intero ciclo pittorico sulla vita dell'imperatore Costantino e di come papa Silvestro lo salvò dalla lebbra attraverso il battesimo. Tale episodio ci riporta alla più grande fregatura della storia della chiesa rappresentata dall'editto Costantiniano, documento con il quale il papa sarebbe stato ricompensato per il suo miracolo con la concessione, da parte dello stesso Costantino, della sovranità temporale su Roma, l'Italia e tutto l'impero d'occidente. Tale pezzo di carta, sventagliato dalla chiesa nel medioevo come prova inoppugnabile del proprio diritto ad esercitare la sovranità assoluta contro gli imperatori, si rivelò in seguito un clamoroso falso postumo inventato di sana pianta. I paraculissimi affreschi servirono dunque come vera e propria propaganda politica per rievocare questo episodio proprio quando nel 1246 lo scontro tra papato e impero si fece nuovamente aspro tra Federico II e e papa Innocenzo IV, che proprio tra le mura di questo monastero fortificato si rifugiò per salvare la pelle. 
Ammirare nel silenzio di questa cappella la bellezza degli affreschi completamente immersi nell'atmosfera del tempo è un esperienza che vi porterete dietro anche una volta usciti.
Riscendendo verso il colosseo, e precisamente al numero 128 di Via S.Giovanni in laterano, vi straconsiglio una vera rosticceria napoletana dove con un eccellente rapporto calorie/prezzo  potrete riprendervi dall'atmosfera mistica del monastero tra pizze fritte, panini napoletani e pastiere.

La basilica si trova in via dei SS. Quattro 20 e Il chiostro e l'oratorio sono visitabili dal lunedì al sabato dalle 9:00 alle 12:00 e dalle 16:30 alle 18:00.