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mercoledì 4 gennaio 2012

Dice che a Mosca...

Tra le decine di cupole che contraddistinguono il sempre splendido e pressoché inalterato skyline Romano da qualche secolo a questa parte, con la coattissima eccezione del grattacielo Eurosky in zona EUR, abbiamo assistito negli ultimi anni alla comparsa di nuove forme architettoniche, frutto di quel lento processo di arricchimento culturale che nel corso del tempo ha positivamente coinvolto la nostra città.


Le cupole dorate della Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, chiesa ortodossa di Roma dipendente dal patriarcato di Mosca, rappresentano certamente uno degli esempi più interessanti: un autentico angolo di Russia a poche centinaia di metri dal celebre cuppolone di S.Pietro. La chiesa è stata inaugurata ufficialmente nel 2009 all’interno del parco di Villa Abamelek, già sede dell’ambasciata Russa nel territorio Italiano, dopo circa un secolo di richieste e tentativi, effettuati in più occasioni da parte della comunità ortodossa locale: più o meno la stessa tempistica necessaria ad ottenere un visto di ingresso per la Russia e dunque perfettamente in sintonia con l’agilità burocratica che, secondo un certo stereotipo politicamente (neanche troppo) scorretto, contraddistingue i nostri amici Sovietici. Dopo aver percorso una tortuosa stradina residenziale a ridosso dei binari della stazione di S.Pietro, in un itinerario che farebbe impazzire anche i navigatori satellitari di ultimissima generazione, ci si scontra improvvisamente con il candore di una struttura dai contorni fiabeschi, dove il bianco e il verde acqua si combinano tra riflessi dorati, sorprendendo il visitatore più sprovveduto con l’impressione di essere finito al cospetto di un’eccentrica magione di qualche stravagante personaggio con manie di grandezza.

L’impatto ad effetto è amplificato dal contrasto con le palazzine anni sessanta che premono ai confini del complesso religioso, quasi a rivendicare la loro preesistenza nei confronti di questo nuovo arrivato, colpevole di accentuarne al massimo la loro mediocre anonimità. Per chiunque abbia avuto a che fare con il paese in questione o quantomeno con il suo consolato, traumatizzato dall’esperienza di una burocrazia infernale che si esprime in un incubo di cellulosa, divieti e paradossi logistici di ogni tipo, il vero miracolo di Santa Caterina verrà riconosciuto nell’assoluta facilità di accesso, e questo nonostante l'edificio si trovi compreso nel territorio dell’ambasciata Russa. A completare il quadro, il gentilissimo personale del segretariato al piano terra, si renderà immediatamente disponibile per una visita al di fuori dell’orario delle funzioni, inviandovi una persona di fiducia ad aprire le porte. Nel nostro caso siamo stati addirittura premiati con l’effetto speciale dell’apparizione di una contadina Russa del secolo scorso, che come materializzatasi dalle nebbie delle steppe Sovietiche col suo fazzoletto nero legato in testa, ci ha silenziosamente condotto alla scoperta dell’interno della chiesa.

L’interno è molto semplice e luminoso. Colpiscono i dettagli di un architettura sacra a cui non siamo abituati e che racconta una religiosità affine, ma allo stesso tempo diversa dal fin troppo familiare Cattolicesimo Romano: innazitutto l’assenza completa di sculture, considerate in passato come uno scomodo retaggio del paganesimo, mentre l’espressione artistica più evidente è quella delle icone, autentici oggetti sacri legati a rigidissimi canoni di rappresentazione, che ben lontani da quel mondo di committenze mercenarie e lotte fra artisti primedonne che contraddistinse l’irripetibile produzione artistico religiosa del Cattolicesimo dal Rinascimento in poi, diventano veri e propri simboli in cui "leggere" l’essenza del divino ( le icone si scrivono, non si dipingono!).

Le influenze Orientali, espresse al massimo nel portale dorato dell’iconostasi (la barriera che separa la navata dal santuario) ci riportano alle origini Bizantine di una religione che nel 1054 prese ufficialmente la sua strada per colpa di una congiunzione grammaticale di troppo. Se infatti volessimo semplificare in maniera selvaggia le ragioni del grande scisma tra la chiesa d’Oriente e la chiesa d’Occidente, è sufficiente ricordare l’episodio della famosa aggiunta nel “Credo” della formula filioque (E dal figlio), infilata a tradimento dalla chiesa Romana nell’originaria professione di fede, per contrastare le cosidette eresie ariane del tempo che tendevano a negare la divinità del Cristo. Fu così che, mentre per gli ortodossi lo spirito santo rimase creato unicamente dal padre, la chiesa cattolica, sotto la spinta decisiva di Carlo Magno, allargò i poteri a tutti i membri della sacra famiglia con il clamoroso “e dal figlio”, scatenando tutto il casino di cui sopra con la conseguente separazione delle due confessioni. Avremmo voluto approfondire tutto questo, ma l’impossibilità di comunicazione con l'interlocutrice autoctona, dovuta principalmente alla nostra conoscenza pressochè nulla della lingua Russa, ha impedito ogni sorta di interazione, riportandoci nuovamente a riflettere sull’affascinante (e a tratti inquietante) questione di come taluni membri di comunità straniere, riescano a sopravvivere quotidianamente senza il bisogno di conoscere una singola parola della lingua locale.

Una volta tornati all’esterno vale la pena salire la scalinata che sale ai confini di Villa Abamelek per ammirare la contrapposizione fra le due cupole, antagoniste e vicine, in un sorprendente panorama che solo pochissimi Romani conoscono. Il verde acqua del tetto di Santa Caterina si perde nell’azzurro del cielo romano, in un contrasto talmente netto da farla assomigliare ad una di quelle sfere di vetro con la neve finta appoggiata li per caso, e quasi viene voglia di girarla per poter assistere all'illusione di un suggestivo inverno Moscovita. Prima di tornare verso l’uscita non potrete resistere alla tentazione di arrampicarvi sulla collinetta laterale, dove una croce ortodossa, decisamente più tecnica della croce cattolica nel suo sfoggio di ben tre bracci orizzontali, si staglia sul panorama Capitolino a baluardo di un’identità religiosa, che dopo lungo tempo ha finalmente trovato il suo posto sotto il cielo di una Roma (un po’ più) aperta.
Con buona pace del padre...e del figlio!