Accade sempre più spesso che il Romano di ritorno da un week end in una qualsiasi capitale Europea si entusiasmi magnificando l’avanguardia della produzione artistica di città come Londra, Berlino o Barcellona, esaltandosi in impietosi confronti con l’idea di una fossilizzata offerta culturale nostrana, purtroppo il più delle volte identificata con il ricordo sbiadito dell’ultima gita ai musei vaticani ai tempi della quinta elementare.
In realtà se sperimentalismo (odioso termine di cui si abusa per dare un'aria sofisticata ed insopportabilmente radical chic a qualsiasi forma di creatività) è la parola d’ordine che tanto invidiamo ai nostri cugini oltre confine, il riuscitissimo connubio tra archeologia classica e archeologia industriale che ci attende nell’ex centrale elettrica di Montemartini, potrebbe sorprendervi con palate di questa maledettissima "avanguardia sperimentale" da capitale Europea, che almeno in questo caso può considerarsi a pieno diritto come intrinsecamente legata alla storia di Roma e del suo territorio.
Ci troviamo nella zona di Ostiense-Marconi, la più antica area di industrializzazione della capitale, che in virtù della sua posizione strategica tra il fiume Tevere, la stazione e l’allora importantissimo asse viario dell’ Ostiense (più un paio di cornettari niente male), vide svilupparsi nel raggio di poche centinaia di metri imponenti strutture portuali, i mercati generali, l’officina del gas e la centrale elettrica protagonista di questo itinerario. Attualmente all’ombra del gazometro è in corso un interessantissimo processo di riqualificazione, dove tra locali alla moda, riconversione di vecchi edifici industriali in spazi espositivi, risse da sabato sera ed espressioni murali di arte urbana, continua a prendere forma in modo sempre più definito quell’ambiente metropolitano tanto caro ai registi contemporanei, che da Ozpetek in poi hanno colto lo spirito underground di questo quartiere come perfetta ambientazione per storie neorealiste di giovani sfigati alternativi.
E’ in questo contesto che scopriamo il museo della centrale termoelettrica di Montemartini, primo impianto pubblico destinato alla produzione di energia elettrica, inaugurato nel 1912 e intitolato a Giovanni Montemartini, assessore al tecnologico deceduto durante una seduta del consiglio comunale nel 1913 (ebbene sì, può succedere anche questo). La centrale venne abbandonata dopo circa mezzo secolo di attività, con la conseguente dismissione di impianti e macchinari e un progressivo abbandono degli ambienti.
A seguito di un riuscitissimo processo di recupero della struttura e delle macchine portato avanti dall’ACEA, la grande occasione di rinascita si presenta nel 1997, quando a causa di un intervento di ristrutturazione all’interno del complesso dei musei Capitolini, causato da un problema di infiltrazioni d’acqua e umidità (seccatura che evidentemente esula dai confini dei cessi di casa nostra), molte sculture vennero trasferite temporaneamente negli spazi dell’ex centrale elettrica. Questa geniale ricollocazione fu il pretesto per l'allestimento di una mostra intitolata “le macchine e gli dei”, che oltre ad essere il titolo perfetto per descrivere con registro poetico un’ordinaria giornata di imprecazioni ad un ingorgo stradale cittadino, rappresenta alla perfezione il suggestivo accostamento di due mondi così diversi tra loro e allo stesso modo affascinanti.
Il successo dell’idea trasformò la mostra in un’esposizione permanente, la quale venne arricchita con "avanzi di magazzino" e più recenti ritrovamenti archeologici degli inizi del secolo, quando nel periodo successivo all’unità d’Italia nuovi tesori vennero alla luce in conseguenza degli scavi che interessarono alcuni quartieri più centrali con l'avvio di nuovi progetti urbanistici (Esquilino) e più tardi con la messa in opera dei lavori per la costruzione della metropolitana di Roma. Ogni sala rispetta una sua omogeneità tematica: la sala colonne privilegia l’arte funeraria e gli arredi di lusso, la sala macchine con i suoi arredi liberty si concentra sull’area monumentale del centro cittadino (tra cui la ricostruzione del frontone del tempio di Apollo Sosiano), mentre la sala caldaie ospita i ritrovamenti degli sfarzosissimi Horti privati Romani, i giardini delle sontuose residenze imperiali.
L’esposizione corre in due direzioni parallele, creando un interesse bipolare che rimbalza dall’attrattiva verso una caldaia per generazione di vapore all’approfondimento storico sulla Roma Repubblicana. Motori diesel e turbine si fondono all’arte classica con grande suggestione, catapultandoci in un atmosfera da fantascienza letteraria di inizio secolo alla H.G. Wells, dove come in conseguenza un guazzabuglio temporale frutto di qualche improbabile e scalcinata macchina del tempo, antiche statue romane si ritrovano scaraventate dal passato tra carcasse di robot e dimenticati macchinari industriali.
In questo contrasto emerge ancora di più la bellezza di reperti archeologici che in una più classica ed asettica sala espositiva sarebbero passati inosservati tra uno sbadiglio e l’altro in un crescendo di rottura di palle. Sguardi pensosi di giovani ninfe e scene mitologiche si alternano sullo sfondo apocalittico di un progresso già desueto, in una specie di tempo zero dove ogni cosa appartiene al passato senza alcuna distinzione cronologica.
A completare il quadro si staglia oltre le finestre la sagoma del gazometro, assurto a contraltare metropolitano in uno skyline magnificamente ridondante di cupole rinascimentali. L’ideale sarebbe muoversi tra queste architetture di inizio secolo durante una di quelle mattinate in cui i visitatori si contano sulle dita di una mano, quando dall'alto della scalinata che affaccia sull’imponente sala macchine, in un trionfo di architetture liberty, potrete esaltarvi in un anacronistico delirio di onnipotenza alla vista "di macchine e di dei", tutti indifferentemente ai vostri piedi.
E dominando questo confronto tra passati avrete infine colto un segnale incoraggiante del futuro (almeno quello culturale) di questa città.